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#MDL2016: Ragazze Farfalle, Lodovica Cima incontra Luisa Mattia e Marco Erba

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Il 18 giugno a Mare di Libri, a Rimini, nel cortile della Biblioteca Gambalunga, si è tenuto l'incontro “Ragazze farfalle” - libri a confronto e autori a confronto -, moderato dall'editor e scrittrice Lodovica Cima con Luisa Mattia e Marco Erba: "due romanzi che esplorano con gli occhi di questi due autori il mondo dei ragazzi e parlano necessariamente di amore, famiglia e amizia e altro ancora" come ha spiegato Lodovica Cima.

Essendo un incontro emozionante e ricco di parole interessanti, ho preferito riportarlo nella sua interezza, sperando che respiriate la stessa atmosfera che ho respirato io quel tardo pomeriggio di due mesi fa.


Lodovica CimaQuando mi è stato chiesto di moderare questo incontro mi sono riproposta di trovare una parola chiave per presentare questi due libri: la parola che ho individuato per il libro di Luisa è “leggerezza” sia perché si chiama “E poi diventai farfalla”, Lapis edizioni (link), sia perché questo è un libro che ti va volare come una farfalla. Non so se tu hai pensato al senso della leggerezza quando lo hai scritto, leggerezza come la intendeva Italo Calvino. 


Luisa Mattia Intanto buonasera e grazie delle vicinanze con Calvino e con la leggerezza. Non ci ho pensato. Non perché quando uno scrive non abbia la chiarezza di idee e non sappia come sta scrivendo e sta raccontando una storia. Mi sono preoccupata e sottolineo “preoccupata” di un'altra cosa. Questo libro è raccontato in prima persona e io non scrivo tanto spesso in prima persona. In questo caso era necessario farlo, perché la voce della protagonista è dominante, è essenziale, è lei che sta dentro una tempesta; una protagonista che all'inizio della sua storia è calma, tranquilla, convintissima del suo diritto di crescere senza che intorno si muova nulla che lei non abbia deciso di non far muovere e invece alla fine dell'estate trova che il mondo non le obbedisce, che gli altri intorno non le obbediscano e che la sua vita che lei aveva disegnato in un certo modo è completamente rovesciata, e si arrabbia. Ovviamente.


Lodovica CimaIl libro di Marco Erba “Fra me e te”, Rizzoli (link), ha come parola chiave “ricchezza” perché è una storia che ha due protagonisti, è narrata in prima persona, segue due filoni, ma che ha tantissime cose in comune con quella di Luisa, prima di tutto quella della farfalla – prima dell'incontro ai due autori non era chiara questa vicinanza - Come mai avete scelto questa metafora della farfalla?


Marco Erba La mia storia è narrata a due voci, scritta in prima persona: c'è la voce di Edo e quella di Chiara, che sono due ragazzi di quindici anni – di seconda superiore – che raccontano il loro mondo, lo stesso ambiente e la loro scuola da due punti di vista differenti. L'immagine della fafalla perché? Perché nella vita ho la fortuna di fare l'insegnante alle superiori e credo che la metafora del bruco che diventa farfalla penso sia la migliore per raccontare l'adolescenza. Insegnando e potendo accompagnare i ragazzi per più anni della loro vita mi rendo conto di quanta bellezza fiorisce dentro le loro vite. Ci sono storie straordinarie e il mio libro nasce tra i banchi di scuola e tra le storie che i ragazzi hanno voluto condividere con me. Per un insegnante è bellissimo: io insegno letteratura e di mestiere racconto storie, ma la cosa più bella è il legame che si crea con i propri ragazzi e allievi che ti regalano, raccontandoti un pezzo della loro vita. Potrei raccontarvi una storia: quella di Benedetta, allieva che ho avuto in questi anni, splendida farfalla con un grande sogno. Un anno va in una Missione in Africa e mentre stanno dando da mangiare alla mensa dei poveri incontra una donna etiope con in braccio un bambino molto piccolo, questa donna la guarda intensamente negli occhi e le dice “please, take it to Italy” (per favore, portalo in Italia). Benedetta in un tema mi scrive “quegli occhi lì, piantati nei miei occhi, non mi lasciano più, me li sogno ancora di notte e mi chiedo questa donna quanto deve voler bene a suo figlio per essere disposta a privarsene per dargli un futuro migliore?” Benedetta ha un grande sogno, fare il medico: si iscrive a medicina e mi scrive dopo aver passato il test “Prof. Io amo così tanto la letteratura, sapesse quante volte sono stata tentata di mollare la medicina con tutte le sue cose tecniche per iscrivermi a lettere. Però mi scrive No, voglio fare medicina con lo sguardo del poeta, con uno sguardo incantato sulla realtà.

Ci siamo incontrati un paio di mesi fa, mi dice che medicina è durissima ma è bellissimo. È dura perché sto facendo il tirocinio in un reparto dove curano i malati terminali e vedo che c'è tanto cinismo nei medici, negli infermieri, tanta freddezza di fronte al dolore ma io sono contenta e arricchita da questa esperienza, perché vedendo questo cinismo ho capito due cose: uno come non devo mai essere io da medico, due quanto bisogno c'è bisogno di amore e di relazione in ogni posto e in ogni momento della vita.

Quando penso all'adolescenza, penso che la metafora del bruco che diventa farfalla sia perfetta, perché una ragazza di 18 anni che dice queste cose a me mi insegna a vivere, che sono un suo insegnante. applauso

Lodovica CimaMarco ha usato una frase importantissima “lo sguardo del poeta”, allora mi aggancio - invece di andare avanti con le domande che mi ero preparata - e chiedo a Luisa, siccome la sua storia è di una ragazzina come tante, come forse sono stata io e come saranno molte di voi oggi, ed è una storia che ha tanti momenti di grande poesia dentro, dove tantissime persone si possono riconoscere, leggendola, ed è un grande pregio per un autore scrivere di cose normali, allora lo sguardo del poeta, come hai fatto ad acquisirlo così bene? Proprio piatta sono andata...
Luisa Mattia proprio così giù dura... Non lo so, non lo posso sapere. Io vivo di relazioni, nel senso che mi interessano le persone, di qualunque età siano, sicuramente i ragazzi mi interessano molto, proprio perché c'è nei giovani un modo di affrontare le cose che è normalmente bizzarro. Noi adulti, passati i nostri 30 anni, perdiamo un po' memoria delle emozioni, del modo in cui arrivano allo stomaco e non si sa bene come governarle, come capirle, forse non le si vuole proprio capire ma le si vivono, si butterebbero via per cambiarle in altro modo. Se di sguardo poetico si tratta, forse è semplicemente un modo per stare vicina alle cose che accadono dentro alle persone oltre che fuori, cercare di osservare comportamenti, modi di guardare, parole che non si dicono, soprattutto i silenzi sono estremamente interessanti. Questo poi fa, nel mio caso, il modo di raccontare.

Dicevo che normalmente quando scrivo non uso la prima persona, l'io narrante, il mio modo di raccontare la storia, per governarla, è scrivere in terza persona. Questo libro no. Per me è stata una necessità, ma anche una grande paura. Lo dico da scrittrice perché quando si scrive in prima persona il rischio è sempre quello di esagerare, di non governare la storia. Qui penso che non sia accaduto. Me ne sono accorta da sola, alla fine, anche se il timore ce l'ho avuto per tutto il tempo in cui ho scritto questa storia, perché è la voce di questa farfallina, che non sa di esserlo: si sente più bruco che altro, si sente imbrigliata, imprigionata, si sente condizionata, incapace di affrontare le situazioni. Questo modo di essere io credo che sia abbastanza universale da poter essere raccontato con “leggerezza” e “delicatezza”, perché la vita interiore delle persone a qualunque età va toccata lievemente e forse certe volte neanche toccata ma bisogna stare lì a “sentirla” un po'. La mia protagonista ha 14 anni – è un'adolescente - ha il diritto di cambiare e lo vuole questo diritto, ma non sa neanche lei dove vuole andare e in questo senso c'è un lungo periodo di confusione in lei; la confusione non sempre dà quiete, anzi il contrario, ma spesso genera pensieri che sono straordinariamente chiari ed è un po' questa la sostanza della poesia. Molti poeti quando parlano delle loro poesie dicono “sono arrivato in fondo e in fondo ho capito che cosa avevo scritto e forse non l'ho capito del tutto ma mi serve l'occhio di un lettore per capirlo”. Credo che sia un po' la condizione di un'adolescente: vivere i propri sentimenti, la propria vita, la propria affettività e non capirci niente e avere bisogno di un confronto che non sia un confronto con qualcuno che giudica, ma un incontro per riuscire a capire cosa sta succedendo e cosa sta rivelando di sé.

L'importanza dei nomi dei protagonisti

Lodovica CimaLe due adolescenti sia quella di Luisa sia quella di Marco hanno due nomi pensati. Non necessariamente spiegati ma alla fine della storia lo si capisce un po' di più, forse Marco lo spiega di più, lo esplicita: una si chiama Fiamma, l'altra Chiara.
La scelta dei nomi, che è una curiosità ma non è un dettaglio, perché spesso la scelta di un nome per una storia è molto importante, come avviene?

Marco Erba Chiara evoca qualcosa di bello, trasparente, e Chiara è un po' così; è la tipica brava ragazza che a un certo punto dimentica la bellezza che ha per inseguire quello che non è.

Questo avviene perché siamo tutti in qualche modo fragili e alla ricerca di un feedback da parte degli altri. Capita a noi adulti di ritrovarci fragili in alcune situazioni e capita anche ai ragazzi delle medie e delle superiori in cui questo è centuplicato perché è un'età di crisi, “in senso etimologico”, come trasformazione, cambiamento, qualcosa anche di positivo, sicuramente. L'adolescenza è un'età bellissima, io ho dei ricordi meravigliosi, ho avuto amici e guide straordinarie a quell'età e per questo ho deciso di fare il docente e di scrivere questo libro perché parlasse a ragazzi di quell'età e adulti che hanno a che fare con ragazzi di quell'età. Chiara è una ragazza estremamente positiva, che però conosce una compagna e un ragazzo che la portano fuori strada.

Questo a me capita spesso quando leggo temi di ragazze in cui leggi cose profondissime e pensi “cavoli, a quindici anni ha una profondità eccezionale”, ti tirano fuori proprio delle perle. Poi arrivano i compagni e ti dicono “prof. guardi quella che alza sempre la mano e che fa la prima della classe, che foto ha messo su instagram!”. Tu guardi la foto, a tutto fa pensare, ma non alla profondità umana. Ti chiedi perché quella ragazza, che è così ricca interiormente, mette su instagram una foto di sé che da un'immagine completamente fuorviante. Va bene per far pensare a certe cose un ragazzo, va bene per avere 200 like su facebook. Ma dice quello che sei? No, dice quello che non sei. Quella foto lì in qualche modo vuoi essere apprezzata da un punto di vista che ti sminuisce. Quindi Chiara è pura, è trasparente, ma nel corso del romanzo si “butta via” e dovrà riscoprire quella che è.

Lodovica Cimaquando si ritrova faticosamente, si ritrova luminosa.
Marco Erba sì, luminosa, piena di luce e di forza, più consapevole di sé di quando si era smarrita e penso che questo nel periodo dell'adolescenza capiti molto. L'adolescenza è un'età di crisi e sofferenza; la sfida sia di trasformare questa sofferenza in qualcosa di bello per sé e per gli altri.


Lodovica CimaFiamma è invece arrabbiata...
Luisa Mattia sì Fiamma ha l'età che ha, le succedono cose che la travolgono e la disorientano. Ma dentro ha un fuoco. Ce l'aveva anche prima; ma ha un fuoco che fatica a dominare, tanto è vero che fa un sacco di cose che lei stessa non si spiega e non si domanda neanche perché le sta facendo. Le fa. Perché dentro c'è un fuoco vitale, che genera un'energia che poi lei riuscirà a utilizzare per se stessa e per gli altri. Fiamma mi è sembrato il nome perfetto per raccontare un po' come si sta sulle braci ardenti tra i 14 e i 18 anni.

Nel corso delle età si ritorna sulle braci ardenti ma in forme diverse.





Lodovica Cimaqueste ragazze fanno un po' di prove, prendono le misure con la vita. Ci sono dei cambiamenti grossi nella loro vita, ovviamente i cambiamenti del bruco prima di diventare farfalla, in cui c'è una grande fatica, un grande passaggio. Vi leggo due brani che parlano di questi cambiamenti.

Per quanto riguarda Fiamma

Ti metti con me. Ho risposto sì per fargli capire che ero d'accordo e felice quanto mai mi ero sentita prima. È una sensazione strana che mi prende le braccia, le gambe, dappertutto, e mi sento leggera e fortissima. Volo dentro, ma volo. A terra lascio i miei genitori”.

Questa è Luisa Mattia, una grande. Applauso. Scusate faccio l'editor da 25 anni e non posso fare considerazioni su questo libro...

Questa è la definizione che Fiamma dà del bacio “Un bacio è fatto di due bocche, un amore che cresce di parole zitte e di un abbraccio stretto che non conosce il tempo. Lo so è una cosa zuccherosa, mielosa, ma non riesco a spiegarla con altre parole. Mi viene così, mi piace. È dentro questo zucchero di parole che voglio stare”. applauso

Poi c'è Chiara, la brava ragazza, fa la scout, fa un sacco di cose per bene, di servizio, è brava a scuola. A un certo punto prende le misure con la vita.

E cambia e dice “Ieri pomeriggio sono andata da mia cugina Stefania, quella che mi ha scattato la foto del mare. Quasi tutte le estati faccio una settimana di vacanza con lei in Liguria insieme allo zio e alla zia. La zia è una che si tiene su, veste firmata, si trucca in maniera perfetta, insomma ha stile. Tutto il contrario di mio padre, proprio non lo diresti che sono fratelli. Mia cugina mi ha sorriso sorpresa, non mi aspettava a quell'ora. In genere sto ficcata in casa a studiare. Sono andata subito al dunque. Stefi, voglio cambiare stile. I suoi occhi si sono illuminati. Mi ha preso per mano, mi ha trascinata di corsa in bagno, lei, anche se ha solo un anno più di me si trucca da sempre, e già questa estate vuole insegnarmi a usare almeno a usare il mascare e la matita. E così è successo oggi. Qualche sbaffo, qualche ritocco, però me la sono cavata. Poi ho provato un sacco di suoi vestiti. Li ha tirati fuori tutti per vedere cosa mi stava meglio. E ora è il momento dell'esordio di Chiara 2.0. Un anno in più, vita nuova”. applauso

E qui inizia l'esperienza di Chiara che si vuole diversa da quello che è, senza accorgersene. Giusto?

Un'altra metafora è quella delle maschere. Il trucco è un espediente per mascherarsi. Anche Fiamma lo usa. E diventa qualcosa di diverso. Anche il protagonista maschile di “Tra me e te” è uno che ci va pesante con le maschere e qui vi leggo l'incipit del romanzo, perché è piuttosto forte, per inquadrare questo ragazzo che parla in prima persona.

Fra me e te c'è un abisso anche se hai più o meno la mia età. Anche se hai il mio stesso sguardo pieno di domande. Tra me e te c'è un muro invalicabile. Io sono biondo, tu sei moro; io sono elegante, tu sei vestito di stracci, io ho l'abbonamento, tu sei su senza pagare; mia madre lavora, tua madre ruba, io vivo in una casa ordinata tu in chissà in quale buco, io sono onesto, tu inaffidabile, io sono un italiano e tu uno zingaro e io gli zingari li brucerei tutti, come faceva Hitler. È inutile che mi guardi, cos'hai da guardare. Ecco, bravo, girati. Fra me e te è meglio mantenere una certa distanza. Ecco ora ci siamo, scendi. Che va bene. In questo pulmann senza di te si respira meglio. Ci fosse stato Hitler non saresti nemmeno salito. Adolf Hitler lui si che era un mito.

Ecco questo è l'inizio di come Edoardo si pone verso gli altri. Poi cosa succede?
Marco Erba L'inizo è volutamente duro e sconvolgente e deve suscitare una sensazione di pugno allo stomaco e di repulsione, non perché uno abbandoni il libro ma “scopra dove vada a parare” perché Edo non è quello che dice. Dice queste cose perché è un ragazzo ferito. Edo è un ragazzo vero nella realtà che si chiama Dario, che ha una situazione alle spalle ferita ed è quello che queste cose le dice su facebook, che è un potente aggregatore. Dice cose durissime, fa affermazioni devastanti del tipo “C'è in giro una donna musulmana che porta il velo” perché la donna musulmana non deve portare il velo perché siamo in Italia. Gli rispondo che in giro ci le suore che portano il velo, ma lui risponde che quello è diverso. È uno duro e intollerante.

Capita però che in classe Dario abbia una compagna che abbia dei problemi seri anche a livello psichiatrico e nessuno dei compagni di classe vuole stare in banco con questa ragazza. Perché quando uno ha dei problemi diventa anche fastidioso, persecutorio, possessivo: ebbene quando questa ragazza non era a scuola – io ho fatto una cosa ma me ne sono assunto la responsabilità – quinta superiore, entro in classe e dico i suoi problemi li conosciamo tutti noi però siamo una comunità, adesso io che sono il coordinatore di classe dico devono saltare fuori quattro persone che volontariamente stanno in banco con questa ragazza fino alla fine dell'anno facendo un patto di solidarietà concreta e vera prendendosi carico dei suoi limiti e dei suoi problemi. Chi ci sta? La prima persona che alza la mano di tutta la classe non sono le ragazze con il 10 di media in latino ma Dario, lui che aveva in latino 5 e ½ e sta per diversi mesi in banco con questa persona e dimostra una solidarietà strepitosa. Mi piace raccontare questa storia perché ha ispirato il personaggio di Edo; a volte la cattiveria che buttiamo fuori è una forma di difesa dalle fragilità che abbiamo con cui fatichiamo a fare i conti. applauso

Le amicizie

Lodovica Cimaa questo punto trattiamo un altro argomento fortissimo in tutti e due i libri che sono le amicizie, soprattutto quelle cattive, che fai fatica a capire che non sono quelle giuste. Tutti abbiamo avuto questa esperienza.
Tu Luisa parli, per esempio, esplicitamente, dell'invidia.

Luisa Mattia Fiamma a un certo punto si trova ad avere necessità di nascondersi a se stessa e lo fa in maniera evidente, mescolandosi con un gruppo di “amici” che secondo lei potrebbero essere un modo, un modello per stare al mondo, “ma va' a sapere”. È un modo per non fare i conti con se stessa (lo scopre dopo): c'è non solo l'invidia ma c'è anche la distanza (perché lei ha un'amica dell'inizio del libro che ha un nome che fa schifo, Berta, ma è lei la prima che lo dice quindi “sto tranquilla”). Ma con Berta non c'è un vero rapporto: Fiamma non ha ancora capito quanto può essere profondo un rapporto di amicizia, perché fugge e sfugge questo impegno, è disorientata, non ha punti di riferimento quindi si incarta intorno a rapporti che si rivelano velenosi, per lei per prima, e anche da parte degli altri. Perché c'è un continuo misurarsi e un continuo cercare di sminuire l'altro. Lei si trova invischiata in questa piccola melma di comportamenti che apparentemente sembrano cordiali e che funzionano secondo regole che tutti riconoscono, ma che non hanno alcuna vera sostanza. È come un gioco di scacchi, c'è uno che si sposta, quello che si allontana, quello che si avvicina, e l'altro che fa finta di esserti amico, e lei recita molto in questo ruolo, con sempre maggiore disagio, perché di questo si tratta, sente che non è lei; però è un passaggio che fa, perché rispetto alla vita che faceva prima, alla situazione in cui aveva prima deve trovare un posto dove stare e dice “adesso vediamo se funziona”. E pensa “adesso faccio come tutti, sono come tutti”. Ma è chiaro che nel momento in cui uno cerca di essere se stesso, essere come tutti non è di grande aiuto. Anzi, diventa una terribile condizione che viene subito notata, per cui diventi oggetto di invidia e sei un bersaglio indiretto. Fiamma non vive chissà quasi esclusioni, piuttosto situazioni in cui c'è ma è come se non ci fosse, diventa una sorta di bersaglio indiretto da parte di questi cosiddetti amici che non sono tali. Lo scopre un po' più avanti perché lei non sta dentro nel ruolo che si è scelta, che è un abito molto stretto.

Lodovica CimaChiara ha un'amica che è più o meno come lei, ma poi si catapulta in un mondo molto diverso dove pensa di essere molto amica di questa ragazza splendida, il cui soprannome è “la generosa” che le da addirittura lezioni su come ci si comporta con i ragazzi e, di conseguenza, con i genitori che rompono perché non ti fanno uscire e poi cosa si deve fare dopo un litigio... Come ti è venuta questa idea delle lezioni dell'amica velenosa?
Marco Erba le lezioni sono una cosa reale, sono delle lezioni che hanno fatto le mie studentesse a me quando ho scritto il libro. Essendoci due voci, per quella maschile, mi è stato abbastanza facile immedesimarmi nel personaggio di Edo, naturalmente non condividendo quello che pensa (il messaggio del libro è completamente l'opposto di quello che Edo afferma nella prima pagina, che è una provocazione); per il personaggio di Chiara mi sono fatta ispirare dalle mie studentesse e avevo una task force di una decina di ragazze di seconda scienze umane e chiedevo loro come funzionavano certe dinamiche e uscivano fuori dei racconti meravigliosi che neanche mi potevo immaginare. Guarda quella che indossa il giubbotto in un certo modo, si vede che è una... oppure chiedevo loro “devo scrivere una scena in cui un ragazzo ci prova con te, tu cosa faresti?” “Prof prof venga qua che le spieghiamo noi.” Ho scoperto una serie di regole sociali da far invidia ai personaggi dell'epoca di Anna Karenina... “Metta un po' di like sulle foto di facebook, poi ti scrivi in chat. Poi il giorno dopo lui arriva e tu devi trovarti un'amica con cui parlare perché altrimenti ti troveresti faccia a faccia con lui ma questo sarebbe troppo imbarazzante. Poi ti scrivi ancora un chat e andate avanti un po' così e a un certo punto ti chiede di vederti di persona. Ma di solito succede che la prima volta ti invitano da Mc Donald. Ma da Mc Donald nooo. Meglio andare a fare un giro al parco.”

Quindi mi sono fatto raccontare tutte queste dinamiche e quando si crea una relazione positiva ho imparato un po' a vedere il mondo con i loro occhi.

Una delle soddisfazioni più grandi è le ragazze che mi scrivono e mi dicono “hai reso esattamente quello che ho vissuto, mi sono ritrovata esattamente nel personaggio”. Questo non è merito mio ma di quelle ragazze che me lo hanno raccontato così bene da farmele “vedere”. Io l'ho messo solo in racconto.

Il ruolo degli adulti che ti lasciano spazio e ti sanno ascoltare

Lodovica Cimaun'altra cosa che non posso non notare è che in entrambe le storie gli adulti non è che facciano una gran figura. Quelli che si salvano sono i nonni. Lui ha una nonna e lei un nonno, che sono dei “principi” tra gli adulti.
Luisa Mattia gli altri non sanno che fare e non ho ancora deciso se sia o meno una fortuna per gli adolescenti, io credo che sia una condizione abbastanza diffusa tra i genitori.

Credo che sia una necessità, un distacco necessario, doloroso, a volte anche un po' punitivo perché gli adolescenti sono abbastanza spietati. I genitori spesso non sanno cosa fare. Anni fa ho visto il film delizioso “Sirene” con Cher, che interpreta la parte di una mamma “difettosa”, come mamma non rispetta nessuna delle regole, ama molto le figlie e ne cresce due una più eccentrica dell'altra; lei è la regina dello “svaporato” e a un certo punto in cui le figlie le chiedono di fare qualcosa per loro e c'è intorno una comunità che la osserva con un certo senso di disturbo, lei sbotta e dice “insomma, non siete nate con il manuale di istruzioni. Io a volte faccio quello che posso, a volte non ci riesco, non vi capisco, che devo fare?”.

Credo che sia una condizione abbastanza frequente nei genitori che mettono a letto a dormire il loro amato bambino e la loro carissima bambina e la mattina dopo si trovano in casa un marziano, lo guardano e si chiedono cosa sia successo in queste ultime 12 ore. Il marziano li guarda e chiede chi sono questi qua? Quindi si apre una voraggine e prima di ricomporre questa situazione ce ne vuole.

Ci sono delle figure intermedie: in alcuni casi sono le zie, nei nostri libri sono i nonni – coincidenza interessante – ma lì c'entra un po' di autobiografia, credo, non so nel caso di Marco, ma nel mio sì. Io avevo un nonno che non aveva il manuale di istruzioni per fare il nonno, nel senso che “non ne azzeccava una” a fare il nonno preventivato, ma per me è stato una sponda interessantissima perché non avendo obblighi educativi non doveva insegnarmi niente, era mia complice, sentiva, ascoltava.


Arriva improvvia la pioggia, ma in due secondi i ragazzi di Mare di Libri riallestiscono il tutto sotto il portico e Luisa Mattia dice“hanno costruito una platea nel giro di cinque minuti, un applauso ai ragazzi volontari”. Applauso.

Lodovica Cimastavamo parlando dei nonni che sono preziosi e Luisa ci stava spiegando che la sua è una scelta autobiografica...
Luisa Mattia ho avuto un nonno senza manuale di istruzioni, ha provato una volta sola ad accompagnarmi a scuola e mi ha lasciata a metà strada: arrivato davanti a un bar mi ha domandato “tu sai come arrivare a scuola?” Gli ho risposto di sì – avevo sei anni - e lui mi ha risposto “Brava, vai”. E si è fermato a prendere un caffè. Mia madre non è stata contenta, io sì. Perché è stata la prima volta che un adulto mi dava fiducia, infatti sono andata a scuola senza problemi. Mia mamma sosteneva che a sei anni questa cosa non andava bene e mio nonno, splendente nella sua irresponsabilità, la guardò e rise “perché?” e lei è rimasta senza argomenti.

Però io ero felicissima.

Questo nonno di Fiamma non è uno che abbia sempre le risposte, ma accoglie. E soprattutto ascolta. Credo che sia importante in cui si è in questa età di transito dell'adolescenza trovare un nonno, o chi per lui, che sia capace di non dispensare consigli. È difficile per un adulto. Ma trovare un adulto che ti apre la porta di casa, perde tempo insieme a te, continua a fare le sue cose, ti fa parlare, se non vuoi parlare stai zitto, accetta con semplicità, ti fa da specchio e da sponda, sai che non ti sta giudicando e non sta trovando soluzioni al posto tuo. Credo che questa sia una gran fortuna e se non arriva la fortuna bisogna andarseli a cercare adulti così.

Mio nonno un po' non ascoltava, il resto del tempo mi lasciava parlare e io avevo questa sponda silenziosa con il quale condividere del tempo, forse perché eravamo difettosi tutti e due; lui era stato tutto il tempo fuori dalle regole e avevo spazio ed essendo inadeguati tutti e due al compito, probabilmente si è realizzata questa solida complicità.

Nel caso del libro il nonno sta più zitto di altri e, però, apre la porta.

Lodovica Cimabellissima figura davvero. Invece nel libro di Marco c'è una nonna che sta zitta anche lei e ascolta molto e c'è un'altra figura importante, la prof. di arte che si chiama la “profetessa”, perché tutti nel libro hanno un soprannome in questo libro.
Marco Erba la profetessa è la professoressa di arte di Edo. Condivido al 100% le parole di Luisa e penso che sia la cosa più difficile ma anche più giusta da fare. Quando uno diventa adolescente comincia a crescere e il papà e la mamma non sono più Dio, non sono più le certezze assolute, ma vedi i loro limiti belli grossi e tu inizi ad avere una certa personalità e a prendere una distanza. Credo che i ragazzi abbiano bisogno di figure adulte che non calino verità dall'alto ma che condividano una parte di vita con te.

La profetessa è una professoressa che c'è davvero nella scuola dove insegno, che è la vicepreside. Vi racconto un episodio che conferma quello che diceva Luisa prima.

Capita questo. Seconda liceo scientifico: bravissimo ragazzo in prima, in seconda inizia ad andare “fuori di testa”, essere indisciplinato. Un giorno entro in classe, parte una scarpa volante che mi sfiora la faccia. Io lì non ho capito. Un insegnante deve cercare di capire gli episodi di disagio di chi ha davanti (ma anche un genitore). Io lì non ho capito, ho affermato un autorità e l'ho cacciato fuori dalla classe. Lui esce e fuori c'era la vicepreside, lo chiama nel suo ufficio e gli ha detto non “cosa hai fatto?”, ma lo ha guardato in faccia e gli ha detto “cosa succede - in generale - nella tua vita?” e lui ha spiegato che la mamma era malata da tempo - non lo sapeva nessuno - e stava a letto tutto il giorno. Io mi sono chiesto più volte cosa avrei risposto a quel ragazzo in quella situazione: un abbraccio, poverino... Sapete cosa ha fatto la profetessa? Non l'ha abbracciato, non gli ha detto “poverino”, l'ha guardato negli occhi e gli ha detto “ok questa è la situazione. Tu hai due scelte: primo, continuare a fare quello che stai facendo e dare un problema in più a tua mamma; due, mettercela tutta per fare il meglio che puoi per rendere felice tua mamma. Non posso scegliere io per te, però da oggi io ci sono per te e se vuoi, visto che a casa la situazione è questa tu puoi venire a studiare nel mio ufficio tutti i pomeriggi”. Era la metà di ottobre: da quel pomeriggio fino alla fine dell'anno, lui ha studiato nell'ufficio della profetessa mentre lei scriveva le circolari. In silenzio.

Io credo che l'adulto debba stare in silenzio ma farti sentire che c'è.

Il ragazzo ha cambiato completamente atteggiamento e rendimento perché ha trovato una persona che l'ha ascoltato e non gli ha detto come fare ma gli ha fatto vedere le due strade in cui lui poteva “giocare la sua libertà” e gli ha detto “Io ci sono”.

Lodovica Cimabello.applausi



L'amore e il sesso


Lodovica Cima Nel libro di Marco ci sono tante altre cose/argomenti ma non vorrei affrontarli tutti per non svelarvi troppo. C'è un argomento che non abbiamo ancora affrontato, quello dell'amore e del sesso.

Vorrei partire da una definizione che esce dalla bocca della “Generosa”, che consiglia Chiara, per poi fare una riflessione sull'argomento. Questa ragazza che è la nuova amica velenosa di Chiara dice che “le ragazze offrono sesso per ottenere amore, i ragazzi offrono amore per ottenere sesso”.

Marco Erba questa definizione è l'opposto di che cos'è l'amore secondo me o secondo la mia esperienza. Che cosa rischia di diventare l'amore; si discute di questo nel romanzo: quando dici “ti amo” a una persona, che cosa significa?

Dire “ti amo” molti lo interpretano così. “Mi fai stare bene e voglio stare vicino a te perché mi fai star bene”. Però questa definizione non basta perché dov'è la tua libertà? Dov'è il donare qualcosa di mio a te? Se io sto con te perché mi fai star bene, una volta che trovo i tuoi limiti che non mi fanno più star bene allora ti lascio e prendo un altro che mi fa stare meglio. Io ho la fortuna di essere sposato con una donna che amo moltissimo da molti anni - certo va benissimo quando va tutto bene e andiamo d'accordo, quando c'è la passione, c'è l'intesa - ma i momenti più belli sono quelli in cui io sono giù di corda o fragile e lei c'è lo stesso anche in quei momenti lì. L'amore non è tu mi fai stare bene e sto con te, l'amore è io ti voglio bene così come sei e ti invito a dare il massimo di te per rendermi felice così come sei, anche con i tuoi limiti. Questo vale per un ragazzo e una ragazza, per un genitore e un figlio, vale per qualsiasi relazione dove c'è un amore autentico.

Quando in terza media dissi a mio papà che volevo fare il liceo classico, lui si arrabbiò tantissimo e mi disse “non lo devi fare, perdi tempo, non troverai mai lavoro, devi fare l'istituto tecnico a indirizzo informatico e poi informatica all'università, così troverai lavoro”. Quella era la sua idea. Abbiamo litigato tantissimo. Poi un giorno mi è venuto a prendere a scuola, abbiamo pranzato insieme, mi guarda mi chiede “ma tu il classico lo vuoi fare davvero?” “Sì papà, ci tengo tantissimo, mi piace un sacco”. Allora mi ha risposto “Allora lo devi fare anche se non voglio, e devi dimostrarmi che ho torto io e che hai ragione tu”.

Perché l'amore non esiste senza libertà. Tutti i casi di oggi, come il femminicidio, sono tutti amori malati che privano l'altro della libertà perché l'altro deve essere come dico io, e deve rispondere alle mie esigenze.

Quando un amore non è più dono di sé all'altro e rispetto sacro della libertà dell'altro non è più amore. Quando un amore non è disposto a perdere l'altro per la sua libertà non è più amore. Lucrezia dice esattamente l'opposto. E da lì Chiara farà un percorso e capirà che il vero amore non è trattenere ma lasciare andare.

Applauso

Lodovica Cimaanche Fiamma ci mette del suo e fa delle riflessioni...
Luisa Mattia va in esplorazione. Perché anche lì siamo in un labirinto, quattordici anni, prima vacanza senza i genitori, uno si sente libero senza sapere cosa significhi e arriva anche quello che si chiama “primo amore” ma “va' a sapere se quello è il primo amore”. Credo che questa sia una condizione sia una condizione vera, sperimentata, lo chiamano “primo amore” perché è una faccia, un nome e chiami primo amore la prima volta che scopri dentro di te c'è un'altra, un'altra e un'altra e il corpo improvvisamente non è che ti parla ma fa rumore. È proprio un vortice, una tempesta, non capisci cosa caspita sta succedendo e non capisci che quello là, neanche poi non è neanche tanto male, sia interessante e scopre prima che la sua testa è il suo corpo che glielo dice.

Ragazzi è complicato andare appresso al corpo perché quello se ne va per conto suo. Quindi Fiamma fatica a capire, poi a un certo punto si chiede se ci sia nulla da capire e dov'è che va questo qua. È la prima condizione di grande superficie, lei non lo sa ancora, si mette addirittura contro la sua amica Berta, perché le è di intralcio, è la scoperta anche che nel momento in cui c'è un'emozione a cui non sai dare un nome, persino la tua amica che sembrava la tua migliore amica ti dà fastidio, sta là in mezzo, e non ci dovrebbe stare. Lei in maniera molto più istintiva che naturale segue questa spinta; non la segue neanche con il cuore ma cercando di capire dove vuole andare e vuole andare con Lorenzo. Questo è il punto. Il quale Lorenzo, nella sua semplicità, è chiaramente non adeguato alle aspettative di Fiamma, che ha tutto un suo mondo, un suo tumulto interiore, una sua psicologia già molto forte - non è Fiamma a caso - quindi Lorenzo non regge poi il confronto. Dovrà avvenire un altro passaggio con un tipo bizzarro, straordinariamente attraente non perché sia bellissimo ma perché non somiglia a nessun altro.

Lodovica Cima arrivo da un incontro precedente, su “Orgoglio e Pregiudizio”, dove la dichiarazione tra Lizzy e Darcy è una dichiarazione di disprezzo, più che di odio. Eppure è una dichiarazione d'amore. E mi è venuto in mente il collegamento: quando Fiamma incontra questo ragazzo all'inizio non c'è niente in comune.
Luisa Mattia non c'è niente in comune. Questo qua viene pure dall'istituto professionale. È pieno di difetti. Non è liceale, non è studente, è difficile da identificare perché sembra molto sicuro di sé. Sembra sicuro di se stesso, ha una fortissima identitià, che inizialmente le crea uno spiazzamento. Ma lo spiazzamento è un elemento - io credo - essenziale dell'amore. Se non c'è un momento in cui te lo chiedi e te lo chiedi ripetutamente (non a caso si parla di primo amore, perché poi ce ne è un altro ve lo comunico ufficialmente: dopo un primo amore ce ne è un secondo, tranquilli c'è un margine di azione!). In questo incontrarsi per diversità, c'è la bellezza dell'incontro vero. Ti innamori di ciò che non avevi previsto e credo che la durata, la continuità, la profondità di un amore, a 16 anni come a 60, sia proprio in questa capacità di riconoscersi diversi, di dirsi “io sto con te non perché siamo uguali ma perché siamo diversi; siamo io e te e siamo diversi”. Per Fiamma questo arriva tumultuosamente perché lei non è una tipa facile, è abbastanza ruvida, non ha sempre ragione, spesso ha torto, ci arriva dopo un po' a capire che ha torto, crea qualche problema, qualche attrito; anche questo ragazzo che è anche - come si dice a Roma “un po' morto di fame” perché non ha la macchina ma la bicicletta - non è che sia tutto sto gran ché ma poi, nonostante questo, alla fine lei arriverà a interessarsi a lui. In questo c'è un altro elemento autobiografico perché io faccio di questo ragazzo un calzolaio: mio nonno faceva il calzolaio e io ho sempre trovato seducente l'odore della pelle. C'è un capitolo in cui Fiamma entra nel negozio dove lavora questo ragazzo lei dice “bellissimo questo negozio: puzza”. Che è una dichiarazione strana, perché lei è spiazzata anche da questo, perché è strano che possa piacerle non il profumo della profumeria ma l'odore di un lavoro manuale che lui sta svolgendo e che fa parte integrante della sua identità.

Lodovica Cima abbiamo dato un'idea di come siamo entrati in queste due storie, non vogliamo rovinarvele perché c'è molto di più dentro e vediamo se avete delle curiosità. C'è qualche domanda?
...
Luisa Mattia la pioggia ha bagnato le domande...


Lodovica Cimaallora ultima cosa per chiudere l'incontro. Parliamo della scrittura, dello stile.
Il libro di Luisa è a tratti poetico e molto calibrato dal punto di vista della scrittura. È estremamente essenziale e proprio perché essenziale ti tocca nel punto giusto senza sbavature, senza andare mai oltre. Raccontaci come fai per ottenere questo risultato. Luisa è un premio Andersen da molto tempo.
Luisa Mattia come faccio? Io voglio molto bene ai miei personaggi. Faccio che non faccio niente per per molto tempo. Nel senso che penso anche in maniera disordinata, perdo tempo apparentemente, non scrivo una riga. Faccio altre cose. Voi direte “stai accampando scuse...”. Se vogliamo chiamarla “pigrizia”, prima di cominciare a scrivere devo avere preso contatto diretto con i personaggi come se facessero parte della mia vita quotidiana, quindi li penso anche quando vado al mercato a fare la spesa. Loro si tirano dietro la storia. A me non succede mai il contrario.

Prima c'è il personaggio: in questo caso il personaggio di Fiamma, che non somiglia a qualcuno nello specifico ma evidentemente ha una connotazione specifica a tante ragazze della sua età, la metto nei guai, subito, (questo sì, ho conosciuto una ragazza di 14 anni di grande sicurezza sul fatto che ci doveva essere molto movimento nella sua vita per diritto acquisito - quando sei un'adolescente e stai crescendo, chi ha diritto di camminare? Io! - intorno, grazie, state fermi. Facciamo che la mia vita così come la conosco continua. Non vi venisse in mente di spostare niente.) È nata da lì la carta di identità di questo personaggio. Perché poi gli scrittori sono dispettosi e un personaggio che dice, come inizia il libro “Ecco fatto” ovvero questo è, sono a posto; al secondo capitolo già gli rovesci il vassoio: guarda che portavi le tazzine così bene, ma si è rovesciato tutto, ora vediamo che combini. Io tutta questa parte la penso.

Poi quando comincio a scrivere sono veloce, ho chiarissimo come andrà avanti la storia, quando finisce un capitolo... non me lo scrivo, lo so, non è un merito, è il mio modo di raccontare. Ci sono state storie più complicate in cui ho avuto bisogno di scrivermi delle cadenze. Sennò riempio taccuini che non rileggo. Scrivo appunti che poi perdo, penso cose che poi dimentico, ma tutto questo fa parte della fase preparatoria. Dopodiché inizio a scrivere e scrivo sempre così. Ho bisogno di una parte iniziale di meditazione senza penna in mano, in cui faccio amicizia con i miei personaggi, soprattutto con quelli negativi. Quelli pieni di difetti mi interessano tanto, mi piacciono.

Lodovica Cima invece Marco ha una scrittura molto più che fotografa quello che si ha davanti, ti fa vedere esattamente quello che ti immagini. Qual è il percorso del tuo lavoro?
Marco Erba rubo tre immagini velocissime di tre scrittori famosi: il primo è Stendal, che diceva che per raccontare una cosa di impatto devi vederla nella tua mente, se vedi una cosa nella tua fantasia con la tua creatività poi ti uscirà naturalmente; il secondo è Stephen King che dice “Show don't tell”, fai vedere non stare troppo a raccontare; il terzo è Niccolò Ammanniti che dice che scrivere un romanzo è come scavare una rotaia, tu vedi più o meno qual è il tuo percorso poi durante la strada devi, ma le tappe iniziali e finali le hai bene in mente. Io prima vedo i personaggi a lungo, come Luisa, facendo avanti e indietro da scuola, poi in modo quasi morboso faccio una scaletta che poi cambia nel corso della narrazione; essendo Fra me e te un racconto a due voci avevo ritagliato pezzetti e li avevo ricombinati; ma poi quando scrivi ed entri dentro a un personaggio, come dicono molti scrittori e l'ho sperimentato anch'io, il personaggio prende vita nelle tue mani e a volte fa cose che non ti aspettavi. Però devo sapere da dove parto e dove arrivo però devo sapere qualcosa della trama devo farlo a tavolino prima di scrivere. Il processo di scrittura la cosa più veloce.



Lodovica Cimagrazie a Luisa Mattia e Marco Erba di essere stati con noi. Lasciamo spazio a un altro evento.

Forte applauso.

Grazie, incontro bellissimo, moderato in maniera perfetta da Lodovica Cima.


#MDL2016 Beatrice Masini, con la sua “Cena del cuore”, presenta Emily Dickinson

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Lo scorso 19 giugno a Mare di Libri(#MDL2016), Rimini, Beatrice Masini ha conquistato il pubblico gremito nella Sala del Giudizio del Museo della città, costituito non solo da giovanissimi ma anche da editor, scrittori, blogger, giornalisti, bibliotecari, che le ha dedicato un applauso finale prolungato e ha richiesto del tempo per le dediche.


Nel corso della conversazione sulla poetessa Emily Dickinson, l'autrice ha presentato il libro “La cena del cuore”, illustrato da Pia Valentinis ed edito da rueBallu nella collana Jeunesse ottopiù (link qui).

La scrittrice ha esordito raccontando che “Emily è una vecchia amica” che l'ha accompagnata sin dalla sua adolescenza, incontrandola diverse volte non solo per la sua grande passione per la poesia ma anche guardando le antologie a lei dedicate. Insomma, ha letto “Quello che era necessario e sufficiente per entrare lentamente nel suo mondo... Crescendo mi sono interessata alla sua vita e alla sua esistenza”, nonostante sia restia spesso a incontrare autori che ama per non restare delusa. In questo caso, ha spiegato, “Credo che sia legittimo interogarsi sulle vite degli scrittori, quelle che sono passate, che si sono depositate, che sono lontane da noi e su cui tanti hanno scritto e lavorato anche per capire la cornice intorno alla quale sono nate alcune opere.

Ha proseguito raccontando che legge anche molta saggistica “Ho infilato anche una bibliografia di studi sia italiani sia stranieri sulla poetessa. Poi mi sono resa conto di un'altra cosa, grazie anche al mio lavoro di editor, che ci sono romanzi che si imperniano su di lei, sulla sua vita e non vita, sulle persone che l'hanno circondata, in particolare nel mondo americano è diventata una sorta di leggenda e ci sono un sacco di romanzi, albi anche per bambini, storie per ragazzi e per adulti che attingono alla sua vita, quindi conoscere i fatti “asciutti” e la storia romanzata diventava un modo per incorniciare meglio lei come personaggio, come succede tante volte sia per questi suoi estremi della sua vita: per il fatto di essere così ombratile, preclusa, autoreclusa nella sua casa, i vestiti bianchi, la scoperta delle sue opere dopo la sua morte.

Quando amo molto un autore ho paura di incontrarlo e non ingaggiarmi nell'approfondimento del suo mondo perché mi trovo un po' a disagio, quasi a dissacrare un tempio in cui l'ho messo. Poi, mi è capitato anni fa con Virginia Woolf, non pensavo ormai di poter scrivere qualcosa su di lei, ma l'ho fatto e ne sono stata contenta, perché avevo sentito un tuffo molto intenso nel suo mondo, molto preciso.

In questo caso avevo forse accumulato di più sia in termini di letture sia di riflessioni e alla fine mi sono sentita pronta a farlo anche se ho dovuto ripassare la mia conoscenza dispersa e frammentata nel corso degli anni e mettermi a rileggere. Rileggendo mi sono resa conto che il problema – come sempre in questi casi - era trovare il bandolo, come si racconta la vita di uno scrittore? Dall'inizio alla fine? Certo, era la cosa più logica. Però era la meno logica pensando di scrivere un libro che è una sorta di introduzione al mondo di Emily e non ha nessuna pretesa di essere esaustivo, né di accademismo né di scientificità. Ho preso un sacco di appunti, li ho ridotti e concentrati e sono finiti quasi tutti dentro questo quaderno che ho portato con me
.”

… e presenta alla platea un bel quaderno ricco di appunti e spiega che in un mondo fatto di computer “Ho ancora la mania di avere sempre con me quaderni belli, penne e inchiostro. Questo mi è stato regalato da un'amica e l'ho tenuto bianco finché non ho trovato qualcosa di interessante con cui riempirlo, che non è stata altro che una “distillazione” di quello che avevo raccolto nel tempo, le mie riflessioni, le parole chiave, le citazioni che mi veniva spontaneo riscrivere e depositare sulla carta perché sembravano per me più importanti di altre. Questo quaderno è diventato la guida sopra la quale ho costruito un progetto”.

A furia di setacciare, a furia di leggere e rileggere, ho capito che scegliere le parole che per me affioravano più ricorrenti dentro l'opera di Emily potevano essere una buona chiave per posarle come una sorta di filo conduttore per raccontare la sua vita.”

Un racconto che viene completato da un bellissimo corredo iconografico di Pia Valentinis che – spiega Beatrice Masini - “ha fatto un lavoro egregio commentando attraverso le sue illustrazioni questo libro, e diventa anche la guida della conversazione proprio perché c'è una progressione, c'è una logica, che lega queste parole e le mette in sequenza”.


Emily: una vita breve ma intensa

Con una sintesi soppesata da parole pensate e ricche di dettagli, Beatrice Masini ha introdotto la vita della poetessa Emily Dickinson (link), nata nel 1830 ad Amherst, in Massachussets, una cittadina piuttosto importante della costa est degli Stati Uniti, dove sono arrivati i pellegrini protestanti.

Emily nasce in una famiglia importante e agiata, il nonno è stato il fondatore di un'istituzione scolastica prestigiosa, il padre è il tesoriere della scuola e fa parte del senato degli Stati Uniti”.

Viene fuori il ritratto di una famiglia molto legata, con una madre molto sommessa, severa anche se molto affettuosa, e due fratelli Austin - Emily è la seconda - e Lavinia, soprannominata Vinnie.

Emily studia, va a scuola e poi nel primo college femminile degli Stati Uniti. Lì ha già una particolare predilezione per la letteratura e per le scienze. Noi associamo la poesia al mondo dei sentimenti o della letteratura e invece lei ha studiato anche matematica, chimica, fisica, geologia”.

Nonostante passi poco tempo al College ha una vita sociale molto intensa, e fa amicizia con persone a cui resterà legata a lungo, grazie a una corrispondenza molto fitta che inizia durante gli anni della scuola e che “sarà una parte importante della sua vita”.

Purtroppo il suo stato di salute non le consente di rimanere a lungo e per una malattia non meglio chiarita starà sempre chiusa in casa. “Nel periodo del college e anche nel periodo precedente è una ragazza come tutte le altre, fa le corse in slitta: c'è il luccichio negli occhi, ci sono le gote che bruciano di freddo, ci sono i balli, gli scambi di valentine, il fervere di vita intensa che l'avvolge e la rende felice, anche se quando è lontana da casa scrive tante lettere ai suoi familiari manifestando la sua nostalgia per questo nucleo caldo importante che è la sua casa”.

Illustrazione di Pia Valentinis su "La casa".

Una parte importante nella vita di Emily è la sua abitazione: “la grande casa dei Dickinson è la prima casa in mattoni della città, la più prominente della città; in questa casa passerà quasi tutta la sua vita. Nel frattempo il fratello si sposerà con Susan, una cara amica di Emily, e andranno a vivere in fondo alla nuova proprietà in una nuova casa poco distante, costruita appositamente, lì nasceranno i nipoti di Emily. Lei aveva un rapporto speciale con i bambini, sia con i figli di amici, sia con i nipoti, sia con i figli dei vicini o degli indiani o ancora dei domestici.


Nonostante la schiera di domestici, la famiglia non ha una vita particolarmente lussuosa, e stando in casa Emily “lavora, spolvera traffica, pulisce, impasta il pane, pela le patate; esattamente la stessa cosa fanno sia sua sorella sia sua mamma; sono persone importanti che però lavorano, fianco a fianco con i domestici, sviluppando dei legami molto intensi con loro
Emily vive in questa piccola cerchia di casa/giardino e altra casa in fondo alla casa, di parenti strettissimi per tutta la vita tranne qualche sporadica visita in altre città, come a Boston per il suo stato di salute (non ben diagnosticato). Sta in questa strettissima cerchia dove passa gli ultimi 15/20 anni della sua vita senza mai uscire, tranne una volta, quando uno dei suoi nipotini muore e attraversa il giardino e va a dare il suo ultimo saluto.”




Beatrice Masini prosegue nel racconto dicendo che Emily “Era una donna silenziosa, però con tante chiacchiere dentro alla testa, che ha voglia di conversare con il mondo perché scrive tantissime lettere alle sue amiche e la sua cerchia di corrispondenza è fatta anche da persone sconosciute o poco conosciute con cui lei prende contatto nel momento in cui inizia a scrivere poesie e ha bisogno che queste poesie siano riconosciute dal resto del mondo: per cui si mette in contatto con critici, scrittori, personaggi che oggi non ci dicono nulla salvo che lateralmente alla sua vita, mentre lei che era ignorata c'è ancora. E loro allora costituivano l'autorità, consentivano la pubblicazione di racconti o poesie sui giornali o sulle riviste che dirigevano o coordinavano. Lei inizia in maniera insistente e costante nel tempo a chiedere il loro parere, a raccontarsi, a raccontare la sua dimensione domestica; dice "io sono grande come il mio cane”, infatti era piuttosto minuta. Racconta cose della sua vita quotidiana, “quel suo apparente accontentarsi di poco” anche se nelle poesie mette invece la “vertiggine di orizzonti sconfinati”, parla di spiritualità, del cielo, dell'amore anche se qui non sappiamo tanto della sua vita sentimentale, sappiamo di possibili storie, di cui una con un signore che però era sposato, poi resta vedovo e muore due anni prima di lei e tutto finisce."

"Ci sono molte poesie dedicate all'amore come esperienza sconvolgente e sconquassante, che ti trasforma, ti rende un alto, uno strano rapporto con il “Padrone” ovvero il tuo cuore, quello che fa ti te quello che vuole, però nello stesso tu resti sempre padrona del tuo esprimersi nei suoi confronti."
 È molto chiara e vivida nel saper raccontare se stessa anche in un'emozione così complicata che forse non è mai diventata concreta per quel sappiamo noi; se della prima parte della sua vita sappiamo abbastanza e non ci sono tracce di legami, il resto è stato tutto condotto per corrispondenza, per interposta carta. "

"Nel tempo scrive, pare scrivesse di notte e che dedicasse le ore notturne a se stessa e faceva tante cose in casa; aveva un piccolissimo scrittoio, minuscolo, e c'è questo senso del piccolo. Le grandi cose messe nel piccole; anche le sue poesie sono su bigliettini, pagine ristrette, rovesci di buste usate, liste della spesa, tutta la carta che trovava la riempiva di messaggi per se stessa e di appunti, poesie, anche brevi, fatte anche di due o tre versi, delle sorti di schegge o prendeva dei fogli li ripiegava su se stessi e li cuciva come fanno i bambini e ci sono queste minuscole paginine. Nessuno conosceva l'entità della sua produzione finché lei non è morta nel 1886 e solo allora la sorella Vinnie scopre uno scatolino di legno in cui ci sono circa 1800 componimenti."

"Non che la gente non sapesse che Emily scrivesse, lei aveva anche inviato ai critici del materiale da leggere – in questa ricerca di approvazione – da cui si aspettava un riconoscimento. Perlopiù le risposte erano state piuttosto taglienti: poiché lei scrive in un modo piuttosto imprevedibile per l'epoca, senza usare un metro, senza stare in una struttura tradizionale; usa i trattini al posto del punto fermo, o del punto e virgola, la sua punteggiatura è molto spettinata per cui bisogna immaginarsele queste poesie che per certi versi sono ancora enigmatiche poste davanti a questi signori così seri e posati che si aspettavano dalla poesia qualcosa di molto serio e prevedibile e contenuto; chiaro che sussultassero; alcuni ci intravedevano qualcosa ma non erano neanche sicuri di questo qualcosa. Alcune delle sue poesie sono state pubblicate su qualche rivista ma chi le ha pubblicate è intervenuto pesantemente facendo quello che si definisce editing ovvero “correggendole, aggiustandole, pettinandole” e quando lei si è resa conto della violenza di questo editing ha deciso di non inviarle più a nessuno e la maggior parte è rimasta chiusa in questo cofanetto."

Alla sua morte "c'era l'esigenza da mettere in valore quello che era considerato un patrimonio, se non altro per la quantità, anche se poi non si capiva bene come definirle, come ricopiarle, come metterle insieme". Per diversi motivi complessi l'intera opera non viene completamente alla luce in toto se non negli anni Cinquanta, quando “inizieranno studi accademici sulla sua opera, che restituiranno la punteggiatura disordinata così come era e che si preoccuperanno di collocare le poesie nell'ordine giusto incorniciandole dal punto di vista cronologico giusto. A Amherst c'è la casa natale di Emily, la Dickinson-Austen sede di un museo dove viene esposta una copia dei suoi vestiti bianchi. Perché nell'ultima parte della sua vita vestiva solo di bianco, anche se era il contrario della logica perché una donna che passa tanto tempo della sua vita a cucinare, fare marmellate, vuol dire che è sempre sporca, è un dettaglio su cui riflettere.”

La Masini spiega che negli Stati Uniti la poetessa è ormai diventata oggetto di culto “ci sono citazioni dirette e indirette nei romanzi americani” e che “nel linguaggio colto statunitense è abbastanza un'abitudine pescare dai suoi pensieri come se niente fosse. Simon & Garfunkel  le hanno dedicato una canzone "For Emily, whenever I may find her...", in Colpa delle stelle di John Green c'è citato un romanzo che non esiste “Imperial affliction” che è in realtà il verso di una sua poesia. Se volete fare un corso lampo “emiliesco” John Green e il fratello hanno fatto una serie di video che si chiamano crash corse, brevi corsi animati e ce ne è uno bello su Dickinson (link) per testimoniare la sua venerazione per questa signora.”



La cena del cuore

Ecco che Beatrice Masini racconta alcune parole del libro. Un libro a mio parere davvero poetico, dove la poesia di Emily Dickinson si disperde nelle parole poetiche di Beatrice Masini, il cui confine è davvero labile, tale è la delicatezza del racconto. Non poteva esserci persona migliore per descrivere in modo poetico una poetessa, il tutto accompagnato dalle delicate illustrazioni di Pia Valentinis, che ci fanno immaginare il suo mondo fatto di piccole cose, di briciole e scampoli di vita.

Casa. La prima parola che ho scelto è Casa, ed è simboleggiata da questa illustrazione in cui c'è il nido e un piccolo ritratto della casa di Emily. Possiamo leggere le sue parole. Un testo fondamentale sono state le lettere al resto del mondo dove ho trovato molti suggerimenti per cercare di trovare il suo mondo.

Dicono che casa è dov'è il cuore. Io penso che sia dov'è casa, e tutto attorno”. La cosa è una casa, non c'è molto altro da dire, soprattutto per una che si definisce una “regina della polvere dello sporco”.



Ritratto.Esistono due ritratti con i fratelli, un quadro di famiglia, lei ha i capelli rossi, una faccetta buffa con un libro aperto e una rosa aperta tra le pagine, e una fotografia, l'unica, scattata quando aveva 17 anni. Proprio perché era l'unico ritratto, c'era bisogno di lanciare un personaggio, quella immagine era distante dalla maturità di Emily e scanzonata e le hanno aggiunto sia bande di capelli mossi e ondulati, sia un colletto di pizzo severo, da signora. Lei non era così.

Pietre. Allude alla sua inclinazione per il mondo della scienza, che ha lasciato indietro, la vita la definisce un “silenzioso vulcano”, lei spesso cita i vulcani: etna e vesuvio, pensate cosa dovevano essere per una persona nata negli Stati Uniti, erano solo parole lette nei libri, nei classici; e invece usa queste parole come se fossero di vita quotidiana.


Illustrazione di Pia Valentinis su "Cani, gatti e il resto"
Cani, gatti e il resto. Poi ci sono gli animali: lei ha amato sempre i cani, ma c'erano anche i gatti, particolarmente amati da Laviniail mio gatto ideale ha sempre un topo nella bocca che sta per sparire - e quello star per sparire ha in sé un fascino particolare”.

E gli uccelli “Ci si sente soli senza gli uccelli perché piove forte, e i piccoli poeti non hanno l'ombrello”.

Fiori.Emily a ragazzina fa un erbario accurato, uno dei libri preferiti rimane il libro della botanica del Nord America che tutte le primavere lei rilegge come se fosse nuovo, perché così conosco di nuovo tutte le piante che ci circondano.

Leggere, scrivere e leggere.Una persona che scrive è anche una persona che legge. Ha una grande passione per Emily Brontë, autrice di Cime tempestose, ha letto anche la sorella Charlotte autrice di Jane Eyre, George Eliot, Elisabeth Barrett poetessa molto malata, che si è innamorata di un poeta, Robert Browning, con cui è scappata ed è andata a vivere a Firenze.

Ci sta dicendo che i libri non costano niente ma ci portano molto lontano.

Fra i tanti corrispondenti aveva anche bambini e ragazzi. C'è una lettera che scrive a dei ragazzi “Cari ragazzi vi prego non crescete mai, che è molto meglio. Vi prego, non migliorate mai, siete perfetti adesso”.

Famiglia. Fra le persone di famiglia c'era anche Susan, la moglie di suo fratello a cui ha dedicato una poesia molto bella “Ho una sorella in casa nostra, un'altra una siepe più in là. Una sola è registrata ma entrambe appartengono a me. Una è venuta dalla mia strada e portava il mio vestito smesso, l'altra come un uccello ha fatto il nido tra i nostri cuori. Oggi è lontano dall'infanzia, ma su e giù per le colline, ho tenuto stretta la sua mano che ha accorciato le miglia”.



Amore.Pia Valentinis ha dipinto un albero con le mele in riferimento a una bellissima poesia di Saffo, perché Emily è come una mela rimasta sull'albero. È una mela che non è mai stata colta. Non ha mai vissuto l'amore ma l'ha colto, l'ha bevuto, l'ha assaporato, sicuramente.

Amore tu sei alto, io non posso scalarti, ma se fossimo dueper lei è sapere com'è quello che prova ma senza una risposta diretta, anche concreta. Fra l'altro quel signore di cui parlavo prima, rimasto vedovo, era un amico di suo padre, c'era un'immensità di anni tra loro, ma l'incontro di anime non ha età.

Successo. In tutto quel desiderare riconoscimento da parte del mondo, c'era il desiderio di possederlo.

Non sappiamo mai quanto alti siamo 
Finché non ci chiedono di alzarci.
E allora se teniamo fede al nostro piano
il cielo raggiungiamo. 
L'eroismo che facciamo nostro
Sarebbe ordinaria cosa
Se per paura di essere re
Non ci piegassimo nella posa.”

Le poesie si possono interpretare in ogni modo. Io credo che qui lei ci dica Non bisogna mai avere paura di essere re.

Bianco. Ossessione del bianco che però si accompagna a un amore a tutti i colori dell'arcobaleno che racconta con una minuzia di particolari, un'accuratezza straordinaria, soprattutto nelle lettere

Venerdì ho assaggiato la vita. 
È stato un bel boccone. 
Un circo è passato davanti a me, 
sento ancora il rosso in testa 
anche se i tamburi si sono azzittiti.

Ci piace marzo, 
le sue scarpe sono viola

E sul trascolorare delle stagioni: dall'autunno all'inverno
 “Le colline si tolgono il frack violetto. 
Indossano lunghe camicie bianche. 
C'è qualcosa di bello e qualcosa di triste nella toeletta dell'anno.”

Violette sono i fiori che l'hanno accompagnata nella bara bianca. La morte ha sempre accompagnata Emily, che aveva tantissimi amici morti durante la guerra civile.

Morte.Lei spesso doveva scrivere lettere di cordoglio alle famiglie e scrive a un amico di famiglia pregandolo con onore di evitare la morte. Dà l'addio a tanti bambini e ne parla spesso con libertà.

Chi sta morendo ha bisogno di poco, caro,
Un bicchier d'acqua gli basta
Il volto sommesso di un fiore
A punteggiare il muro.
Un ventaglio, forse, il rimpianto di un amico,
E che nell'arcobaleno
Non veda più colore
Quando te ne sarai andato”.

Questa è l'ora di piombo
Che chi sopravvive ricorda 
Come chi gela ricorda la neve
Prima freddo - poi stordimento - 
 poi lasciarsi andare”.

PS: Nel sottotitolo si parla di “Tredici parole per Emily Dickinson”, ma la tredicesima rimane al lettore cercarla. Chissà ognuno di noi quale sceglierà. Io sceglierei forse piccolo.


Qui potete trovare alcuni approfondimenti: Biblioragazzi, Rai Letteratura, SoloLibri,LiberwebApedario

Campus tra judo e natura a Livigno

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Si è tenuto in questi giorni a Livigno (SO) il campus di allenamento agonistico di judo coordinato da Paolo Belingheri (qui). A fine giugno, proprio nello stesso posto, ho potuto "assistere" come mamma – per la prima volta la struttura è stata infatti “aperta” anche ad alcuni genitori interessati - al bellissimo campus coordinato sempre da Paolo Belingheri in collaborazione con le associazioni sportive dilettantistiche Judo Club Segrate, Mon Club di Appiano Gentile, lario Scuola di Judo Como, Arché Danza e con lo staff tecnico costituito da Paolo Belingheri, Moreno Ragosa, Paolo Piacenti, Laura Di Adamo, Francesca Nava a cui ha partecipato anche il maestro Matteo Simonit in veste non di judoka ma di super cuoco (alla prova con una sessantina di bambini da sfamare!), e Valentina Risi, anche lei judoka, in veste di coordinatrice un altro gruppo di ragazzi.

È stata una bellissima occasione per osservare da vicino questa arte marziale accostata alla danza, in una dimensione legata al rapporto con la natura.

Il campus, che si è svolto nella struttura autogestita Lo Chalet del Sole (link qui), ha permesso a bambini e bambine da 6 a 12 anni di poter respirare a 1800 metri un'atmosfera di sport e divertimento, immersi nel bellissimo contesto di un posto rinomato e ricco di animali e piante.


Agli appassionati naturalisti come la sottoscritta posso solo dire che eravamo attaccati a un sistema di tane di marmotte costituita da una famigliola di almeno sei individui, che si potevano osservare sia dalle finestre sia avvicinandosi pian piano: raggiunta la distanza di sicurezza un fischio forte veniva emesso dalla sentinella

 
(le marmotte hanno due fischi diversi, uno che indica i predatori da terra e uno che indica quelli dal cielo) e a una a una rapidamente le bestiole sparivano. 
 
 
 
I più lenti e meno paurosi erano i cuccioli, che le prime volte li lasciavano osservare giocherellando più facilmente.

Posso solo provare a descrivere attraverso alcune immagini i paesaggi che ci hanno riempito il cuore e accompagnato durante il soggiorno: prati sconfinati alle spalle dello Chalet, coperti da fiori rosa, gialli, bianchi, violetti, visitati da tantissime farfalle di forme e colori diversi, il tutto incorniciato dalle montagne che “vegliavano” su di noi (poco distanti dal Parco nazionale dello Stelvio e daParco nazionale svizzero).

Il paese era raggiungibile a piedi o con il pulmann ma era a una giusta distanza per essere circondati quasi esclusivamente dalla natura.

I ragazzi sono stati divisi in squadre con un capogruppo adulto e a turno erano di corvè in cucina, cimentandosi ad apparecchiare, servire e sparecchiare e spazzare. Un modo semplice ma molto efficace per insegnare a stare in gruppo e a rispettare alcune minime regole di convivenza.



Judo


Poi, mattine o pomeriggi spesi a fare lezione di judo, con il maestro Moreno Ragosa assistito da Valentina Risi, Paolo Piacenti o – eccezionalmente – dal maestro Paolo Belingheri

(che si è occupato di tutta la complessa organizzazione e del rifornimento di cibo: non poche bocche da rifocillare ogni giorno).
Un gruppo di ragazzine, seguite dall'insegnante di danza Francesca Nava, ha quasi sempre partecipato e provato la disciplina del judo, imparando il contatto diverso tra i corpi, che nella danza mantiene le distanze, nel judo comporta un contatto fisico con il compagno.

L'omaggio della danza al judo


In omaggio a questo incontro di discipline, Francesca ha inventato una coreografia dedicata al judo.


Gite fuori porta
Quando i bambini non erano dediti allo sport, abbiamo trascorso il tempo a fare passeggiate nel verde o a una malga con un tragitto facile ma suggestivo, con soste alla “latteria”, un posto dove gustare gelati e dolci.

Parco avventura

Un giorno ci siamo anche lanciati giù dagli alberi, immersi in un bosco di larici secolari. Siamo infatti stati al Larix Park (link qui) dove Simone Nani, il titolare, e i suoi collaboratori ci hanno messo le imbragature e insegnato a compiere le discese in altura sugli alberi con le carrucole.

È stata una giornata veramente emozionante e piena di adrenalina. La prima volta è sempre quella che si ricorda con maggiore risalto e non vedo l'ora di tornarci.  


Questo Parco avventura ci ha consentito di cimentarci con funi, carrucole e liane, regalando emozioni uniche e indelebili. Io ho provato diversi percorsi, alcuni con un ragazzino al seguito – come richiesto dal percorso– e in uno, per sbaglio, ho sperimentato anche il jump (salto) finale con tanto di discesa con una fune elastico da un'altezza considerevole. Gli occhi attenti del personale mi hanno consentito di farlo con tutta la sicurezza e la tranquillità del caso. Anche se al momento del salto tranquilla non ero per nulla ma poi il divertimento ha preso il sopravvento sulla paura.

La gita al fiume

La settimana è trascorsa velocemente: non è mancanta neanche una grigliata tra i boschi,


con bagni nel fiume e una mia improvvisata prova di “land art” - seguendo i consigli di Paola Tonelli di cui avevo seguito un corso durante un incontro della Rete di Cooperazione educativa (link qui)- che ho provato a proporre ad alcuni bambini e bambine: uno sparuto gruppetto che la curiosità ha fatto lievitare, come sono lievitate le opere, progetti personali o collettivi in cui ifiori e i diversi materiali offerti dalla natura hanno consentito di far nascere.





L'opera di cui sono più fiera e che mi ha emozionato, è stata l'albero delle parole, in cui i ragazzi hanno elaborato le parole più significative legate al nostro campus.


Non è mancata neanche una caccia al tesoro, improvvisata velocemente ma con molta creatività da Valentina, che ha consentito ai ragazzini e alle ragazzine divise in gruppi di cimentarsi in prove di atletica e di intelletto, con tanto di invenzione di canzoni e balli coreografici.


Nel corso del soggiorno c'è stato anche il compleanno di Mirella, festeggiato in maniera speciale grazie anche all'inventività di Valentina, a due barattoloni di Nutella “messi a disposizione” da Edoardo, e alla creatività culinaria di Matteo.


A proposito di Matteo, un grande plauso va a lui che, mettendosi a disposizione del gruppo si è dedicato alla cucina full time (a volte aiutato da Moreno) sfamandoci alla grande.  


Un plauso a Francesca e a mamma Cristina che spesso hanno aiutato a rigovernare i pentoloni enormi e tutte le vettovaglie.


A conclusione della settimana un bellissimo incontro finale di judo, che è una disciplina che insegna il rispetto dell'altro e ha voluto lasciare un bellissimo messaggio di convivenza e conoscenza reciproca.

Del judo e dei suoi effetti benefici mi ripropongo di parlarne più avanti con due protagonisti di questo campus.

Da mamma posso dire che è stato bellissimo stare al tempo stesso accanto ma distaccata a mio figlio (che non ho quasi incrociato), vederlo attento agli altri e sereno con i suoi amici, vecchi e nuovi. Mi è piaciuto essere una spalla, una mamma per chi ne aveva bisogno - ringrazio gli organizzatori per avermi consentito di apportare il mio apporto senza invadere troppo - spero - il campo - e seminare qualche lettura di poesia qua e là e dispensare libri a chi ne avesse voglia e ne fosse privo.

Diversi mi sembra abbiano apprezzato.

È stato bello anche confrontarsi con persone diverse da me e vivere la quotidianità in un gruppo così numeroso che richiede uno sforzo non indifferente da parte di tutti.

Un'esperienza sicuramente positiva che ha agli occhi di una biologa amante della natura e degli albi illustrati applicati a laboratori creativi ha mille ulteriori possibili sviluppi...

"Se fossi un uccellino", di Guia Risari e Simona Mulazzani, La Spiga Edizioni

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Fresco di stampa, "Se fossi un uccellino", l'albo di Guia Risari e Simona Mulazzani, edito da La Spiga Edizioni, nella collana Lilliput (link qui), invita bambini e adulti a sognare. Un messaggio che arriva proprio al momento giusto, alla ripresa della scuola con tutto quello che questo implica, compresi il ritorno alle routine di sempre, le attività frenetiche e i tempi a volte un po' troppo "stretti" a cui i nostri figli sono spesso "forzati".

La protagonista è una bambina dalle trecce rosse o, forse, i protagonisti sono due, lei e il pettirosso il piccolo volatile colorato che ha scelto come "alter ego" per andare a esplorare con le ali della fantasia il mondo che la circonda. Rosse ciliegie mature ci rammentano ancora l'estate, con i suoi ritmi lenti e rilassati, dove ogni cosa è possibile,

come il tenero abbraccio tra l'uccellino e l'albero, che ci ricorda quanto per i più piccoli (e aggiungo anche per i più grandi) sia importante la Natura e il contatto anche fisico con essa, di cui facciamo parte. Non a caso sempre più interesse sta suscitando il sito e l'omonima pagina facebook di Bambini e Natura (link).

Ma la nostra avventurosa protagonista è solo all'inizio del suo bellissimo viaggio, che la porta a compiere tutte le azioni importanti: cantare (in effetti i gorgheggi del pettirosso sono tra i più allegri e armoniosi che ci siano) "ai fiori rosa che si agitano come gonne leggere", respirare i profumi più amati,  mangiare il cibo più ghiotto, bere il giusto, con moderazione, (l'acqua è il nostro oro blu e l'uccellino ci fa riflettere su quanto sia un bene prezioso da non sprecare).

Poi su, e ancora più in alto (non è uno dei più grandi desideri dell'Uomo, da Icaro in avanti?).
Infine, un forte richiamo al gioco e alla creatività, di cui i bambini sono naturalmente dotati, prima a sbizzarrisi con le nuvole dalle forme più strane... 

... poi la magia che solo l'arcobaleno può creare, specie se intrecciato alla fantasia.


E dopo tutte queste appaganti esperienze si ritorna a destinazione. Arricchiti, appagati e felici.

Un albo molto delicato, ricco di spunti e riflessioni, che ci accompagna dall'inizio alla fine come una melodia, con le parole poetiche di Guia Risari (sito qui) - di cui ho parlato anche sul blog qui - e le illustrazioni sognanti Simona Mulazzani (non a caso premio Andersen: qui una breve presentazione sul sito dei Topipittori).

Un libro che viene voglia di assaporare con calma, proprio come le ciliegie che ci accompagnano lungo la storia, che viene voglia di leggere e rileggere, per gustarsi la musicalità delle parole e l'incanto delle immagini.

"Non voglio andare a scuola" e "NONtiplicazioni" di Stephanie Blake, Babalibri

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Non voglio andare a scuola e NONtiplicazioni dell'autrice Stephanie Blake, editi da Babalibri (qui e qui i due link), sono due albi divertenti e scanzonati che aiutano bambini e genitori ad affrontare il ritorno a scuola. Ne hanno già parlato in molti, ma forse per chi non li conosce ancora può essere un modo diverso per ricominciare.


Nel primo albo, adatto sia a chi ha problemi di inserimento alla scuola dell'infanzia, sia alla scuola primaria, il giovane coniglio Simone non ha - come quasi tutti i bambini - voglia di iniziare. I cambiamenti, si sa, ci terrorizzano e ognuno ha il suo modo per affrontare le paure.

Il suo unico modo è un estremo rifiuto "No, non voglio!" (le frasi spesso ripetute, sono una specie di "leitmotiv" o mantra di vari libri di questa autrice ironica, che piace tantissimo ai giovani lettori, a partire dal primo albo ormai storico "Caccapupù").
Inutile cercare di convincerlo.


Simone ha paura e lo dimostra in questa scena esilarante durante la notte che passa cercando di autoconvincersi, per poi cedere alla paura. Un loop infinito che lo tiene sveglio finché alla fine non cerca aiuto nella mamma: ma anche le sue rassicurazioni, perché per lei è sempre il suo Superconiglio capace di affrontarne di ogni, non sembrano bastare: proprio non ce la fa.


E così al mattino ricomincia l'ansia - chi ogni giorno non li ha vissuti o li vive con i propri figli? - che sale e la risposta è sempre la stessa "No, non voglio!".
Inutile cercare i trovare razionalmente un modo per tranquillizzarlo. Ognuno deve trovare in sé - certo, confortato dall'amore dei genitori - il suo modo per affrontare le proprie paure. E il modo migliore spesso è semplicemente vivere e agire.


Infatti, finalmente a scuola, Simone scopre che può fare tante cose e che non sono poi tanto male.

E cosa dirà alla mamma quando andrà a prenderlo? Ai lettori un po' di suspance e di divertimento!

Visto il grande successo di questo titolo, potete trovare l'albo sia nella sua versione cartonata, sia nella collana Bababum (link), in formato tascabile.



NONtiplicazioni affronta il tema delle tabelline, un tasto sempre "delicato" per alcuni bambini e bambine. Alla prima interrogazione in classe Simone è l'unico a sbagliare e, naturalmente, i compagni non perdono tempo a prenderlo in giro e denigrarlo.

La frustrazione è grande e quando esce da scuola non ha voglia di parlare, anzi dice convinto al papà che "la scuola non serve a un bel niente" (alzi la mano chi non se lo è sentito ripetere almeno una volta dal proprio figlio, a meno di avere un piccolo genio o un cuor contento).


Simone sempre più mortificato dalle domande dei genitori si sfoga - come è tipico - urlando e sbraitando contro una povera merenda, che altrimenti avrebbe ben apprezzato e gustato.


La rabbia non scompare quando sale in camera, anzi cresce cresce sempre più finché la mamma "finalmente" non gli pone più domande generiche - che purtroppo facciamo spesso al rientro da scuola, curiose e ansiose di sapere com'è andata - ma si mette semplicemente in ascolto, prendendolo in braccio. E lui svela il grande segreto: non capisce le tabelline.
Quello che sembrava un ostacolo insormontabile detto ad alta voce forse fa un po' meno paura, in particolare se a rassicurarci c'è qualcuno che ci sta accanto. Spinto da questa iniezione di fiducia Simone si mette d'impegno ma cede urlando "Detesto le NONTIPLICAZIONI" (e il fratellino Gaspare che gli fa da pappagallo ripetendo a suo modo "NOTIPICATONI").


Ma come si sa a volte la notte porta consiglio. Bisogna darsi tempo. E trovare il proprio sistema per imparare (non ce n'è uno che vale per tutti!). Simone inizia a prendere il suo sacchetto di biglie, le conta, le suddivide, le somma, le moltiplica. Insomma, al posto di vedere semplicemente dei numeri ne vede le possibili implicazioni pratiche.


Il giorno dopo il successo è assicurato. La soddisfazione è alle stelle.

La nostra famiglia segue le avventure di Simone dal primo libro e se vi piace questo personaggio, non lasciatevi sfuggire i vari titoli che possono accompagnarvi nella crescita dei vostri bambini. Con un disegno molto semplice, pagine colorate e accese e un testo grande, questi albi sono anche perfetti per le prime letture o per una lettura del fratello più grande a quello più piccolo.

Su Libri e Marmellata e Milkbook altre due bellissime recensioni: qui e qui.

L'estate delle cicale di Janna Carioli e Sonia MariaLuce Possentini, Bacchilega Junior

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Per festeggiare la fine dell'estate, con i suoi profumi e i suoni ricorrenti che ci hanno accompagnano per diversi mesi come una melodia, mi sembrava opportuno parlare di un libro che mi ha emozionato molto "L'estate delle cicale" di Janna Carioli (qui il suo sito), illustrato da Sonia MariaLuce Possentini (qui il suo blog), edito da Bacchilega Junior (qui il link).

Un albo che parla dei ritmi lenti dei bambini - quali sono quelli estivi - e di un tema molto forte, che coinvolge tutti quanti: quello della prima vera amicizia.

Sembra quasi di vederli - tale è l'intensità delle illustrazioni di Sonia MariaLuce Possentini - quei due bambini dai capelli bruni e dallo sguardo concentrato, presi dalla progettazione del loro sogno comune: una casa sull'albero. Qualcosa che ora si usa poco ma che ogni bambino, in fondo al cuore, desidererebbe avere (in realtà anche qualche adulto!). I due amici non solo l'hanno disegnata, ma si sono presi i tronchi lasciati in riva alla spiaggia durante una mareggiata invernale e l'hanno costruita da soli in cima a un ciliegio.


Da lì tutto sembra diverso, da lì tutto sembra possibile: compiere mille avventure e provare ogni giorno un gioco diverso; e cosa non da poco, essere amici per sempre. Questa promessa non avviene in un giorno qualunque, ma dopo una notte speciale, passata a dormire insieme sulla loro casa, dopo aver ascoltato i rumori della notte e aver visto le lucciole brillare nel cielo scuro.


E così prosegue l'estate, i giochi sembrano non finire mai e l'amicizia neppure: ma, come capita ogni tanto, i due litigano. Una lite qualunque, ma tale da separarli per sempre.


La casa giace sepolta nell'intrico dei rami del ciliegio, apprezzata e sfruttata al meglio da tanti piccoli abitanti del bosco, che si avvicendano di anno in anno.

Dei due ragazzi, invece, nessuna traccia "Una fitta siepe era cresciuta fra le loro case e i loro pensieri".
Non hanno più pensato alla loro amicizia. Ma la casa sull'albero, costruita con tanto ardore e affetto, ha un potere magico, tale da far avvicinare due nuovi bambini, i figli di quei due ragazzini famosi, ormai diventati genitori.

Prima viene scoperta,

poi abitata, poi i bambini si scontrano/incontrano.


La barriera che divideva le due famiglie non c'è più.
E la storia ricomincia...
Regalandoci un finale aperto, con la curiosità di di sapere cosa succederà poi.

Le grandi illustrazioni, al tempo stesso realistiche ma sognanti, e il testo essenziale collegati in un unicum ci fanno a volte concentrare su dettagli, semplici ma preziosi, e a volte vagare in paesaggi aperti ma sempre lasciando spazio all'immaginazione e alla fantasia. Un libro ricco di suggestioni, capace di catturare anche gli adulti.

Gaetano e Zolletta, di Silvia Vecchini e Sualzo, Bao publishing

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Alzi la mano chi non si è innamorato follemente di Gaetano e Zolletta! Penso in molti, dato che Silvia Vecchini e Antonio Vincenzi (in arte Sualzo) hanno pubblicato con Bao publishing nella collana Bao-bao "Gaetano e Zolletta - un posto perfetto" (qui) e "Gaetano e Zolletta - la supersorpresa" (qui). Naturalmente gli amanti di questi due personaggi sperano che la saga continui (e i due autori sembrano pieni di idee quindi incrociamo le dita), perché le loro avventure non sono solo esilaranti e ricche di colpi di scena, ma al tempo stesso talmente struggenti da farti venire una tenerezza infinita e desiderare di coccolare i tuoi cuccioli ancora di più. E loro - i cuccioli - non sono da meno, continuando a chiedere di leggere e rileggere all'infinito le due storie, tanto da averle imparate a memoria.
Almeno per i miei figli è stato così. E io ho inseguito gli autori alla Fiera di Bologna per rendere ancora più speciale la loro copia!



Gaetano e Zolletta - un posto perfetto
Gaetano è un padre speciale, anche se si sente inadeguato, e fa di tutto per essere all'altezza del suo ruolo e riuscire a sorprendere in ogni modo il figlio. Dal lato suo Zolletta, come tutti i piccoli, sembra scontento di quello che ottiene e desidera sempre qualcosa in più.
In una corsa contro il tempo, Gaetano riuscirà a stupire sempre di più Zolletta con nuove invenzioni e strategie per renderlo felice.

Quello che colpisce nella storia, un fumetto adatto sia ai bambini che non sanno ancora leggere sia a quelli che stanno per farlo o lo sono appassionati lettori,è il rapporto padre-figlio, e il tempo che i due si regalano per stare insieme. Nel corso delle avventure che compiono, la complicità tra Gaetano e Zolletta aumenta, le parole dette o non dette, gli sguardi, i paesaggi che incontrano e l'impegno che mettono ogni volta li ricompenseranno di tutte le fatiche compiute.
E alla fine Gaetano sarà pienamente appagato dalle parole bellissime che escono dal profondo del cuore di Zolletta.


Certo, prima di arrivare a tutto questo, di cose Gaetano se ne inventerà. E dire che aveva programmato una tranquilla giornata di pesca - pescare è un'attività che a volte eccita molto i bambini - ma Zolletta si annoia (perché i pesci scappano! si sa, i bambini di oggi non riescono ad aspettare, vorrebbero tutto e subito e non sono abituati a vivere la frustrazione) e racconta che il suo amico Isaia va "in un posto speciale".
"Dove?" chiede Gaetano.
"Al mare" risponde Zolletta.

Naturalmente dove si trovano i due? Al mare, ma non è certo lo stesso mare ... perché "lui va a vedere le balene" (sembra sempre speciale qualcosa che si immagina e si desidera senza averla ancora provata e soprattutto il pensare che qualcun altro lo stia facendo).

Gaetano inizia a "seguire/inseguire" i desideri del figlio, e dopo aver cavalcato un capodoglio, si calzano sulla testa un sombrero e vagano nel deserto assolato, ma poi Zolletta se ne esce che "Il papà di Milo lo porta sui ghiacci" e subito Gaetano inforca la bici e pedala, pedala, pedala finché non gli resta più fiato, poi ... camminano camminano camminano aiutandosi con il bastone e ancora lo prende sulle spalle... Sualzo attraverso le vignette, ci fa vivere il tempo che richiede la montagna, che ci invita a pause e riprese, seguendo il ritmo del corpo e dimenticandosi della fretta.


Come sanno tutti quelli che sono arrivati in cima, il paesaggio mozzafiato ricompensa di tutte le fatiche.

Ma questo a Zolletta non basta ancora ... e alla fine Gaetano decide di portarlo in un posto davvero speciale e unico. Ci mette tutto il suo impegno (questa è una delle vignette che preferisco) per trasformare la roulotte in un razzo.
Basterà tutto questo sforzo? Chi leggerà saprà...



Gaetano e Zolletta - la supersorpresa
Qual è il giorno preferito dai bambini? Quello del proprio compleanno! L'ansia cresce di giorno in giorno, le attese sono grandi e di solito si svegliano prima del previsto per iniziare a vivere questa giornata indimenticabile.
Gaetano non fa a tempo ad aprire gli occhi che il suo cucciolo gli zompa sul letto ed è già pronto a fare i biscotti.


Come nel libro precedente l'attesa non è il suo forte (avete presente quando siete appena saliti in macchina e vostro figlio ogni due minuti vi chiede in tono monocorde "siamo arrivati?") quindi Gaetano gli fa compiere altre attività in attesa che siano cotti.


Qui inizia la parte divertente: mentre Gaetano ha programmato le attività, gli spazi e i tempi fino al minimo dettaglio, Zolletta gli scompagina le carte in tavola e trasforma tutto a modo suo, perciò l'angolo morbido diventa perfetto per la gara con il cuscino,

la piscina piena di acqua diventa il punto ideale dove tuffarsi dalla pista degli skate che Gaetano non ha ancora finito (e non finirà mai di montare).
Insomma, tra alcune cose che non vanno per il verso giusto e la velocità con cui i piccoli riescono a combinare guai, Gaetano avrà il suo da fare. Naturalmente l'ansia è solo sua, perché gli amichetti e il festeggiato si divertono da morire. Anche più del previsto.


Ma a fine giornata il papà avrà modo di godersi il suo cucciolo e dirgli parole speciali, che valgono più di tutte le sorprese che gli ha preparato.

Per approfondimenti vi consiglio innanzitutto di andare sul blog di Silvia Vecchini La parola magica (qui) dove l'autrice racconta come sono nati i personaggi; se ne volete sapere ancora di più, vi suggerisco di di leggere l'approfondita recensione/intervista di Gigi, il Giornale dei giovani lettori (qui) e quella di Scaffale Basso (qui).

Con questo post partecipo al venerdì del libro di HomeMadeMamma (qui).

Zagazoo di Quentin Blake, Camelozampa editore

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La storia di "Zagazoo(qui il link) di uno dei più amati illustratori inglesi, il britannico Quentin Blake (qui il suo sito), in uscita in Italia a ottobre grazie a Camelozampa nella collana Le Piume (dedicata ai picture books), è un invito ai genitori a prendere con leggerezza e buonumore il loro ruolo così impegnativo. 


George e Bella sono una coppia felice e innamorata, che si ritrova d'amore e d'accordo a svolgere insieme ogni cosa, sia durante i momenti estrosi e creativi, sia nel corso della solita routine, che spesso mette a dura prova i compagni di vita.
Tutto funziona a meraviglia, finché i due un giorno ricevono un pacco.
Ci sono mille modi per raccontare come arriva in una famiglia un bambino e quello del regalo è un sistema per spiegare che si tratta di un dono prezioso.


Naturalmente tutto all'inizio è solo rose e fiori. I due sono talmente rapiti dal quel piccolo esserino innocente da non notarne i difetti.
Ma a lungo andare questi diventano lampanti.
Non a caso, infatti, il bambino si chiama Zagazoo. E i lettori scopriranno presto il perché.


All'improvviso George e Bella si ritrovano davanti al posto di un tenero lattante un piccolo avvoltoio che strilla e strepita a più non posso, specialmente la notte.


Non appena sembrano essersi abituati ecco che Zagazoo cambia di nuovo aspetto, diventando un elefante ingombrante e ingordo.

Insomma, l'autore incalza con una trovata più geniale dell'altra, che incolla il lettore alle pagine dell'albo, impaziente di scoprire in quale animale si trasformerà il bambino e, soprattutto, cosa combinerà il giorno successivo.


Tutto prosegue di male in peggio finché Zagazoo non diventa un vero e proprio mostro. Ma quando i genitori - che hanno sempre mantenuto sempre un certo "aplomb" anglosassone - sembrano gettare la spugna, ecco che l'autore ci riserva altri colpi di scena.
Naturalmente la storia non finisce qui, ma raccontarla tutta sarebbe un vero peccato. L'unico consiglio è andare in libreria non appena l'albo illustrato sarà disponibile. Manca poco ormai... tenete duro e tenete d'occhio le uscite!

Questo testo ironico ed esilarante aiuta a mio parere soprattutto i genitori a stemperare le difficoltà che si incontrano con la crescita dei figli. Mi sono ritrovata molto in queste trasformazioni che accadono davanti ai tuoi occhi e ti lasciano perplessa (certo non tutti reagiscono come George e Bella riuscendo a mantenere la calma in ogni situazione), ma l'invito dell'autore è proprio questo: prendere ogni cosa che accade con filosofia; perché sicuramente, anche se ci sentiamo annichiliti dagli eventi, non stiamo crescendo dei mostri ma degli esseri umani che riescono sempre a sorprenderci.

Con questa e altre novità in catalogo la casa editrice festeggia il suo quinto anno di vita, anche con un apposito hashtag (#5annicamelozampa).

Judo: uno sport, un'arte, una filosofia di vita che ha alla base il rispetto

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Indossano il Jūdōgi, in cotone, costituito da pantaloni ampi e una giacca priva di bottoni stretta da una cintura (di colore diverso a seconda del grado dell'atleta: bianca, gialla, arancione, verde, blu, marrone, nera) e si chiamano judoka. Sono tutti quelli che praticano judo, un'arte marziale molto diffusa, che si può iniziare anche in tenera età: si parte dai pulcini (4/5 anni), proseguendo con i bambini (6/7 anni) i fanciulli (8/9 anni e i ragazzi (10/11) anni. 
Il Judo è un'arte marziale antica, ideata da Jigorō Kanō (qui link) che nel 1882 a soli 22 anni ha inventato il metodo Judo KODOKAN (letteralmente "Scuola per lo studio della via"), estrapolando le tecniche migliori di jujizu (anticamente praticato dai samurai).
Moreno Ragosa.
Con la riapertura delle scuole molti genitori sono alla ricerca dello sport ideale da far frequentare ai propri figli. Ecco il mio suggerimento per chi non avesse ancora le idee chiare.

Poiché non sono un'esperta mi sono affidata a due Maestri di lunga data,
 
Paolo Belingheri.

Paolo Belingheri e Moreno Ragosa, dell'Associazione dilettantistica sportiva Judo Club Segrate (link qui), che hanno cercato di spiegarmi la filosofia che sta dietro a questa disciplina e perché i bambini di oggi dovrebbero praticarla.

Moreno Ragosa insegna judo dal 1982, da quando è diventato cintura nera, Paolo Belingheri, dal 1991 (insegna anche nelle scuole). Entrambi preparano gli agonisti (dal 2001 al 2008 la Società è stata campione regionale e tra le prime 30 in Italia).

Qual è il motivo per fare judo?
Paolo Belingheri Prima di essere uno sport judo è un metodo educativo, infatti consente di insegnare il rispetto attraverso il combattimento; è vero che chi fa le gare si mette a confronto con gli altri, e quindi si valorizza l'aspetto agonistico, ma secondo la nostra filosofia le gare e le competizioni aiutano i giovani ad affrontare le avversità di persona.
Chi pratica judo affronta con maggiore serenità anche gli esami scolastici (quindi possiamo dire che è anche un maestro di vita).
Nonostante quello che si pensi, il judo è uno sport collettivo, perché non lo puoi praticarlo senza un compagno, che crea una predisposizione alla collaborazione fattiva e attiva. Attraverso questa disciplina i bambini imparano l'autocontrollo e il rispetto per l'avversario.
Un altro elemento da non sottovalutare è che è anche uno degli sport più completi per lo sviluppo corporeo del bambino. Naturalmente dalla psicomotricità iniziale negli anni si passa gradualmente a un aumento del livello tecnico.


Se volete approfondire c'è un libro di riferimento, “Biomeccanica del judo” di Attilio Sacripanti, professore universitario di Napoli, (1988). 

Moreno Ragosa quello che trovi nel judo è qualcosa di unico, dettato da un elemento fondamentale: lo scambio di vibrazioni che avviene dal contatto di due corpi nel loro movimento. Ecco perché è definito come un'arte, ed è anche una forma filosofica. Il contatto è molto utile per i bambini, che per natura possono avere una loro fisicità, ma attraverso la guida di un insegnante attento, tirano fuori una “fisicità corretta”;  lo scambio di vibrazioni può avvenire sia tra bambini dello stesso sesso, sia di sessi diversi, sia tra persone con grandi capacità sia tra persone con limiti, che possono essere riconosciuti o velati. Il plusvalore è il riconoscimento della diversità. Il maestro di sport aiuta il bambino a riconoscere, rispettare e aiutare questa diversità. In queste tre cose c'è racchiuso lo spirito del judo.
Come diceva Jigorō Kanō (qui link) Sei-Ryoku-Zen'Yo, in italiano "Il migliore uso dell'energia" (ottenere la massima efficacia con il minimo sforzo) e Ji-Ta-Kyo-Ei "Noi e gli altri insieme per progredire" (amicizia e mutua prosperità).

Che differenza c'è tra judo e karate?
Moreno Ragosa l'essenza dello judo sta nel contatto pieno. Per lottare ho bisogno di avvicinare il mio partner, più lo avvicino, più lo porto alla mancanza di equilibrio e meglio riuscirò a controllarlo. Nel karate è l'esatto opposto: io, per "sorvegliare" il mio compagno lo devo tenere a distanza, con calci e pugni (controllati, sia in chiave marziale sia sportiva). Questa è la grande la differenza. 

Dove fa la differenza per me educatore? Soprattutto ai giorni nostri, in un mondo in cui si tende ad allontanare tutto, a tacciare ogni diversità, a non accettare i limiti degli altri, laddove diciamo facciamo un cerchio, come non posso non scegliere una disciplina che avvicini? 
Dietro un gesto c'è un mondo: se io ti abbraccio tu provi la stessa sensazione di quando ti tengo a distanza?
Il judo può contenere un bambino “agitato” e far esprimere un bambino timido?
Moreno Ragosa sì, attraverso questo contatto. Partiamo dal cerchio, che è il centro di tutto: il bambino "che prende cazzotti o li dà", entrerà mai nel cerchio? No. Il bambino che viene "tirato dentro", a contatto con l'altro bambino, avrà più possibilità, perché al posto di calci e pugni, prenderà spinte e tiraggi (e dovrà tentare di reagire).

Se uno non ha mai fatto judo può sempre iniziare?
Moreno Ragosa certo, io ho iniziato tardi, a 11 anni. Mi ha portato un amico. Ho capito da subito che sarebbe stata la mia strada, ho dedicato la mia vita al judo e alla formazione di difesa personale.
Marcello Bernardi, un grandissimo personaggio in campo educativo che ho avuto il piacere di conoscere, diceva “tutto quello che ho imparato nella mia vita è stato dal judo e dai bambini”. Io penso la stessa cosa, solo che lui era un pediatra io sono prima di tutto un genitore, poi un uomo e un maestro di judo.


Quali sono le sedi in cui operate? 
Paolo Belingheri A Segrate e a Milano presso il Gonzaga Sport Club (novità dallo scorso anno, che stiamo promuovendo- vedi volantino sopra), la scuola primaria Bacone, la scuola primaria Casati
Partiamo dai piccoli, ma naturalmente vengono accolti anche bambini e ragazzi di ogni età. Veniamo incontro alle esigenze dei genitori, ma i più grandi possono iniziare a seguire l'attività due volte a settimana (suggerito). 
Per chi ne vuole sapere di più e vuole parlarci o vederci all'opera, segnalo che saremo presenti  domenica 16 ottobre 2016 nell'ambito della manifestazione "Miglio dello Sport" (Corso Buenos Aires), che inizia alle 10 e termina alle 18. Faremo alcune dimostrazioni (ma non sappiamo ancora l'orario preciso) ospiti dello stand del Gonzaga Sport Club.

Negli anni sono stati ideate iniziative collaterali 
Paolo Belingheri Sì, abbiamo pensato alcuni momenti di aggregazione durante l'anno che servissero a far conoscere e incontrare bambini e ragazzi provenienti da posti diversi e perché riteniamo che siano elementi importanti a corollario della lezione. Un evento che è molto amato è La notte del samurai (che viene svolta due volte all'anno, e in cui il momento ludico si accompagna a quello sportivo, di solito a Sant'Ambrogio e Pasqua); il Trofeo del piccolo samurai, che si svolge da gennaio a maggio, comporta una serie di gare ognuna legata un valore morale (lealtà, amicizia, coraggio, rispetto, onore), che ogni giovane atleta deve conquistare per diventare un piccolo samurai.
Judoka in fiera (a Natale; le coppie sorteggiate devono gareggiare cercando di eseguire in modo "perfetto" la tecnica che viene richiesta) e il Campus estivo,  dopo la fine della scuola (ne ho parlato qui).

Ogni anno il percorso si conclude con un passaggio finale di cintura con un rituale che ha un significato ben preciso e che è un momento importante per bambini e maestri, nel rispetto reciproco.

Una curiosità: cosa sono i Dan? 
Moreno Ragosa come per i praticanti esiste un livello di graduazione (Kyu) corrispondente alle cinture colorate, così per le cinture nere (esperti), esiste una graduazione in DAN: dal 1 al 5 cintura nera; 6/7/8 cintura bianca rossa; 9/10 cintura rossa; 11° nessuno; 12° una cintura Bianca doppia, destinata solo a Jigorō Kanō fondatore del metodo Judo Kodokan. Rappresenta e sottolinea l'umiltà di chi è stato così grande da indossare nuovamente la cintura bianca come un principiante, perché in una via (DO) per i giapponesi non si finisce forse mai di apprendere abbastanza.

Infatti a lui dobbiamo una serie di valori ereditati dalla civiltà nipponica; nel cerimoniale dell'inchino/saluto (Rei) sono racchiusi tutti questi valori: il rispetto dell'altro, il riconoscimento della superiorità dell'altro, la lealtà, il coraggio, l'osservanza delle regole.

Laboratorio a merenda in Feltrinelli RED: Papà è connesso, di Philippe De Kemmeter, Emme edizioni

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La scorsa domenica, presso la Feltrinelli RED di Milano, ho sperimentato con un nutrito gruppo di bambini e ragazzini la lettura di Papà è connesso, di Philippe De Kemmeter (Emme edizioni), un esilarante libro che ci invita a riflettere su come spesso ormai ci allontaniamo dalla realtà per accedere a un mondo sempre più virtuale.

Il protagonista è un piccolo pinguino che ha un padre sempre collegato al computer da cui non si stacca mai (alzi la mano chi non si riconosce un po' in questa figura): guarda i film non più alla televisione e insieme alla famiglia, ma sul pc, si interrompe non appena riceve una email,

ha tanti amici su Icebook (con nomi divertenti e improbabili) con cui dialoga più facilmente che con i suoi familiari.

La moglie da accogliente diventa sempre più indispettita (lui si dimentica il pranzo, non l'ascolta...) e anche il piccolo - che appare un po' come il saggio della situazione, "con i piedi ben piantati per terra", che ci descrive il comportamento di suo padre un po'"fuori dalle righe" e si pone delle domande - inizia a non poterne più. Sì, perché non ha più un papà che giochi con lui o che stia connesso con il mondo.

Si accorge di avere un papà virtuale. E non sa bene cosa sia. Sa solo che è più triste e si sente più solo.

La situazione precipita quando il computer sembra non funzionare più e il padre, che ha un diavolo per capello, cerca di ritrovare la connessione allontanandosi dall'igloo fino ad avventurarsi su una banchisa di ghiaccio dove c'è un enorme cartello che indica pericolo.

Se ne accorgerà in tempo? Ma piuttosto, riuscirà in qualche modo a riconnettersi con la realtà? Il finale è pieno di speranza e creatività.
Questo libro che è ironico e quasi a modalità fumetto (di cui utilizza in parte alcune simbologie) ci  invita a soffermarci su questo nostro mondo moderno un po' folle, che trova spiazzati adulti e bambini quando ne sono ancora immuni. Non è certo il mezzo da demonizzare ma, come sempre, l'utilizzo che se ne fa.

Pronti via...
Stimolata da questo libro, ho deciso di inventare un laboratorio in cui i bambini potessero creare il loro computer (alcuni sono partiti da un tablet o da un cellulare), mettendoci come al solito tutta la loro possibile fantasia e creatività. Come sempre ho un po' abbondato con i materiali (vi dico solo che chi mi vede uscire di casa pensa che stia per andare a fare un viaggio... magari proprio al Polo Suddove abitano i pinguini) e uno strabiliato Niccolò - che ho ritrovato spesso nel corso degli incontri - era così meravigliato dalla quantità di "ingredienti"con cui avevo apparecchiato la tavolata da non sapere più cosa scegliere.

Ognuno, singolarmente o con il supporto dei genitori, ha creato un computer più bello dell'altro. E' sempre interessante vedere come i bambini riescono a sorprendermi/ci, partendo dagli stessi materiali per arrivare a capolavori completamente diversi, a secondo del gusto estetico, della precisione o meno, dell'età, della predilezione per un particolare oggetto piuttosto che per un altro (alcuni se li sono anche annusati prima di utilizzarli, con sommo gaudio da parte della sottoscritta). Ho osservato anche molti piccoli creativi concentrati per oltre un'ora e questo non può fare che piacere.
Ecco una carrellata...
Penso che qualche papà o mamma sarà un pizzico invidioso di quel computer così unico e capace di fare di tutto.

Ringrazio tutti i partecipanti, grandi e piccoli (chi è tornato ancora una volta - come Stella e la piccola Alice - e in particolare Maurizio, Patrizia e Zeno che sono venuti appositamente a trovarmi).  Vi ricordo che il laboratorio a merenda vi aspetta tutte le domeniche alla Feltrinelli Red. Potete trovare il programma su internet o sul calendario eventi presente alle casse. La sottoscritta, Barbara Archetti e Cristina Zeppini vi aspettano a braccia aperte.

"Mi. IN: segno", seminari di formazione di moBLArte a Zanica (BG)

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Inizierà il 22 ottobre a Zanica, in provincia di Bergamo, "Mi. IN: segno” un ciclo di seminari di formazione nel fine settimana dedicati al segno, “azioni di forma per una pedagogia attiva", organizzato da moBLArte rivolto a insegnanti, educatori, counselor, psicologi, pedagogisti, animatori e genitori. La formula viene riproposta quest'anno, forte del successo riscosso lo scorso anno, dove sono stati ben 70 i partecipanti (compresi neogenitori ed educatrici in pensione), tutti pieni di entusiasmo, desiderosi di determinare un cambiamento nella realtà in cui operano come professionisti o, più in generale, nella loro vita.

Aurora Mascheretti, direttrice artistica del progetto, insieme alla associazione moBLArte (nata lo scorso anno, qui il link), spiega che hanno deciso di rilanciare la proposta assegnando un tema, quello del segno, declinato in molte sfumature e attraverso più punti di vista, inteso come lasciare traccia di sé. L'idea è nata dopo aver visto come nelle scuole sia sottovalutato il segno, anche in relazione ai cambiamenti del sistema scolastico e a un mondo sempre più complesso.

Attraverso esperienze in prima persona e con testimonianze concrete di ricerca, progettazione ed educazione, si cercherà di ripristinare la coscienza rispetto al senso, attivando un contatto profondo con se stessi, cercando di risolvere le stereotipie che si creano, fino ad arrivare al segno come elemento terapeutico. Alcune riflessioni saranno relative allo spazio scelto, ai materiali da impiegare, agli strumenti, al modo con cui avvicinarsi e alla "decodifica empatica" (come incontrarlo, riconoscerlo e farlo evolvere). Dal segno giocato, trovato nelle cortecce, al segno come traccia di un'esistenza, che può nascere in una relazione autentica, liberato dal senso del giudizio.


Si parte a ottobre per concludere il percorso a marzo, come potete vedere dalle immagini. Si possono seguire tutti gli appuntamenti o decidere di partecipare solo ad alcuni.


Molte sono le proposte interessanti, a partire dai Segni Mossi (qui il link), rappresentati da Alessandro Lumare (autore di libri per l'infanzia, formatore e atelierista) e Simona Lobeforo (danzatrice contemporanea, che realizza ricerca e performance); i due artisti, che portano ormai la loro esperienza di performance e ricerca non solo in Italia ma anche in giro per il mondo, indagheranno la relazione tra danza e segno.


Uno spazio verrà dedicato al famoso Closlieu di Arno Stern (una pittura per ritrovare il sentire del bambino senza giudizi), coordinato dall'artista Isabelle Dehais (qui il link al suo blog il boscodentro).
La psicoterapeuta Silvia Micocci, farà incontrare il segno attraverso la creta,


mentre Aurora Mascheretti cercherà la relazione tra progetto, spazio e segno lavorando sul libro.

Dal canto suo, Laura Anfuso, (qui l'intervista su Milkbook, io ne ho parlato qui, vista la sua collaborazione con la Scuola del Fare), esperta di pedagogia ed editoria tattile, condurrà alla scoperta e alla lettura del segno nel suo essere materia sensoriale.


Padrino di quest'anno sarà l'architetto Mauro Bellei (qui il suo sito) che collabora con Fatatrac e Occhiolino Design e in Francia ha pubblicato con Le trois ours oltre a tenere l'incontro "Segni progettati e segni ritrovati", si occuperà di aver cura della formazione dei partecipanti e degli orientamenti generali.

Moblarte è una realtà giovane che si è fatta apprezzare subito nel territorio intorno a Bergamo con diversi progetti, all'interno della manifestazione internazionale I maestri del paesaggio dove, racconta Aurora Mascheretti "abbiamo aperto lo sguardo anche al mondo dei bambini", di cui trovate un link al video qui,  e attraverso un atelier d'arte, dedicato sia alle scuole sia alle famiglie, per esplorare e vivere al meglio la mostra Palma il Vecchio. In questa occasione è stato predisposto un spazio pensato per i bambini in modo che potessero sentirsi non solo a loro agio ma anche scoprire la loro dimensione. Qui il video youtube relativo a un'esperienza realizzata con una scuola.
Contatti: info@moblarte.it via Padergnone 45- 24050 Zanica (BG)

Laboratorio a merenda con La città dei lupi blù di Marco Viale, Giralangolo-EDT

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Domenica 16 ottobre in Feltrinelli Red ho letto ai bambini e alle bambine "La città dei lupi blù" di Marco Viale, edito da Giralangolo-EDT (qui link), che si è accreditato il premio Nati per Leggere nel 2013 "perché è un vero piacere leggere ad alta voce la storia di una ordinata e pacifica comunità di lupi (tanto blù da richiedere persino l'accento) in cui irrompono un fischiettante lupo "rrosso" e uno spericolato lupo "giallo"...".

Se ho scoperto questo libro lo devo a Barbara Archetti, una delle mie "socie" in Feltrinelli insieme a Cristina Zeppini, che un giorno in libreria ha iniziato a leggerlo al mio piccolo Andrea, conquistandolo a tal punto che non ne siamo usciti senza. In effetti il libro vale molto, specie di questi tempi in cui si torna a dare valore pian piano al non fare niente o al fare cose considerate da tanti "inutili", come fischiare, sdraiarsi in un prato. Almeno, presi dalla frenesia della quotidianità ci si dimentica l'importanza della qualità della vita, valore essenziale e fondamentale non solo per i più piccoli ma anche per i più grandi.


Ed ecco che ci ritroviamo in una città monotona, costituita da lupi blù, che si alzano tutti alla stessa ora, fanno tutti le stesse cose, bevono in tazze blù (sì, l'autore mette l'accento per rafforzare la lettura del vocabolo), si mettono la cravatta blu - una bambina (Aynalem) mi ha chiesto "Ma bevono il latte blu?" Se mai Marco Viale leggesse questo post, ebbene chiediamolo a lui, io però presumo di sì, anche perché fanno la pipì blu... Ma attenzione: alla stessa ora! Perché esiste un'ora della pipì. E non si può sgarrare. Non sia mai.
Nessuno si pone il problema di fare altro. Tutti obbediscono. Non so perché leggendolo mi ritrovo in tanti spunti di rodariana memoria...

Tutto procede a macchinetta finché non spunta un lupo rosso, ma non di un rosso normale è rrrosso! Sta su una bicicletta e si permette pure di fischiettare: panico!

La città "perfetta" va in tilt, ne parlano la radio e la tivvù, non solo quanto al traffico, bensì anche perché si riuniscono tutte le persone più importanti per trovare leggi e norme che vietino di farlo. Ma non ce ne sono. E dal disturbo nasce la curiosità perché questo è un'artista del fischio, sa fischiare "a zufolo, alla marinara, alla zingara, alla siciliana, alla malandrina... ". Naturalmente solo e soltanto quando ne ha piacere. Dopo uno sbalordimento iniziale tutti sembrano aver capito il valore di quel che fa tanto da conferirgli un riconoscimento e chiedere addirittura lezioni...

Ecco il valore di questo libro sta nell'invogliare a gustarsi le cose. E certamente uno sbalzo a questi lupi blu questo lupo rrrosso lo da. Ma si sa che le abitudini sono dure a morire, certo lui quando scompare - perché c'è pure il giallo, dove sarà finito? Come è venuto se ne è andato - i lupi blu ricominciano la loro vita monotona che però ha acquistato qualche "trillo" di allegria e qualche dissonanza dall'omogeneità. Ma la storia non finisce qui... e, oltre al finale vero, immagino che questo sia uno di quei libri senza una vera conclusione, che invita a proseguire la storia. Ci si può giocare un sacco e invoglia a riflettere su diversi temi.
Qui trovate un'altra recensione di Libri e Marmellata.

Al lavoro!


Come sempre siamo passati all'azione e ho chiesto ai bambini di "inventare" la loro città ideale, scegliendo se volevano farla uniforme e con un solo colore... o ricca. Sono venuti fuori spunti davvero interessanti e in questa occasione ho anche avuto modo di farmi raccontare cosa hanno pensato. Naturalmente i lavori che vedrete - e le spiegazioni che leggerete - sono di vario genere, essendo l'età molto diversificata.


Davide, 6 anni, ha disegnato un sole usando un tappo di metallo con i raggi blu (evvai!), la piuma blu è di un uccello che volava e l'ha persa. A sinistra c'è una cascata di coriandoli. Al centro ci sono due razzi "freddolosi" tanto che ha dovuto ricoprirli con fili di lana per tenerli al caldo. In basso ci sono due palline (quadrate, gialla e verde), una rete per catturare un pesce, un muretto rosa da cui esce un serpente e un'altalena/dondolo a due.

Federico, 3 anni e mezzo, ha costruito una navicella spaziale, con un razzo propulsore (uno dei due tappi di sughero, mi raccomando, quello in basso). Trovo interessante che abbia tagliato il foglio.

Alessandro, 4 anni, ha fatto a destra una casa gialla, con un muretto luminescente accanto; ci sono anche le finestre (quei quadrati rossi con fori tondi); le parti azzurre morbide sono per saltare. Il resto è rimasto nella sua testa.

Margherita, 8 anni, ha fatto il sole usando sia i materiali gommosi per i raggi, sia il centro con una piuma, le nuvole viola con la carta sagomata. In basso ci sono tre fiori, costruiti con materiali gommosi, dei tappetini, da cui sbucano i nettapipe (è stata lei l'ideatrice, da cui Davide e altri hanno preso spunto), affiancati a un albero di arance, il cui tronco è un pezzo di plastica (ricavato dall'interno di una scatola di biscotti golosi) e la chioma fatta di gomma, mentre i nettapipe arrotolati rappresentano i frutti. La casa ha le mura di scotch, il tetto morbido di tessuto, le finestre con le tulle perché ci sono le tende e per la porta ha usato il materiale delle tovagliette intrecciate.

Marta, 4 anni, ha costruito un'altalena a sinistra, il sole in alto, luminescente; in basso c'è il prato, in cui l'erba è fatta degli avanzi delle matite temperate. Al centro due case, (gialla e rosa) con finestre (scotch e tappi di sughero) e la striscia nera è un lupo!

Jessica, 6 anni, ha messo molte automobili marroni (in alto a sinistra è decappottabile), usato stoffe arricciolate e verde scuro per rappresentare i lupi, l'erba che spunta dalla gomma con i nettapipe (l'idea di Margherita ha incuriosito molto "i suoi vicini di banco"), ci sono due pozze d'acqua rappresentate dal pizzo azzurro trasparente. La cosa che mi ha colpito di più è che ha inserito "una manciata" di stelle in basso a sinistra.

Il mondo di Carlito, 4 anni, è costituito da un tram giallo con un tetto rosso "sberluccicante" e sopra un drago (il filo presumo sia la sua fiammata). La pioggia è quadrata e c'è un ombrello per ripararsi. A fianco c'è una persona, si capisce che è un uomo "perché ha il pelo" (rappresentato dalle piume). Di fianco due case verdi e gialle. Nel cielo ci sono anche due stelle.

Francesco, 3 anni e mezzo, ha fatto velocemente il lavoro e spiegato che "Ci sono i pantaloni, i coriandoli, il tappo rappresenta un personaggio, sopra c'è una scala gialla, il pezzo rosa è una maglietta, c'è una molla e sotto scorre un fiume di fragole". Tutto chiaro?

Aynalem, 6 anni e mezzo, è quella che è rimasta più tempo a lavorare. A sinistra, c'è una casa costruita con gomma verde e azzurra, di fianco c'è un fiore elaborato con i nettapipe, le piume arancioni rappresentano due uccelli che volano; la prima striscia verticale di scotch rosa è il tronco di un albero, la cui chioma è fatta di rete e i cui rami sono con carta luminosa e con materiale blu con un centro rosa (in alto a sinistra); le altre due strisce di scotch sono due "scintille". I cubetti rosa in basso sono parti di una macchina. Mentre poco più sopra, la parte scura di plastica è uno scivolo. A destra c'è un altro albero fatto con il tronco di fili di lana.


Un cuore blu che rappresenta un'astronave (secondo lavoro).

Greta, 10 anni, è arrivata in seguito ma ha fatto lo stesso un lavoro minuzioso e preciso, con una cornice composta da carta luminosa e alcune piume. In basso un prato fatto di fiori costruiti a uno a uno con pazienza con una base di sughero e bollini colorati; al centro il cielo con le sue nuvole a bollicine bianche e sopra più scure con pizzo di stoffa.

"C'è qualcuno che sa leggere?" Qualche curiosità sull'inserto all'interno delle pagine culturali domenicali del Sole24ore

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Domenica 23 ottobre
uscirà il secondo numero di "C'è qualcuno che sa leggere?"le tre pagine dedicate alle famiglie all'interno del supplemento domenicale sulla cultura del Sole24Ore. Nel primo numero abbiamo scoperto che ci saranno alcune aree fisse, quali quella dedicata al maestro Franco Lorenzoni, autore de "I bambini pensano grande" (Sellerio), una poesia di Bruno Tognolini, una pagina dedicata al fumetto d'autore e una parte dedicata al poeta Toti Scialoja.

Incuriosita da questa novità, ho rivolto alcune domande ad Armando Massarenti, responsabile del Sole24Ore Domenica. Ecco le sue risposte.

Da molti anni il settore dei ragazzi è l'unico che "funziona" ma nei quotidiani - salvo pochi casi -  è sempre stato considerato come la "Cenerentola della lettura" (se mi consente l'espressione). Come mai avete deciso di "lanciare" ora queste tre pagine? 
Armando MassarentiIn realtà abbiamo voluto fare una scelta "ideale", non tanto legata all'andamento di mercato di questo settore, quanto piuttosto in linea con il nostro impegno che ormai da quasi cinque anni abbiamo assunto, che parte dal nostro "Manifesto per la Cultura" (link qui), con lo slogan "Niente cultura niente sviluppo" (link qui), dove avevamo insistito molto sul fatto che l'educazione e la capacità di creare nuovi lettori forti con spirito critico fosse la cosa più importante, e che bisognava partire dai bambini piccoli per creare lettori che rimanessero poi lettori forti per tutta la vita. La nostra è una visione precisa di lettura: un momento di condivisione tra i bambini e i loro genitori, dove il libro viene letto ad alta voce, in mano, possibilmente in braccio per creare partecipazione anche fisica (l'aspetto corporeo è importantissimo per un bambino, lo dicono anche studi cognitivi), e con un monitoraggio continuo sulla comprensione di come procede la storia, di come questa si sviluppa attraverso le immagini. È questo percorso esperienziale che determina poi la creazione di nuovi lettori. Una scelta ideale quindi, quella di puntare sulla lettura per bambini e giovanissimi, corroborata poi dal fatto che negli ultimi 10 anni questo settore sia cresciuto del 44%, in tempi di crisi per l'editoria. Basti guardare del resto le librerie, piene di libri per bambini e ragazzi: i bambini amano il libro, l'oggetto, non fosse altro che per il possesso, per averlo in mano, cosa che non succede per il libro digitale.

Licia, protagonista del logo, è una bambina reale o è anche immaginaria? Che "ruolo" ha avuto nella riflessione dell'ideazione delle pagine? C'entra per caso il maestro Lorenzoni che pone sempre molte domande ai suoi allievi o qualche altro autore coinvolto o è una bambina che l'ha particolarmente colpita?
Armando Massarenti Licia è una bambina assolutamente reale. Il titolo del supplemento, "C'è qualcuno che sa leggere?", nasce proprio dalla sua domanda durante un pomeriggio in cui a Licia, immersa tra adulti occupati in altre attività, capita sottomano la copertina illustrata di un libro; e avendo ormai cinque anni sa riconoscere le lettere dell'alfabeto ma non le sa ancora decifrare. Decide dunque di chiedere aiuto ai "grandi" premurandosi di capire se tra loro "C'è qualcuno che sa leggere?". Licia però diventa anche il paradigma di tutti i nostri bambini e della loro innata curiosità e fervida immaginazione che noi adulti - genitori ed educatori -dovremmo sempre stimolare, aiutandoli a imparare nel modo più sano e più lungimirante, non dimenticando però di farli anche divertire.

Qual è di preciso il vostro target dei bambini? Quale fascia di età verrà coinvolta? Si pensa anche ai cosiddetti "giovani adulti" o pensate di fermarvi prima?
Armando Massarenti Il nostro target? Da 0 a 99 anni! La nostra missione, come supplemento culturale del Sole 24 Ore, è quella di fare informazione culturale di alto livello rivolta a lettori forti, che da oggi non saranno più solo gli adulti: con questo inserto vogliamo infatti stimolare all'interesse verso la cultura tutti, grandi e piccini. Ovviamente per i più giovani il linguaggio deve essere però leggero e divertente. Anche la grafica di queste nuove pagine va incontro a questo obiettivo di leggerezza, buon gusto e ironia, pensata per divertire i più giovani e piacere agli adulti, i quali sono nella nostra strategia il veicolo per arrivare ai più piccoli. Un discorso simile si può fare per i "giovani adulti", anche se questi agiscono in maniera assai più autonoma rispetto ai genitori.

Avete pensato a rubriche fisse, che in alcune parti sono più legate anche a interessare i genitori a "pensare in grande" rispetto ai loro bambini. È così?
Armando Massarenti Certamente. Ogni domenica i piccoli lettori troveranno alcuni appuntamenti fissi, come le poesie e le illustrazioni del grande poeta Toti Scialoja, che accompagnerà piccoli e grandi lettori all'insegna dei suoi divertenti nonsense. Poesie Bambine sarà invece lo spazio in versi di Roberto Piumini. Appuntamento fisso anche per la rubrica Appine, che darà consigli sulle app per i più giovani, e per la pagina dedicata al fumetto d'autore per i più piccoli. Non mancheranno però anche momenti di riflessione per gli adulti sul rapporto insegnante-studente (con la rubrica Elementare! dell'insegnante Franco Lorenzoni, un diario di maestro in cui saranno soprattutto i bambini a dire la loro su ciò che hanno imparato), o il rapporto genitore-figlio (come ad esempio la rubrica curata dal professore Gianluca BrigugliaNon ditelo a sua madre, l'appassionato diario di un padre in attesa di suo figlio). Un'intera pagina fissa sarà sempre dedicata al fumetto d'autore realizzato appositamente per il nostro supplemento. Sono spunti che vogliamo dare a genitori ed educatori per pensare in maniera più creativa ed efficace all'educazione culturale dei loro figli.

Quali saranno le parti "variabili", se si possono raccontare della struttura? Ogni volta ci sarà un'intervista a un protagonista della lettura per bambini (editore, illustratore, autore. o invece si darà sempre spazio agli editori (anche quelli indipendenti, che stanno pubblicando albi e libri molto interessanti?)
Armando Massarenti Ci saranno almeno tre pezzi svincolati dalle rubriche che varieranno il più possibile, proprio per dare voce ai diversi protagonisti del mondo della cultura per i giovani.

È  una coincidenza che tutte le persone scelte per le rubriche fisse siano uomini? In effetti il panorama dell'editoria per l'infanzia è molto femminile...
Armando Massarenti In realtà è stato un puro caso che il primo numero non contenesse autrici o protagoniste femminili del mondo della cultura per bambini. Nelle prossime settimane ospiteremo per esempio Sasha Carnevali, Vanna Vinci per il fumetto d'autore... Tra l'altro questa settimana avremo un racconto inedito di Geronimo Stilton, il cui autore, come sa, è una donna, Elisabetta Dami.

Quale spazio verrà dato ai libri e agli albi illustrati? Nel caso pensate di proporre solo le novità o ci sarà spazio anche per libri che hanno "qualche anno" di vita? Lo chiedo perché se da un lato la spinta editoriale è verso le novità, dall'altro le necessità dei genitori, degli educatori e dei bibliotecari è di trovare dei riferimenti validi e spesso questi vengono presto "dimenticati" (salvo i casi di autori famosi come, ad esempio, Leo Lionni o Bruno Munari.)
Armando Massarenti Sì, delle novità non possiamo farne a meno. Ma in realtà lo spirito generale di questo minisupplemento è quello di dare solo cose di alta qualità, indipendentemente da quando sono state scritte. Non a caso abbiamo scelto di realizzare una rubrica postuma di Toti Scialoja che tra tutti gli autori del '900 è stato quello più confacente al nostro spirito, che è quello di unire intelligenza, arguzia e poetica a divertimento e capacità di comunicare in maniera molto efficace con i bambini.

Saranno pensate nel caso per i giovani lettori o per gli adulti che ne accompagnano la crescita?
Armando Massarenti Sono pensate per entrambi; naturalmente ci riferiamo anzitutto ai nostri lettori tradizionali, che sono adulti, ma ci auguriamo che troveranno di grande utilità questo supplemento e che lo leggeranno insieme ai loro figli.

Qual è la vostra idea di lettura in famiglia? Pensate che ognuno possa "leggere" la sua parte o meglio che ci sia una lettura condivisa e uno scambio tra genitori e figli?
Armando Massarenti L'idea è proprio quella di condividere un momento intimo coi propri figli, quello di apprendimento ma anche di divertimento. Da questa idea nasce "C'è qualcuno che sa leggere?". Manca tanto nelle nostre famiglie un momento di condivisione della cultura.

Ci sarà spazio per notizie legate, per esempio, ai festival letterari che sono un punto di riferimento per il settore e sono in continua crescita?
Armando Massarenti Al momento non abbiamo previsto uno spazio dedicato alle news, ma naturalmente tutte le novità verranno seguite e comunicate. Abbiamo piuttosto in mente di creare vere e proprie collaborazioni con chiunque si interessi al mondo dei bambini e dei ragazzi e di usare - più ancora del giornale che ha un numero limitato di pagine - un sito web che presto sarà pronto.

Non mi resta che ringraziare per la disponibilità Armando Massarenti e aspettare, con curiosità, cosa ci riserverà il futuro. Noi, da lettori forti, per ora siamo grati, sperando che vengano ospitate in queste pagine non solo le firme di punta, ma anche gli autori emergenti che si stanno facendo strada e le case editrici indipendenti, che sfornano opere di alta qualità. 
Buon lavoro a voi e buona lettura a noi. 

VI incontro della Rete / La Terra dell'educazione: Seminare il futuro - Introduzione al convegno nazionale

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Il Teatro Don Mazza di San Pietro in Cariano (VR) ha ospitato oltre 200 persone alla seduta plenaria del VI incontro nazionale della Rete di Cooperazione educativa C'è speranza se accade @ quest'anno dedicato a “La Terra dell'educazione: Seminare il futuro” (qui link).


È difficile riuscire a raccontare a chi non è potuto venire l'alchimia che si è creata da subito, le emozioni vissute, le energie che si sono smosse in questi due giorni, in cui abbiamo provato a riflettere insieme su tematiche che ci stanno a cuore e a lanciare semi da raccogliere pian piano, con la lentezza che guida, sotto lo sguardo vigile di Gianfranco Zavalloni (link qui) e Mario Lodi (link qui, attraverso questa rete di persone che si allarga sempre più.
Incontri tra persone che si sono conosciute solo virtualmente e ritrovi tra persone note. La rete è stato anche questo. 

Provo a narrarvelo, con il linguaggio a me più consono, quello giornalistico e del fotoracconto. A piccoli passi.



Carlo Ridolfi, presidente, ha aperto l'incontro, spiegando che a Negrar i festeggiamenti sono iniziati qualche giorno fa con una mostra “Disegnare una vita” dedicata a Gianfranco Zavalloni (per le vie del paese sono appese ai balconi delle case le tele di Pascucci), link qui, curata dall'associazione “La foglia al vento” che anche fatto alcuni laboratori con i bambini. Ieri, gli alunni della scuola primaria hanno avuto la possibilità di assistere anche alla rappresentazione dello spettacolo di Emanuela Bussolati Il Museo nomade” (link), un museo su ruote itinerante che – si spera - andrà in giro per l'Italia. Ha ricordato anche Mario Lodi e le terre di Cremona.

Ridolfi ha lasciato spazio al sindaco di Negrar (18mila abitanti), Roberto Grison (link) ,che oltre agli auguri di prassi ha colto l'occasione per riflettere, da insegnante, sul grande disagio che vive la società odierna: quello della fretta, ovvero la mancanza di tempo per il dialogo, il confronto e l'ascolto, dove il pensiero lascia spazio all'azione “frenetica”. Purtroppo, questo difetto si respira anche nelle scuole e nelle famiglie, che hanno, quindi, necessità di rallentare. 


Carlo Ridolfi ha ricordato che il convegno è stato reso possibile grazie a un circolo virtuoso formato da tantissime persone - citerei per prima una delle anime, Luciana Bertinato (link) - che si sono spese in prima persona, a partire dalla giunta, in particolare l'assessorato all'educazione e alla cultura (Camilla Coeli, link) e 

l'assessorato alle politiche sociali rappresentato da Ulyana Avola (link), per continuare con la comunità di Negrar, non solo La ProLoco, ma anche con l'Associazione genitori (link fb), di cui una figura centrale è Franca Righetti
Non ultimo, l'Istituto Comprensivo di Negrar che ospita le stanze, rappresentato dalla dirigente Carla Aschieri, che ha dato anche lei il suo benvenuto.


Il ringraziamento è andato a tutti i volontari, a Silvio Boselli che ha curato il logo di quest'anno e a Emanuela Bussolati che ha seguito tutta la grafica.
Carlo Ridolfi ha ricordato anche il rapporto di cuginanza con il Movimento di cooperazione educativa (MCE), del quale Mario Lodi è stato anche presidente onorario.



Il presidente, ci ha appassionato ed emozionato con due video, uno di riflessione su quello che rappresenta la rete, il secondo sulle tappe finora incontrate. 


Un brano di Kahlil Gibran (1883-1931) letto dagli attori Susanna Groppello e Antonio Pannella ci ha invitati a una prima riflessione.
E un mercante chiese. “Parlaci del commercio”.
Ed egli rispose dicendo:
“La terra vi concede il suo frutto e basterà, se voi
saprete riempirvene le mani.
Scambiandovi i doni della terra,
vi sazierete di ricchezze rivelate.
Ma se lo scambio non avverrà in amore e in benefica giustizia,
farà gli uni avidi e gli altri affamati.
Quando voi, lavoratori del mare, dei campi e delle vigne,
incontrerete sulle piazze del mercato i tessitori, i vasai e gli speziali,
invocate che lo Spirito supremo della terra discenda su di voi
per consacrare le bilance e il calcolo sicché valore corrisponda a valore.
E se colà verranno i danzatori e i cantanti
e i suonatori di flauto, comprate pure i loro doni,
poiché anch’essi raccolgono incenso e frutta
e recano all’anima vostra cibo e ornamento,
quantunque lo facciano in sogno.
E prima di lasciare la piazza del mercato,
badate che nessuno sia andato via a mani vuote.
Poiché lo Spirito supremo della terra non dormirà pacifico nel vento
finché il bisogno dell’ultimo fra voi non sia saziato
”.

Spero che seguiranno altri post con altri interventi. Termino questo con una parte che rende lo spirito con cui siamo stati insieme questi due giorni pieni.



"Una vacanza quasi perfetta" di Anne Percin, Giralangolo

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Diciassette anni, Maxime, per scampare all'ennesima vacanza in Corsica con i suoi genitori -supportato da Alice, la sorella più piccola che ha le idee più chiare di lui (passare del tempo in una colonia estiva con la sua migliore amica) - preso alla sprovvista, decide di trascorrere luglio e agosto con la nonna, in un quartiere poco distante da Ivry, un comune alla periferia di Parigi (link). Pochi chilometri separano i due edifici ma la distanza sembra siderale "Il quartiere Kremlin-Bicêtre pur essendo solo a qualche fermata di autobus da Ivry, per me era come se fosse oltre le steppe degli Urali. È lontano ed è bello perché laggiù c'è un giardino, e in quel giardino c'è un ciliegio, e in quel ciliegio c'è un gatto. ... E in mezzo al giardino, tra la strada e il ciliegio sorge ben dritta la casa di nonna Lisette, con le finestre dalle imposte di legno e il cancelletto arrugginito che cigola." Naturalmente quella abitazione nasconde una serie di tesori molto più cari al ragazzo, come l'intera collezione di libri di Agatha Christie, fumetti ingialliti a non finire, una "soffitta di scatole dal contenuto bizzarro, perché la nonna è stata maestra di scuola", una camera insonorizzata, e una stanza con il computer quasi nuovo da cui scaricare "film nell'illegalità più completa".

Così inizia in sordina il periodo di svago di Maxime in "Una vacanza quasi perfetta" di Anne Percin (edito da Giralangoloqui), un libro che propone in modo ironico come riuscire a crescere affrontando le piccole e grandi sfide che la vita ci riserva. Se infatti a Maxime si prospettano solo ore di ozio, nottate a chattare con gli amici, rintanato nel suo guscio ad ascoltare e comporre musica con la chitarra, il giovane si ritroverà all'improvviso catapultato in un'esperienza al di sopra delle sue aspettative.
Infatti, dopo la prima settimana tranquilla, in cui viene coccolato e vezzeggiato, lasciato libero di curiosare e di scoprire la vita piena che Lisette ha al di fuori delle faccende quotidiane, Maxime subisce un vero e proprio straniamento quando, un pomeriggio, si ritrova in cucina avvolto da un forte odore di caramello e dai vapori di fumo che si levano dalla pentola di rame sul fuoco:"Una vera marmitta da strega". Ma le sorprese sono appena iniziate, perché, evitato l'incendio, andando alla ricerca della nonna, la troverà accasciata e priva di sensi nel sottoscala alla "Harry Potter". Di fatto la nonna finisce in ospedale, e il lettore segue con grande interesse la serie di gag esilaranti che capitano una dopo l'altra al giovane protagonista, alle prese non solo con la polizia ma anche con le cartine dell'ospedale...

Inizia così un'estate diversa, in cui un adolescente si troverà ad affrontare da solo insolite avventure, dalla gestione quotidiana di una casa dove qualche ora prima era un semplice ospite - alle prese con le prime esperienze culinarie (con qualche sorpresa gastronomica), una caterva di panni sporchi o con lo scaldabagno che non funziona - alla relazione con la nonna, che all'inizio sembra avere perso la memoria, ma pian piano riuscirà a riprendersi, passando da un reparto all'altro.
Il ragazzo saprà cavarsela egregiamente e, senza volerlo, scoprirà una verità scomoda sulla sua famiglia, che metterà in discussione l'immagine "stereotipata" e forse "edulcorata" delle persone care, che celano molti più segreti di quanto uno possa immaginare.

Nel romanzo non manca anche una parte dedicata alla prima "cotta" che, come a volte succede, nasce da un'iniziale ostilità e dal pregiudizio, per trasformarsi in qualcosa di imprevisto, e quindi, ancora più bello ed emozionante.

Il libro, raccontato in prima persona, è bel mix di descrizioni sceniche, note ironiche e riflessioni non prive di emozioni e commozioni del protagonista. Lasciato in balia di se stesso, Maxime a volte è in preda alla nostalgia e alla solitudine, senza però lasciarsi mai prendere dallo sconforto e, grazie alle energie ritrovate, riuscirà a scoprire quanto sia in grado di badare a se stesso e agli altri molto meglio di quanto pensasse, perché "Bisognerebbe smettere di credere che prima dei vent'anni siamo dei vegetali."

Questo romanzo incolla il lettore pagina dopo pagina facendosi "divorare" in poco tempo con molta piacevolezza, senza togliere spazio alla riflessione, dimostrando come i giovani, lasciati liberi di agire senza pre-giudizi, siano capaci di sorprendere.
Non a caso il libro dell'autrice francese, ha ricevuto un riconoscimento in Francia (qui il suo commento in francese), e sono lieta che sia finalmente uscito nella versione italiana grazie a Giralangolo.

Per chi ne vorrà fare buon uso, ecco anche un link (qui) che suggerisce una serie di approfondimenti sui temi trattati e collegamenti utili (sempre in francese) specie a studenti e insegnanti.

"Tam tam bum" di Frédéric Stehr, Babalibri

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Cosa succede quando alcuni uccellini si mettono a "trafficare" con gli oggetti di casa? Ne può uscire una piccola orchestra improvvisata che li appassiona in modo così travolgente da coinvolgere sempre più amici. È quello che succede in "Tam tam bum" di Frédéric Stehr, edito da Babalibri (quiil link alla casa editrice), un piacevolissimo albo cartonato, che piacerà un sacco ai più piccoli.


Tutto inizia con un gufetto gioca con due mestoli che batte con gran divertimento su una pentola rovesciata. Il suono attrae un altro uccellino giallo dal becco lungo - come gli aironi - che va subito a prendere due coperchi per alternare il ritmo del "tam tam tam" dei mestoli a quello del "deng deng deng" dei piatti.
Un altro volatile, forse un pulcino, dal piccolo becco e due zampone rossi, incuriosito si avvicina e non ce la fa a non prendere un altro oggetto dalla cucina e suonare "bum bum bum".


Il concerto sempre più rumoroso attrae sempre più uccellini che, entusiasmati da quei suoni che sentono uscire e mescolarsi e che per tutti è solo "musica", vanno a rifornirsi di altri attrezzi. E come ogni gioco che è bello finché dura, a un certo punto arriva mamma gufa che, dopo aver chiesto cosa stiano facendo, sequestra gli strumenti lasciandoli "di stucco" e un po' delusi. Ma tornerà con una dolce sorpresa.
Una volta rifocillati, gli amici si ritrovano dunque a scoprire un altro angolo della cucina e cosa decideranno di combinare? ps se non volete rovinarvi la sorpresa non sbirciate il retro della copertina...

Questo albo riporta con semplicità quello che accade quando i bambini iniziano a scoprire il mondo che li circonda e imparano presto che gli oggetti più comuni e semplici possono diventare giochi preziosi (molto più di quelli preconfezionati). Infatti, mestoli, cucchiai, pentole, coperchi e tanti oggetti che ognuno di noi ha in cucina riescono sempre a entusiasmare i nostri "cuccioli", grazie al suono e al timbro diverso che emettono, coinvolgendoli anche per molto tempo.

L'albo cartonato con gli angoli arrotondati inoltre si presta ad essere maneggiato anche in tenera età, e riesce a rendere complici grandi e piccini in una lettura che riporta alla quotidianità, e regala al tempo stesso sicurezza (ritrovare gli oggetti noti e di "ogni giorno") e divertimento (specie se i grandi si metteranno in gioco, divertendosi a riprodurre i suoni con i loro bambini nel modo più buffo possibile.)

"Lei Vivian Maier", Cinzia Ghigliano, Orecchio Acerbo

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Sarei proprio curiosa di vedere il finissage, questo incontro finale speciale che si terrà venerdì 4 novembre alle 17.45, nelle sale dell'Arengario di Monza che ospita la mostra "Vivian Maier. Nelle sue mani" (qui un link con alcune info - la mostra rimane aperta ancora fino a gennaio), e che vedrà coinvolte Cinzia Ghigliano autrice di "Lei. Vivian Maier", edito da Orecchio Acerbo, di cui allo studio Arosio (qui), l'associazione Restart ha esposto in questi giorni i disegni originali. Il tutto, insieme anche a Raffaella Musicò della neonata libreria indipendente Virginia & Co (qui la storia e qui la pagina facebook). Una visita speciale a una mostra che sicuramente merita.

Un intreccio di donne coraggiose, audaci, amanti della cultura. A tenerle insieme in un fil rouge lei, Vivian Maier, tata di professione e fotografa per passione e talento (ne ho parlato qui), protagonista anche dell'albo edito da Orecchio Acerbo (link qui)


Un albo raccontato attraverso la Voce della sua Rolleiflex, la macchina fotografica che teneva sempre appesa al collo, che narra "Un battito del mio occhio, finta palpebra apri e chiudi, fermava il mondo che i suoi occhi scoprivano". Un racconto poetico dove le parole sono un tutt'uno con le illustrazioni di Cinzia Ghigliano (link qui) che, con grande maestria, ha saputo catturare alcuni momenti essenziali per conoscere questa donna misteriosa


La macchina che l'ha fotografata molto, attraverso ogni tipo di specchio o riflesso.
La macchina che non la lasciava mai, anche quando i bambini che curava prendevano l'autobus per andare a scuola.
La macchina che ha visto tanti posti e tante persone, con lei.


In poche frasi, il racconto essenziale di una vita spesa ad amare vicoli, aromi, pregi e difetti di ogni angolo di strada in cui Vivian Maier è stata e che ha amato a modo suo. Un amore grande, come quello per i tanti bambini che ha curato e osservato attraverso questo terzo occhio. 

Ogni persona per lei era una storia da raccontare attraverso la macchina fotografica, che si descrive come "la penna con cui quel diario è stato scritto".


Di persone Vivian ne ha incontrate tante, ma nessuno l'ha conosciuta veramente, se non per le sue strane abitudini che aveva nel vestirsi o rintanarsi nella sua stanza. 
Un albo che accende lo sguardo su una donna che per caso è venuta alla ribalta ma che ha narrato con occhio vigile e appassionato il mondo che la circondava.

"Botticelli. Inferno", di Ralph Loop, al cinema dal 7 al 9 novembre

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Dal 7 al 9 novembre in tutte le sale che aderiranno (elenco su www.nexodigital.it), uscirà "Botticelli. Inferno", di Ralph Loop una co-produzione tedesco-italiana, a cura di TV Plus, Medea Film e Nexo Digital.La distribuzione è a cura di Nexo Digital in collaborazione con Sky Arte HD e MYmovies.it nell’ambito del progetto "La Grande Arte al Cinema" (link qui).


Se quasi tutti conoscono la "Nascita di Venere" e la "Primavera" di Botticelli (1445-1510) esposte agli Uffizi, pochi sanno che l'artista fiorentino, ormai considerato uno dei più importanti del Rinascimento italiano, si dedicò per molto tempo a un'opera straordinaria, l'illustrazione della Divina Commedia.

Le tavole - come svelano molti esperti in questo film documentario - sono a dir poco rivoluzionarie sia per lo studio approfondito che l'artista fece dell'opera dantesca, sia per il modo di rappresentarla, "rendendo visibili storie e finestre verso altri mondi" che la gente dell'epoca non riusciva nemmeno a raffigurarsi.
Il pittore, conosciuto per la rappresentazione della bellezza a livello ideale, ispirata dalla musa Simonetta Vespucci (le cui spoglie giacciono nella stessa chiesa di Ognissanti dove è sepolto il pittore) mostra in quest'opera un lato più oscuro e profondo, meno noto, in cui si inabissa negli Inferi insieme a Dante e Virgilio in un ciclo continuo, ripercorrendo i 9 cerchi dell'Inferno, fino a riprodurre in modo originale anche il Purgatorio e il Paradiso.


Il film si incentra sulla mappa dell'Inferno, una delle sette pergamene conservate presso la Biblioteca Vaticana (ora disponibile online anche qui, su Digita Vaticana), che fanno parte di un progetto più ampio (commissionato dalla nobile casata dei Medici), che comprendeva in totale di 102 tavole, di cui la maggior parte è presente a Berlino. La digitalizzazione lascia comprendere dettagli di quella che forse era la copertina dell'opera che rimane ancora piena di misteri. Infatti, come mai alcune pergamene sono scomparse? Inoltre, come sono arrivate a Berlino? Cosa si può scoprire da una "semplice" rilegatura? Una storia raccontata a più voci che fa appassionare gli spettatori alle vicissitudini di un'opera che ha entusiasmato anche chi ha potuto visitare la mostra a Londra alla Courtauld Gallery (qui un link riassuntivo).

Nel corso di questo film documentario, si avvicendano anche racconti sulla vita dell'artista, a partire dal nome: alla nascita risulta, infatti, come Alessandro Filipepi, trasformato in seguito in Botticelli, la cui origine rimane ancora ignota. In base a una prima ipotesi il cognome potrebbe essere legato a un soprannome del fratello che era "grosso come una botte", in base a una seconda sarebbe collegato al termine "bottilaro", che all'epoca era il modo in cui ci si riferiva agli orafi. In effetti, prima di entrare a bottega da Filippo Lippi, Botticelli passò diverso tempo presso un orafo e proprio qui scoprì la passione per il disegno.


I canti di Dante si alternano alle descrizioni minuziose dei disegni di Botticelli a cura di molti esperti, italiani ed esteri, che spiegano allo spettatore "incollato" allo schermo come apprezzare al meglio queste pergamene ricche di dettagli, in alcuni - pochi - casi piene di colore, in altri lavorate solo a inchiostro (che riprendeva gli schizzi preliminari impressi con punteruolo e penna metallica), tutte comunque disegnate a mano libera! Un capolavoro effettuato a più riprese, che forse rimase incompiuto con la morte dell'artista.

Un film che tutti dovrebbero vedere, specie gli insegnanti e gli alunni, per avvicinarsi in modo innovativo all'opera di Dante, scoprire come lasciarsi catturare dalle vicende dell'uomo Botticelli e da un'epoca da noi oggi considerata meravigliosa ma che in realtà era molto più difficile di come ce la immaginiamo (basti pensare che l'Arno era un posto insalubre dove venivano gettate le carcasse degli animali) e, infine, coniugare arti che vengono studiate separatamente.

Se non vi ho convinti a parole, ecco qui il trailer, e, in anteprima, una clip qui.


Divagazioni dantesche
A proposito di Dante, lo scorso anno, in occasione dei 750 anni della nascita del poeta, la Società Dantesca Italiana ha realizzato la mostra divulgativa "Dante: vita, opere, fortuna" che oggi, in occasione dell’arrivo al cinema del film Botticelli. Inferno - e grazie alla Società Dantesca - i cinema potranno proporre nei propri foyer. Inoltre, nell'ambito del progetto Lectura Dantis 2016 (tutti i dettagli qui), che a Firenze propone incontri su Dante e il suo tempo giovedì 17 novembre Elisa Brilli presenterà l'incontro “Riscrivere la Firenze di Dante. Racconti, silenzi e congetture tra cronache e Commedia”.

VI incontro della Rete/ Educare nel vuoto per imparare a perdersi: gli insegnamenti della Terra, la parola a Monica Guerra

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Sabato 22 ottobre, nella sessione plenaria della Rete di Cooperazione educativa C'è speranza se accade @ (qui il link al primo post) Monica Guerra, del Dipartimento di Scienze Umane per la Formazione, dell'Università degli Studi Milano Bicocca, ha incantato la platea con il suo intervento “Educare nel vuoto per imparare a perdersi: gli insegnamenti della Terra”.

L'incontro è stato così emozionante, ricco e intenso che ho preferito lasciare spazio alle parole di Monica, che in tanti dovrebbero incontrare di persona, per appassionarsi, entusiasmarsi, disorientarsi (in senso buono) insieme a lei. Eccola...

Ci sono tre cose che vorrei condividere di me: sono una ricercatrice universitaria, e il mio lavoro è "una bella scusa" che mi consente di entrare a scuola; la seconda è che sono presidente dell'associazione Bambini e Natura (sito qui, pagina facebook qui), nata in una mattina in cui con alcuni amici ci siamo riuniti e detti che dovevamo fare qualcosa, mettendoci la faccia; la terza appena accaduta l'ho trovata nel libro curato da Comune Info (qui), che nel presentarmi scrive che faccio parte della Rete di cooperazione educativa. Penso che si tratti di un "refuso" (errore di bozza, ndr), ma ho intenzione di tenerlo nel mio curriculum, perché la Rete mi piace proprio. Ho iniziato a emozionarmi ieri sera a tavola: c'era un silenzio incredibile nonostante fossimo in molti e la rete mi sembra un po' così, silenziosa ma che prende spazio in un territorio importante da occupare. Per questo sono felice di essere qui e sono grata a Fuori (ne ho parlato qui), libro di cui sono la curatrice, significativo perché corale, perché pare un po’ colpa sua se ci siamo ritrovati qui a parlare di Terra, e quando i libri ti fanno incontrare le persone sono preziosi.


Comincio così:“C'era una volta una bambina a cui piaceva molto perdersi, e lo faceva bene perché poi era brava a ritrovarsi. Quando decideva di perdersi andava nel grande prato dietro casa, lo attraversava tutto, si affacciava al limitare della foresta e si incamminava all'ombra dei grandi alberi che diventavano sempre più grandi e sempre più fitti.”

Ai bambini piace perdersi, ma amano perdersi quando sono loro a sceglierlo. Amano perdersi nel senso di vagabondare, di vagare senza meta. Senza sapere dove stanno andando. Quando c'è quell'agitazione della sorpresa, che ti giri e non ci sono più i tuoi riferimenti, ma si apre qualcosa di nuovo e di diverso. In natura, ci dice Beatrice Masini (ecco un'altra "regina delle parole" che sa incantare, ne ho parlato qui), perdersi è affacciarsi a qualcosa di nuovo, che qui descrive come un fitto di alberi che sembra avere poco a che fare con il vuoto.


Quando mi è stato chiesto di pensare a questo intervento e proposto di parlare di vuoto perché in Fuori ne avevo scritto un paragrafo, ho detto di sì. Poi però nell'ultimo mese non ho fatto altro che ragionare al vuoto e al perdersi. Quando per tutto il mese ragioni di perderti, il rischio è non sapere dove stai andando. Soprattutto mi sono chiesta: come si permette una “piccola come me” di dire alla Natura che è vuoto, quando la sensazione che abbiamo tutti quando andiamo in natura è che finalmente ci ritroviamo in qualcosa di bello, di pieno, di ricco? Sembra un'affermazione che odora di scandalo, ma ringrazio Carlo Ridolfi (presidente della Rete di Cooperazione Educativa, ndr, qui il link) che mi ha “costretto” a mettere in fila alcuni pensieri, per cui spero non vi dispiacerà perdervi un po' con me.


Un vuoto che fa bene
Nella maggior parte dei casi quello che sappiamo della Terra non sembra avere a che fare con il vuoto. Oggi sappiamo tutti quanti che la natura, se può essere vuoto, è un vuoto che fa bene. Moltissime ricerche ci descrivono che fa bene, perché genera appartenenza, ciò che è stato descritto come biofilia (nel frequentarla noi ci avviciniamo alla natura e sentiamo di fare parte di essa). Di più, sappiamo che la natura fa bene dal punto di vista fisico, ma anche che è predittiva di felicità, a parità di altre condizioni di vita, che fa stare meglio dal punto di vista emotivo. E ancora che serve a ridurre lo stress, a rigenerare concentrazione e attenzione; che sostiene la curiosità e la creatività.


Se è vuoto, dunque, è vuoto intelligente perché Natura è anche qualcosa che ci permette di apprendere meglio. Oggi sappiamo che le esperienze in natura sono esperienze che generano apprendimento anche dal punto di vista formale.

Se la Natura è vuoto, è vuoto che fa scuola da molto tempo: almeno da Rousseau, certamente fino a Zavalloni e passando per Mario Lodi. Dunque, se la natura fa così tanto scuola, come posso accostarla al vuoto?

Il vuoto come spazio non saturo
Allora, vuoto in che senso? Provo a parlare di spazio naturale intendendolo come spazio non saturo. La natura per me si configura come uno spazio diverso da altri luoghi che bambini e ragazzi sono abituati a frequentare nella loro quotidianità sia scolastica sia domestica, dove c’è saturazione di oggetti e proposte scelte da altri. Perché nei suoi spazi c'è ancora spazio per mettere se stessi. I luoghi naturali non sono stati completamente predefiniti e organizzati da altri: quello che troviamo in natura è completamente divergente da quello che si può trovare in un'aula scolastica, in una casa o anche in un cortile.

Quando siamo in natura non troviamo di norma risposte ma soprattutto domande. 
Domande che riguardano le cose, gli eventi nella loro complessità, perché il mondo ci viene incontro intero, in fenomeni complessi. Quando portiamo i bambini all'aperto non riusciamo a portarli esclusivamente a fare scienze, matematica o geometria, perché dentro alla natura, ad esempio dentro ad un albero, ci sono contemporaneamente la storia, la geografia, la matematica, la geometria, le scienze, ci sono tutte le discipline che arrivano incontro a un bambino in maniera unica, globale, complessa. Le discipline sono un costrutto che l’uomo ha creato perché siamo cosa piccola rispetto al mondo e avevamo bisogno di ridurlo un po’ per provare a capirlo. Non sto negando che l'avere inventato le discipline non sia un modo che ha permesso all'umanità di generare poi conoscenza, però le discipline rischiano di "imbrigliare". Soprattutto se siamo più preoccupati di insegnare contenuti disciplinari che non di permettere ai bambini di incontrare le domande del mondo. Ma le domande del mondo arrivano loro incontro intere. Cosa avrà da raccontare quel materiale o quello spazio naturale a quel bambino?
La Natura, allora, è un vuoto settoriale, perché non parla per settori, mentre è un pieno di senso, un pieno di vita, un pieno che interroga profondamente e mai banalmente.

Il mondo ci viene incontro così, per cui questo spazio vuoto, nel senso che stiamo delineando di non già completamente predeterminato, è rigenerantein quanto si contrappone a spazi e tempi molto pieni che i bambini e i ragazzi incontrano tutto il giorno a scuola, oltre che a casa. E in quegli spazi non più saturi possono accadere cose differenti da quelle che succedono altrimenti scuola.
Ne indico alcune.

Il vuoto come infinite possibilità
Fuori spesso gli insegnanti sanno poco, meno di quello che sanno dentro, dunque sono più vicini ai bambini. In questo spazio in cui non sappiamo abbastanza, si apre la possibilità per noi di stare a vedere cosa succede. In quello spazio che chiamo di “comune inesperienza”, perché adulti e bambini ne sanno oggi entrambi troppo poco, gli adulti possono tornare a osservare.
Andare fuori è una delle modalità con cui gli adulti hanno la possibilità di provare a cambiare il proprio ruolo. Quando siamo dentro, sappiamo – perché lo abbiamo imparato, interiorizzato, a volte trasformato in routine - quello che siamo chiamare a fare, conosciamo i contenuti e anche le metodologie. Quando andiamo fuori, invece, non lo sappiamo più. Proprio perché ne sappiamo poco di Natura, quando andiamo fuori può succedere che rimaniamo senza parole, che non abbiamo le risposte. Allora si apre lo spazio di una “ricerca condivisa”. Quando non siamo preoccupati di dare la risposta giusta alle domande dei bambini, magari proprio perché non la conosciamo, allora può succedere che noi e i bambini possiamo farci buone domande. C’è lo spazio – vuoto - per stare ad ascoltare le domande che i bambini si fanno. Lì può cambiare qualcosa, che entra in maniera dirompente nel mondo della scuola.


Fuori per lasciare provare i bambini
Fuori c'è anche una diversa distanza, nel senso che si possono sperimentare delle distanze maggiori, meno prossime, da quelle che ci sono normalmente negli spazi che conosciamo dentro. All'interno siamo molto vicini, talvolta addosso. Sopra le teste dei bambini. Spesso prevalichiamo la voglia di dire e di fare dei bambini per condurli dove crediamo debbano andare, verso ciò che pensiamo debbano sapere, fare, dire. Fuori riusciamo maggiormente – certo, a patto che abbiamo coraggio, perché dobbiamo rischiare di credere davvero in quello che possono provare a fare - a prendere nuove distanze, facendo crescere di contro la vicinanza emotiva. Se non siamo distratti da chiacchiere e non assumiamo la posizione dei guardiani, possiamo sperimentare quella di chi, con un buon obiettivo, una buona lente, si mette a guardare. E in quel guardare scopriamo che possiamo lasciarli andare. Possiamo provare a esercitare fiducia nei loro confronti. Allora fuori si genera uno spazio vuoto, nel senso di libero, dove loro possono provare a fare.

Conoscere per proteggere
È vero che gli adulti sono poco abituati a frequentare la natura, ma oggi questo vale anche per i bambini e i ragazzi. Noi associamo bambini e natura come se fossero un binomio imprescindibile, ma questo sta diventando sempre più come un binomio fantastico di Rodari, ovvero un'associazione che non è così scontata. Per poter voler frequentare qualcosa la dobbiamo conoscere, per volerla frequentare dobbiamo averci a che fare. Nessuno sta bene in un luogo che non conosce, perché la prima esperienza è di disorientamento: se non lo frequenti, non lo conosci, non lo ami e non lo proteggi. Questo è un passaggio cruciale. Per seminare il futuro abbiamo bisogno di frequentare: per conoscere, per amare, per proteggere. Se non compiamo questi passaggi, probabilmente invecchieremo come adulti che non proteggono la terra e faremo crescere bambini che non la proteggeranno, perché non l'hanno conosciuta e dunque non la possono amare.
Per costruire un dialogo fertile con la Terra c’è bisogno di conoscerla. Di adulti coraggiosi che si prendono la responsabilità di far uscire i bambini e i ragazzi, a rischio di perdersi.
Allora perdersi diventa davvero un bene, perché quando cambiamo le coordinate dei luoghi che frequentiamo, quando dall'aula andiamo fuori, perdiamo un po' il nostro ruolo perché non sappiamo più perfettamente cosa fare. Siamo stati istruiti per insegnare dentro, e spesso in un modo vecchio, come sento il mio ora mentre vi parlo da un palco, un modo che si riduce al racconto unilaterale di qualcuno che prova a condividere, più o meno umilmente, ciò che ha capito. Ma questo modo è, comunque, un modo vecchio.

Quando ci si perde, ci si apre al Mondo
Occorrono adulti coraggiosi, dunque, che permettano ai bambini di attraversare un vuoto di certezze, di uscire e perdersi, perché quando si inizia a perdersi si apre il mondo. Un mondo che è fatto di inconsueto, e dunque di possibilità, in cui si aprono orizzonti che non avevamo neanche immaginato. Ma è un mondo possibile, senza assillo, molto diverso da certa scuola ancora troppo diffusa: un mondo dove si può correre il rischio di oziare, come Gianfranco Zavalloni ha raccontato bene, e così di apprendere.

Nel vuoto che la natura istituisce può cambiare il modo con cui stiamo con i bambini.
Io non sono appassionata di natura perché mi piace sporcarmi le mani: anche, ma non solo né soprattutto. La cosa che genera e sostiene la mia passione è lo spiazzamento che avverto nello stare fuori. In questo spiazzamento sento che nella Terra, nel Mondo si può istituire un modo diverso anche di pensare la scuola.

Il vuoto è faticoso perché si sente il cuore. Anche della scuola.



Questa natura che provoca a stare in ascolto in modo diverso, può farci sentire il cuore dei bambini, il nostro cuore quando stiamo in silenzio dentro la natura e ci può far sentire il cuore della scuola, un cuore che deve ricominciare a battere forte. Innanzitutto dentro alla scuola pubblica. E non perché le scuole che non sono identificate come tali non siano buone scuole, ma perché penso che le scuole debbano essere comunque e sempre pubbliche, nel senso di tutti, per tutti, accessibili, partecipate, vive. In questo momento vivo con dolore il movimento centrifugo dalla scuola di tante famiglie, come anche la fatica a restarvi dentro di tanti altri genitori, ma anche di molti insegnanti, che sentono che quello che si fa a scuola non è quello che vorrebbero che la scuola fosse.

La scuola che fa venir voglia di imparare
Abbiamo una responsabilità enorme, perché la scuola di tutti i bambini, di ogni bambino, deve essere un luogo che non spegne le loro teste, ma che li tiene vivi, che li “infetta” di un virus buono che permette loro di continuare ad avere voglia di imparare, per tutta la vita.

Per me in gioco c'è qualcosa di più del solo uscire. Uscire permette di frequentare, conoscere, amare e proteggere, lo abbiamo detto, dunque è certamente importante. Però per me andare fuori significa soprattutto avere l’opportunità di pensare cosa vorrei fosse il futuro dell'educazione.Io voglio che il futuro dell'educazione sia un posto dove i bambini entrano contenti di esserci arrivati, che abbiano voglia di starci tutto il tempo, tutti i giorni dell'anno e che nelle prime settimane di scuola non si chiedano quanto manca alla fine. Non voglio che pensino che quando escono alle quattro del pomeriggio finalmente inizia la vita, voglio che non serva avere tanti i compiti da fare perché quello che è successo dentro, quando hanno passato tutta la giornata a scuola, è stato talmente ricco e bello e produttivo che li ha riempiti per i giorni, i mesi e gli anni a venire. Per questo vorrei tantissimo una scuola aperta sul mondo.


Riassumendo...
I bambini e i ragazzi hanno bisogno di natura. È un fatto. Per tutte le ragioni che ci siamo detti prima: crescono meglio, con una mente più aperta, perché è vero che nella terra è il futuro dell'educazione. Ancora di più, però, il mondo ha bisogno dei bambini e dei ragazzi, perché altrimenti non vive. Non penso che ci possa essere un'altra storia. Questo mondo ha bisogno che ognuno di noi svolga al meglio il suo lavoro.

Di solito si chiude dicendo grazie. Io oggi per la prima volta ho deciso di chiudere dicendo “per favore”, perché vorrei che l'onda di queste giornate fosse un’onda lunga, in cui conservassimo l’idea che i bambini si possono perdere. E, mentre loro si perdono e scoprono il mondo e la vita, noi perdessimo un po’ l'idea tanto rassicurante di scuola che ci siamo costruiti addosso, per andare con coraggio verso una scuola diversa, aperta al mondo, perché sa che là fuori c'è il futuro.

Vorrei che l'onda lunga di tutto quello che la Rete fa e che stiamo condividendo qui lo portassimo dentro ai nostri posti di lavoro. Se non ci mettiamo la faccia, tutti e ognuno, la scuola di tutti è una scuola destinata a perdersi, e non nel senso buono che abbiamo provato a condividere. Mentre può essere un posto dove c'è vuoto e, dunque, spazio per tutti. Quando facciamo vuoto, l'universo ci può riempire.


Per approfondire qualche link: qui un Manifesto educativo per innovare la scuola, qui Monica Guerra a Buongiorno Regione della Lombardia (dal minuto 10...).

"Il volo della famiglia Knitter" di Guia Risari e Anna Castagnoli, Bohem press

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Viene molta "invidia" a leggere Il volo della famiglia Knitter di Guia Risari (link) Anna Castagnoli (link), edito da Bohem press (link qui), un albo illustrato che invita a volare come Peter Pan alla ricerca della gioia, della spensieratezza, della libertà, della conoscenza del mondo. Ma mentre Peter Pan rimane sempre giovane, senza voglia di cambiare e si rintana nell'Isola che non c'è, qui un'intera famiglia decide di cambiare vita, alla scoperta di nuovi orizzonti, e da "normale" diventa "speciale", perché osa fare forse quelli che tutti desiderano ma poi non sono capaci: spiccare il volo. Le lezioni le fornisce il canarino di casa e, meno male in famiglia ce n'era uno!

Tutto ha inizio un fatidico giorno di caldo e soffoco, quando i quattro sono stremati dall'afa e la madre, impietosita per le sorti del povero uccellino, lo lascia uscire dalla gabbia; questi, riconoscente, al posto di scappare, inizia a impartire lezioni di volo a tutti quanti. Ognuno impara a modo suo: alcuni sono più a loro agio, altri più impacciati, con qualche piccolo acciacco. I più simpatici sono il cane e il gatto che "hanno uno stile disordinato" tanto che sembrano nuotare nell'aria. Ma non interessa. Non c'è nessun giudizio da parte di alcuno. L'importante è il risultato: saper volare (una cosa mica da poco eh!).


Il padre propone di fare un viaggio volando: nessuna esitazione, tutti d'accordo, pronti... via! La famiglia con lo stretto necessario si lancia all'avventura. E così li seguiamo, attraverso le illustrazioni lievi e delicate di Anna Castagnoli, alla scoperta di paesaggi diversi,

a far merenda sulle nuvole, a scappare dai fumi molesti delle città inquinate, che emanano solo "puzza" e disordine. Sempre dietro al canarino, alla ricerca del profumo "di terra e sole".

La famiglia decide di fermarsi su un'isola appena emersa, in mezzo ai marosi. Da lontano sembra uno sparuto scoglio privo di attrazione, ma quando la lente di ingrandimento "zoomma" sull'interno,

si prospetta un vero e proprio paradiso,


e tutti atterrano sopra "cuscini di muschio e cespugli di mirtilli". Li vediamo atterrare soavemente, un piccolo abbracciato alla mamma, il padre che ci affonda proprio dentro, quasi a farci "gustare" quanto soffice è il substrato che li accoglie e la gioia, l'appagamento che prova chi ha trovato qualcosa di ricco.
Qui regnano "silenzio e pace".
A vedere quelle immagini e a leggere le parole dell'albo, non posso non pensare a quanto ha ricordato Monica Guerra durante il VI convegno della Rete di Cooperazione educativa (ne ha parlato qui), sulla potenza della Natura.
Forse dovremmo soffermarci di più sugli enormi benefici effetti che provoca un ambiente naturale. Sono perciò grata anche a Guia Risari e ad Anna Castagnoli che sanno riportarcelo con grande effetto e poesia. Un effetto così potente da rendere irreversibile una timida proposta iniziale, quella di una semplice vacanza, che si trasforma in una scelta di vita. Alla scoperta delle meraviglie del mondo. Uniti, insieme. Senza una meta, ma "con la gioia di volare".
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