Quantcast
Channel: A casa di Anna
Viewing all 525 articles
Browse latest View live

La Rete di cooperazione educativa, la Carovana dei Pacifici e Luciana Bertinato con le sue "Coccinelle"

$
0
0


Il 24 e il 25 ottobre (c'è tempo per iscriversi fino al 16 ottobre, qui la scheda e i dettagli e qui la pagina facebook con in alto le indicazioni riassuntive utili) a Bastia Umbra ci sarà il convegno della Rete di Cooperazione Educativa - C'è speranza se questo accade, che riunisce tutte le persone interessate a mettere al centro i bambini, sistemi educativi che tengano conto dei loro bisogni e di modalità nuove e innovative per rapportarsi nel rispetto della loro persona, e che quest'anno avrà come tema "L'educazione prende corpo: imparare in tutti i sensi". E chi parteciperà avrà la possibilità di mettersi in discussione con diverse sessioni teatrali o di riflessione anche a livello di pensiero. Non nascondo che sia veramente difficile scegliere tra i laboratori attivati. Qui un video di presentazione per convincere all'ultimo gli indecisi o i ritardatari.


Storie della Carovana dei Pacifici
Un momento particolarmente significativo sarà la Carovana dei pacifici, iniziata lo scorso anno a Drizzona (Cremona) in occasione di un ricordo del Maestro Mario Lodi e di Gianfranco Zavalloni (noto per il libro La Pedagogia della lumaca, quiriassunto il suo pensiero), in cui il "giocattolaio"Roberto Papetti propose di costruire un'armata di pace, con i fiori al posto dei fucili. Di cosa si tratti si vede nel video.


Da qui è scaturita una proposta per le scuole: di fronte a tante guerre che ci circondano, perché non avviare un ragionamento approfondito sulla Pace che parta dal pensiero e dalle riflessioni con i bambini e dei bambini, un cammino lento che si diffonda e che pervada il nostro Paese, contaminando anche quartieri e cittadinanza? Questo progetto, già avviato in molte realtà, verrà presentato alle ore 12 il 24 ottobre da Emanuela Bussolati (illustratrice), Sandra Dema (scrittrice e disegnatrice), Roberto Papetti (Mastro Giocattolaio) e Luciana Bertinato (insegnante). Tanti educatori stanno rispondendo alla richiesta di inoltrare i pacifici al convegno. Ma se siete interessati, e non riuscite a fare in tempo, seguite l'argomento, che non si esaurirà certo in questa occasione ma speriamo si amplifichi. Gli aggiornamenti sulla pagina facebook.

Chi è maestra Luciana
Luciana (qui una breve biografia) fa parte della Rete di cooperazione educativa (voluta dal maestro Mario Lodi qualche anno prima della sua scomparsa). Questa insegnante di Soave, in Veneto, da diverso tempo ha uno spazio dove racconta le sue esperienze e fornisce alcuni consigli, sul sito de La Vita Scolasticaqui.
E proprio a Luciana volevo dedicare la seconda parte di post perché, essendo ricominciata la scuola  mi sembra il momento opportuno per segnalare una bellissima iniziativa  avviata lo scorso anno da questa coraggiosa e aperta maestra di scuola primaria, (insieme alle colleghe Elena Bosco, Marta Guadin e al collega Mauro Cassini), che ha visto coinvolti in prima persona i bambini e le bambine della sua classe della scuola di Soave/Verona insieme a genitori, nonni, autori, artisti e artigiani.
Un'iniziativa che è iniziata a partire proprio dalla Pace.... ma per arrivarci partiamo dal giornale...



Coccinelle news
Si tratta di un giornale di classe "Coccinelle news", che si presenta così "Abbiamo deciso di fare questo giornale per raccontare cosa facciamo a scuola: le attività, le uscite, le novità. Ma anche le avventure, le idee, i pensieri e gli affetti. Per scegliere il titolo abbiamo votato come fate voi grandi. Poi con l'auto delle maestre abbiamo progettato il menabò del primo numero".
Un progetto ambizioso che è finora riuscito a tenere testa agli obiettivi preposti. Leggendo il colophon, che riporta sul retro tutti i "protagonisti"- come ogni giornale che si rispetti - è bellissimo leggere i soprannomi che si sono dati i bambini: ci sono il chitarrista e l'agente segreto, ma non mancano la veterinaria, il pompiere, la pittrice e la "dog trainer"...


Quello che mi ha colpito di più è l'idea di rendere partecipi i bambini attraverso molte esperienze dirette che favoriscono il coinvolgimento emotivo e facilitano anche la voglia di raccontare attraverso parole e disegni. Naturalmente questo progetto editoriale è a misura di bambino e i bambini sono i veri protagonisti con l'aiuto dei genitori che collaborano e dei maestri che ne guidano la regia. Il terzo anno richiede che i bambini imparino a elaborare frasi, rielaborare pensieri e riflessioni e questo approccio stimolante sicuramente li rende molto attivi e interessati come si può vedere da alcune immagini.


Nel primo numero, per esempio, il primo giorno di scuola i bambini di pace, come racconta qui Luciana e di cui riprendo l'inizio (Da Vita da Maestra) "Abbiamo intrapreso un percorso di riflessione sui temi dei conflitti nel mondo, durante il quale gli alunni avevano inviato molte “cartoline di pace”, illustrate con pensieri e disegni, a coetanei vittime di guerre in varie zone del pianeta, affidandole ad alcune Ong impegnate in Palestina, Ucraina, Afghanistan, Iran, Iraq, Libia, Siria, Sud Sudan, Nigeria, Somalia, Pakistan". Leggendo tutto il brano si può ritrovare per esteso il senso dei pacifici, trovare le sagome da scaricare e capire come muoversi.

Ma le coccinelle si sono aperte al mondo... Hanno dedicato uno speciale ai nonni...


... e ai giochi che facevano

... hanno ripensato a quando erano piccoli (un bel percorso considerando che in terza si passa a studiare la Storia e le storie...)


Sono andati a fiere...


... e hanno dedicato uno speciale al Maestro Mario Lodi e al suo cane Febo, famoso per un bellissimo racconto autobiografico...


Infine, oltre a uno scambio con Elia Zardo, de La Scuola del Fare, hanno avuto la fortunatissima esperienza di avere uno scambio prima letterario e poi dal vivo con l'illustratrice Emanuela Bussolati (chi non la conosce ancora guardi questo post che le ho dedicato all'inizio del mio percorso...)


Insomma, tornando all'inizio, ecco lo spirito dell'incontro di Bastia Umbra e delle meravigliose persone che si possono incontrare lungo il cammino. Un cammino aiutato anche dalla rete, si inizia a conoscersi virtualmente ma poi è importante la conoscenza vera, il dialogo, lo scambio, il vis à vis.

Ringrazio di cuore Luciana Bertinato che mi ha anche dato la possibilità di sfogliare e leggere i giornali e di rendermi conto di quante cose belle si possono fare. Tutte le opere sono frutto dei suoi allievi.


#Laboratorioamerenda con Mister Ubik!

$
0
0


Sono ripartiti gli appuntamenti domenicali alla Feltrinelli RED di piazza Gae Aulenti a Milano dove la sottoscritta e Barbara Archetti, coadiuvate talvolta da Cristina Zeppini, ci dedichiamo ai bambini con il nostro #laboratorioamerenda.
L'incontro è come di consueto alle 16.30per bambini dai 4 anni in su (sono molto ben accetti anche i più grandicelli che possono sperimentare in totale libertà). Questa domenica 18 ottobre per esempio, sarà la volta di "Scambio culturale" di Isol (Logosedizioni) - che ha meritato nel 2013 il prestigioso premio Astrid Lindgren - dove cercheremo di dedicarci a una tv molto speciale... quella che creeremo noi stessi. Ispirati dalla storia molto divertente ma che invita anche a un'attenta riflessione.

Domenica scorsa (11/10) Barbara ha invece fatto diventare re dei boschi molti bambini, che sono tornati a casa pieni di natura, gioia e allegria.


Mr Ubik!
In questo post vorrei invece raccontarvi del laboratorio dedicato a Mr Ubik!, un libro - quasi - senza parole di David Wiesner, edito in Italia da Orecchio Arcerbo (evviva!... qui la scheda), che lascia proprio ammutoliti ed estasiati i giovani e più grandi lettori. Questo autore americano creativo, che ha vinto prestigiosi premi (presentato in modo esaustivo da Elisabetta Cremaschi sul suo blog Gavroche (qui il post), ha avuto la possibilità di potersi esprimere sin da piccolo e poter creare degli albi (i cosiddetti "picture book") come quelli che avrebbe desiderato leggere da bambino.

Un autore che riesce a passare dalla realtà alla finzione in modo magico, che riesce ad essere preciso a livello naturalistico a tal punto da utilizzare come modello il suo gatto e mettergli una telecamera per fissare meglio i movimenti e renderli reali. Ebbene a questo realismo poetico si associa pian piano l'aspetto onirico e il lettore o l'ascoltatore si ritrovano magicamente proiettati in un mondo fantastico dove tutto può succedere... infatti nel corso della storia si realizzerà una bellissima amicizia tra alcuni marziani e alcuni insetti (una coccinella e diverse formiche) che cercheranno di allearsi per sconfiggere il felino. Nonostante i problemi di lingua, la voglia di conoscersi può tutto...

Quello che mi ha colpito di più di questo albo è l'inizio, che fa ricordare molto a noi genitori quanto l'attenzione e la curiosità siano qualcosa che scatta in ognuno per un particolare interesse - e non certo se si viene sommersi di giochi - come avviene per il gatto... o per i bambini di oggi.
Un'ultima chicca: nel libro ci sono diversi segni, un modo di comunicare che hanno gli alieni, dei simboli come un po' i geroglifici egizi, il bello è che ognuno li può interpretare come meglio crede.

Potete anche vedere questa presentazione nel video qui, a opera dello stesso David Wiesner.


La lettura e il laboratorio
Questo libro, che ha visto un piccolo ma prezioso pubblico di adulti e bambini estasiati durante la lettura, si presta bene allo spirito dei laboratori che conduciamo, improntati sul metterci a disposizione per stimolare la fantasia e la creatività dei partecipanti. Una cosa a cui sia io sia Barbara teniamo particolarmente, accanto al valore della relazione con l'adulto. Il lavoro che ci caratterizza riguarda soprattutto la scelta dei materiali, che cercano di essere di volta in volta particolari e se possibile di recupero - per far scoprire anche ai genitori che non occorre per forza acquistare, ma saper tenere un po' di materiale, che grazie ai bambini si trasforma a seconda di quello che "cercano e vedono"- e qualche prova per vedere se le "costruzioni" reggono.

Il resto va da sè... Cerchiamo sempre di consentire di osservare con cura i materiali prima di partire perché proprio la loro natura può portare ispirazione. C'è chi parte convinto con le idee chiare dall'inizio e chi se le fa venire pian piano, osservando magari cosa fanno gli altri. Questa volta in particolare ho riscontrato una bellissima "alleanza" genitori/bambini in cui non solo gli adulti si sono messi a disposizione ma hanno addirittura stimolato, proposto e i bambini a volte accolto, a volta contraccambiato con modifiche.


L'età era delle più varie, dal piccolo Ico di due anni, che ha lavorato su foglio,

fino a Caterina, 10 anni, che ha progettato una sorta di stazione lunare con tanto di alieni e scala di risalita per l'astronave.


Non è mancata Stella, che riceverà il premio fedeltà non solo per presenze ma per creatività.

Ma sono bellissimi anche tutti gli altri lavori di Maritina, Camilla, Giulia che vedete di seguito ...


Una sorpresa golosa

E c'è stata anche un'iniziativa inconsueta, che rimarrà per tutto il mese. A un certo punto si sono palesati i camerieri del ristorante con alcuni biscotti messi a disposizione dalla Pasticceria La Donatella.  Fine laboratorio proprio con merenda. Cosa desiderare di più?



#BCM15: Milano curiosa e uno sguardo in più su Milano Mia di Elda Cerchiari Necchi

$
0
0


Milano curiosa: parlare della città ai bambini attraverso guide, mappe e storie

In occasione di #BCM15 (Bookcity Milano) sabato 24 ottobre (qui link) alle ore 10 presso la Biblioteca Sormani, c'è una tavola rotonda che mi sta particolarmente a cuore, perché Paola Bocci, presidente della commissione cultura del Comune di Milano, ha tenuto a fare un incontro dedicato a tutte le persone interessate a uno sguardo a 360° sulla città, per aiutare gli adulti a far amare il capoluogo lombardo ai bambini, raccontandola e guardandola in diverse angolature...

L'incontro è dedicato ai grandi esappiate che è gratuito e aperto a tutti, salvo esaurimento posti.

Interverranno:

Sara Dania, ItalyforKids  che presenterà "la prima Mappa di Milano per i bambini, perché imparare a viaggiare è ancora più bello se lo si fa da piccoli, anche nella propria città".
Lidia Labianca, La mia Milano, ElectaKids - Mondadori che parlerà di "Una guida di Milano dedicata ai bambini, per conoscere in modo nuovo monumenti, musei, capolavori d’arte, parchi, chiese e architetture; una serie di attività per stimolare la creatività dei giovani lettori e a mettere in relazione, in modo ludico, il bambino con le bellezze della città." (qui un post su Artkids ; è previsto un evento per bambini al pomeriggio di sabato 24/10 qui).


Patrizia Zelioli, Milano MilleStorie, Babalibri illustrerà una guida "Per conoscere Milano dalla sua nascita fino ad oggi attraverso curiose avventure, intrighi, segreti, audaci peripezie e incontri da brivido. Perché una città è fatta di storie." (qui mio post e qui l'evento del pomeriggio dedicato ai bambini che li porterà in giro per la città).


Infine, Elda Cerchiari Necchi e Chiara Rosati presenteranno Milano Mia – la città come non è mai stata raccontata edito da Polaris (sul sito dell'Associazione Elda Cerchiari Necchi potete trovare info su altri appuntamenti o novità).

Dedico uno spazio speciale a quest'ulitmo libro perché ho avuto occasione di andare qualche mese fa all'inaugurazione del libro e quindi posso raccontarvi qualcosa in più:  i mille volti di una città con sguardi accumunati da un filo conduttore comune, quello di Elda Cerchiari Necchi, che ha chiesto a quaranta persone di raccontare la loro Milano. Ognuno con un taglio diverso.

 
Nella prefazione Elda Cerchiari Necchi (nelle foto), ligure di nascita e milanese d'adozione, racconta “Alla nostalgia della luminosità ligure, si è gradatamente sostituita l'emozione di incontri umani e culturali. E' così maturato il mio amore per Milano ed è nata laconvinzione che il toponimo Mediolanum significhi armonia degli opposti e capacità di mediazione”.

Grazie all'insegnamento della storia dell'arte al Liceo Berchet negli anni Settanta, la signora Necchi, è riuscita a tessere una rete di relazioni incredibili che le ha permesso di trovare persone che – grazie al prezioso e insostituibile aiuto di Chiara Rosati hanno parlato di Milano sotto tanti punti di vista, dal punto di vista cinematografico a quello storico, da quello artistico museale ai percorsi tra quartieri vecchi e nuovi.
In sintesi l'estratto del libro potrebbe essere questo:"Il racconto avvincente, sul filo della memoria e delle emozioni, di quaranta protagonisti della vita culturale cittadina e al tempo stesso una guida che suggerisce un altro modo per scoprire e apprezzare la città, seguendo itinerari sorprendenti. Anche per i milanesi." Il volume si suddivide in dodici sezioni: Filmare Milano, Scorci del passato, Strade maestre, Andar per musei, Percorsi, Teatro musica fumetto, Grandi Famiglie, Quartieri, Fotografia, Personaggi, Per Milano, Presente e passato.



Non mancano lo sguardo alle grandi famiglie, il punto di vista fotografico, i personaggi e una vera e propria ode a Milano, che mi sta particolarmente a cuore, essendo stata scritta da Manuel Ferreira (nella foto) ed Elena Lolli, della compagnia Teatrale Alma Rosé, un vero e proprio atto d'amore verso una città difficile ma anche grandiosa.


La cosa – a mio parere incredibile– è stato lasciare libero ognuno di scrivere quello che più stava a cuore, riuscendo allo stesso tempo a coordinare e non sovrapporre gli argomenti, che vengono trattati sempre con un taglio diverso e particolare, a seconda dei propri interessi professionali, come mi spiega Chiara Rosati (nella foto con Elda Chiari Necchi) che ha portato avanti e seguito il progetto dalla sua nascita alla messa in stampa. Percorsi fisici o mentali che siano, consentono di scoprire un sacco di peculiarità di questa città raccontata sia attraverso il passato sia il presente.


Scorci storici come quelli di Agnoletto (qui nella foto con Nichetti che ha parlato naturalmente della sua Milano da regista).

ed ecco Erica Prous, ufficio stampa dell'Associazione che non si è fatta mancare uno scatto con l'autore.
Ovunque persone che leggevano... bella sensazione!





"Fuori": presentazione del libro al MUBA

$
0
0


Lunedì 14 dicembre al MUBA (Museo dei bambini di Milano) è stato presentato il libro "FUORI Suggestioni nell'incontro tra educazione e natura", edito da Franco Angeli, e curato da Monica Guerra, ricercatrice di Didattica, pedagogia speciale e ricerca educativa e docente presso il Dipartimento di Scienze Umane per la Formazione del'Università di Milano-Bicocca, nonché presidente dell'associazione culturale Bambini e Natura.


Proprio Monica Guerra ha illlustrato questo libro corale, che ha visto il contributo di 20 specialisti, una raccolta di riflessioni e pensieri che è stata la naturale evoluzione della pagina facebook di Bambini e Natura (qui il link), che nel giro di due anni ha superato i 6000 like, un luogo virtuale dove sono visibili progetti di esperienza e ricerca, riflessioni, uno spazio aperto a tutti sui temi "bambini e natura" ed "educazione e luogo".
Un libro che Monica ha chiamato "dizionario scomposto di 20 parole strane, inusuali": ogni capitolo è scritto da esperti in diversi ambiti disciplinari, ognuno con un suo sguardo unico. E che sguardo! So che la lista è lunga ma vale la pena solo scoprire - in estrema sintesi - di cosa si occupano queste persone per capire perché questo libro è davvero speciale.

Il manifesto di Fuori, sul sito www.bambinienatura.it

Chi sono i venti autori
Si va: da Francesca Antonacci (ricercatrice e docente di pedagogia del gioco presso l'Università Milano-Bicocca) a Emilio Bertoncini (agronomo e guida ambientale); da Emanuela Bussolati (architetto, progettista di libri e illustratrice) a Renato Casagrandi(ingegnere e professore associato al Politecnico di Milano dove coordina le attività di EnvLab, laboratorio interdipartimentale di didattica per l'Ambiente); da Cheryl Charles (presidente fondatore della rete internazionale Children & Nature, leader nel campo dell'educazione ambientale) a Francesca Ciabotti (pedagogista dell'infanzia, formatrice e molto altro...); da Alex Corlazzoli  (maestro e giornalista) a Paolo Ferri(professore straordinario di Teorie e tecniche dei nuovi media e tecnologie didattiche all'Università Milano-Bicocca); da Tiziano Fratus(poeta e autore di moltissimi libri legti alla natura, quali "L'Italia è un bosco", editori Laterza) a Monica Guerra (anima di tutta questa storia...); da Emanuela Mancino (ricercatrice e docente di filosofia dell'educazione presso l'Università Milano-Bicocca e direttrice della Scuola di pedagogia del silenzio di Accademia del Silenzio) a Gianni Manfredini, alias Babbocanguro, (che ho scoperto ora di conoscere dai tempi del "vecchio" Chiedoasilo e dell'impegno appassionato a scuola); da Claudia Ottella(psicologa e coordinatrice educativa, vicepresidente di Bambini e Natura) a Lola Ottolini(ricercatrice in architettura degli interni presso il Politecnico di Milano); da Telmo Pievani(filosofo della scienza e professore associato presso l'Università di Padova, dove ricopre la prima cattedra italiana di filosofie della scienze Biologiche, uno dei miei miti post universitari di quando ancora riuscivo a fare la giornalista...) a Flaminia Raiteri (coordinatrice pedagogica della Cooperativa Argento Vivo di Correggio); da Stefano Sturloni (atelierista da oltre trent'anni delle Scuole comunali d'Infanzia di Reggio Emilia) a Paolo Tasini (giardiniere, perito agrario con laurea in scienze della formazione); da Mauro Van Aken(ricercatore in antropologia culturale presso l'Università Milano-Bicocca) a Lorenzo Vascotto (educatore, direttore della Cooperativa Argento Vivo di Correggio); da Sara Vincetti (educatrice e insegnante in nidi e scuole d'infanzia, si è formata alla pratica del Closlieu di Arno Stern) a Barbara Zoccatelli (pedagogista e formatrice, coordina il nido dell'Università di Trento efd è responsabile dell'atelier per la cooperativa sociale La Coccinella di Cles).


Fuori
Monica Guerra ha spiegato che il libro parte nelle sue riflessioni da venti vocaboli, che costituiscono un capitolo, che possono essere letti indipendentemente l'uno dall'altro. Ha sottolineato come non si tratti del tutto di un progetto "coerente e unitario" ma che la cultura si insegue anche "nel cercare incoerenze e fastidi", nel trovare altri punti di vista. Perché non si abbiano risposte definitive ma si tende alla ricerca come "qualità permanente".

Riprendo alcune frasi perché mi sembrano sintetizzare al meglio lo spirito di questo volume.

Sicuramente il punto di partenza è quello della Natura perché, come ha scritto Monica nel capitolo Suggestioni, "Pensare a un'educazione naturale, intesa come educazione che individua nel fuori una dimensione privilegiata delle esperienze di apprendimento, sia che si propone di essere vicina e congeniale alle modalità di ricercare e conoscere di bambini e ragazzi, è questione pedagogica e didattica di rilievo".
"Questo è anche un libro nato e coltivato fuori, il fuori delle ricerche-formazione sul campo, aperto e spesso verde, di esperienze educative e didattiche che si cimentano con una scuola fatta all'esterno, o per lo meno in costante relazione con esso".
"Il fuori, infine, di una passione per lo stare in natura che accomuna tutti quanti vi hanno scritto".

Questo volume fa riflettere su tantissimi aspetti: dai benefici psicofisici, correlati anche a una maggiore capacità di concentrazione, alla Contemplazione"... che sembra tenere lontana la parola, il gesto, il tempo, il senso, quella zona in cui il bambino si perde e vaga in modo apparentemente improduttivo...(ma!)"come scrive Emanuela Mancino,al Camminodove Francesca Ciabotti ci invita a pensare che"Noi adulti abbiamo definitivamente perso il piacere e la pratica della giusta lentezza, primo segreto del buon camminatore. I bambini invece lo conoscono .... Il loro cammino è fatto di pause e riprese, di rallentamenti e accelerazioni, perché l'obiettivo da raggiungere si perde e sfuma in un qui ed ora pieno di sorprese, incontri e situazioni interessanti da osservare e sperimentare".

E che dire del Silenzio, dove Flaminia Raiteri si interroga su "quanto siamo capaci di ascoltare e sostare nell'attesa di una risposta? Una pausa alimenta o affievolisce le relazioni?" e ancora ci ricorda che "... le esperienze di gioco spontaneo dei bambini nei contesti naturali spesso includono situazioni di silenzi attivi... Tranquilli, nel rispetto della natura, i bambini sperimentano attimi di silenziosa contemplazione e scoperta".
Del resto Paolo Ferri in Tecnologie ci ricorda anche che "I nativi digitali hanno una relazione con la loro "natura" e con quella "esterna" che è strutturalmente mediata dalle tecnologie: vivono tra reale e digitale e noi dobbiamo saperlo per relazionarci con loro."

E questo solo per darvi un piccolo assaggio... il resto lo scoprirete leggendo il libro...


La poesia di Paolo Fratus
Dopo l'introduzione, la serata è iniziata con le parole del poeta Paolo Fratus, noto per i suoi tanti libri tra cui il Manuale del perfetto cercatore di alberi (Kowalski), per il suo pensiero filosofico sui "bambini radice" e "sulle persone che attraversano il paesaggio, trovando una connessione spirituale con gli alberi". Durante l'incontro abbiamo potuto gustare una serie di poesie (47 sono scaricabili qui e associate al suo libro "Ogni albero è un poeta", edito da Mondadori).
Ne riprendo una che ha letto, perché mi ha toccato nel profondo.

Primo seme

Il seme di Dio

Il seme cade nella terra,
si muove quando ancora
non è niente, genera la vita
che non c’è. Dio l’ha inventato
perché non è riuscito a farsi albero,
troppi impegni per radicarsi sottoforma
di pietra.
Il seme è Dio che
non sa restare immobile


Incontri con gli autori
Dopo questo momento magico, Monica ci ha riportato alla realtà, e i numerosi partecipanti hanno potuto scegliere quali parole scoprire insieme agli autori dei capitoli: (gioco, rischio, selvatichezza, distanze, soglie); (contemplazione, silenzio, cammino, lentezza, radici); (nature, stranezza, bellezza, semi). Ammetto che la scelta è stata ardua e avrei desiderato ascoltare tutto.


Siccome non ho ancora il dono dell'ubiquità, mi sono trasferita nel primo gruppo guidato da Michela Schenetti, ricercatrice dell'Università di Bologna e autrice (insieme a Irene Salvaterra e Benedetta Rossini) del libro La scuola nel boscoPedagogia didattica e natura (Erickson), che parla della relazione tra educazione e natura a partire da una cultura per l'infanzia rispettosa.


La parola (Soglie) è passata all'architetto Lola Ottolini che ha esordito raccontando di un gioco che spesso fa in spiaggia con i bambini, in cui si disegnano dei cerchi nella sabbia che diventano la "casa", osservando come ognuno, a seconda dell'età, scelga il suo spazio dimensionale. La soglia può essere dunque anche uno spazio, che le persone abitano. E ha citato il caso dei "bassi napoletani" dove le porte sono tagliate a metà ed esiste una particolare relazione tra dentro e fuori, una sorta di continuità tra due ambienti, privato e pubblico.
Michela ha ripreso le fila riflettendo come ogni giorno attraversiamo molte soglie con una sorta di automatismo, senza dare valore a quello che stiamo facendo, sottolineando invece l'importanza del cambiamento.


Claudia Ottella, psicologa e mamma, ha parlato di Distanze raccontando un'esperienza di vita vissuta; durante una passeggiata in un posto sconosciuto, alle prese dell'elaborazione del libro, hanno lasciato liberi i bambini di allontanarsi finché questi non sono quasi scomparsi dalla loro vista, urlando felici perché "vedevano il mondo sotto". Erano arrivati vicini a uno strapiombo e avevano avuto la consapevolezza di capire quando fermarsi. Questo, per sottolineare come lasciare una distanza comporti spesso dei rischi.
Invece, non siamo più abituati a lasciare che i bambini si muovano e vadano lontano. Ma i bambini sono competenti, basta che concedere loro possibilità e fiducia.
Michela ha sottolineato come questo sia importante, lasciare al bambino la sua autonomia.


Lorenzo Vascotto, educatore e coordinatore di servizi all'infanzia, ha introdotto il concetto di Rischio strettamente correlato al concetto di fiducia, il dare credito a noi stessi, per primi, sapendo che le soglie si oltrepassano e che ce la possiamo fare. In situazioni complesse - che rappresentano  una situazione arricchente - accade, spesso, il contrario, che si riponga poca fiducia nelle competenze dei bambini. Ha sottolineato come sia importante rischiare per non "iperproteggere" i bambini, ingessandoli, ma al contrario sostenerli nella costruzione della loro storia, lasciarli liberi, anche di sbagliare, perché abbiano la possibilità di fare le loro valuttazioni, prendersi i loro spazi. Ha trovato delle connessioni con altre parole emerse nel libro come tempo e lentezza...


Emanuela Bussolati, autrice e illustratrice e molto altro ancora (se spulciate il blog troverete molto su di lei), ha parlato di un tema che le sta molto a cuore, quello della Selvatichezza,raccontando come sia stata una bambina "selvatica" che si arrampicava sugli alberi da frutta e aveva dimestichezza con gli animali intorno a lei. Ha parlato del suo incontro con Paolo Tosini, maestro giardiniere di Bologna, che ha fotografato con discrezione e grande poesia gli incontri dei suoi figli nei boschi e nella natura. E che è riuscito a catturare lo sguardo dei bambini, la meraviglia per la natura come possibilità di superare i propri limiti, la magica sensazione di perdersi e ritrovarsi. Il piacere di varcare le soglie, di passare dall''ombra alla luce, di costruire rifugi e trovare nascondigli. I bambini hanno in sé il ruolo di esploratore, se li priviamo di questo, togliamo possibilità di compiere esperienze straordinarie e di trovare molte risposte alle loro curiosità.
La contemplazione e l'osservazione della natura è un tempo che c'è sempre meno. Come si può educare le nuove generazioni alla sostenibilità, al rispetto della natura se non sono educati nell'ambiente ma sull'ambiente?
Michela ha sottolineato l'opportunità di conoscere e di conoscersi, di apprendimento e scoperta del mondo anche come opportunità di liberare il corpo.


Francesca Antonacci, pedagogista del Gioco, ha parlato di questo cerchio magico, che mette in relazione il dentro e il fuori, creando una distanza tra le cose. Il gioco è antico quanto il mondo e il mondo stesso gioca, con le sue acque, le sue luci, con il suo continuo movimento. Perché parlare del gioco? Perché quello spontaneo sta scomparendo, proibito perché pericoloso, e si lascia sempre più spazio ai luoghi artificiali, adeguati, perché non ci siano pericoli o sporcizia. Se ne parliamo è perché i bambini sono sempre più privati, mentre è necessario aumentare le distanze, andare controcorrente, operare una didattica attiva di apertura, lasciando che i bambini si riappropino della natura.


Dopodiché, come una fatina, Monica Guerra si è palesata a riportarci al centro del MUBA... facendo portare agli autori delle piantine messe a dimora per l'occasione dai bambini presenti.


Emilio Bertoncini, agronomo e guida ambientale.
Stefano Sturloni, atelierista.
Dopo i dovuti ringraziamenti... ecco alcune foto di autori scattate quà e là... ecco la chiusa.



Chiusura
Alex Corlazzoli, maestro e giornalista, che ha parlato della Lentezza. Ha ricordato come "ritrovare il tempo è la sfida di chi insegna".
Riprendo alcune sue frasi che mi hanno colpito leggendo il libro...
"Va riscoperta l'osservazione. Non siamo più capaci di guardare. I nostri occhi troppe volte sono distratti, incapaci di osservare."
"La manualità esige lentezza. Imparare a usare le mani è dare tempo alla creatività... Dobbiamo tornare a riscoprire la lentezza di disegnare, di modellare, di fotografare."
"La lentezza è compagna del silenzio. I luoghi silenziosi sono quelli dove non esiste la frenesia: il deserto, i monasteri, la montagna."
"Il cammino è un altro compagno di lentezza. Non sappiamo più fare. Non camminiamo più. Abbiamo fretta di arrivare. Siamo perennemente in ritardo"... "Camminare esige delle soste."


Una frase che vorrei scolpire è questa, a proposito dell'insegnamento "Non c'è chi arriva primo, ma solo chi si mette in gioco. Tutti possono conquistare un loro traguardo."

Il resto lo lascio alla vostra lettura.  
Questa parte in particolare mi ricorda tutto il lavoro della Rete di Cooperazione educativa, Mario Lodi e Gianfranco Zavalloni.



La serata si è conclusa con uno scoppiettante Gianni Manfredini, alias Babbocanguro, che ha messo in scena una bellissima performance legata ai semi e alla terra.

PS che dire, se non che sono felice di essermi goduta questo incontro visto che mi sono persa, per motivi di salute, un convegno realizzato proprio da Bambini e Natura al MUBA un po' di tempo fa?

Ed è per questo anche che mi scuso con i miei lettori se sono stata assente per un lungo periodo. Purtroppo non mi è stato possibile, ma vedere che assiduamente sono stata seguita "a riflettori spenti" da un piccolo gruppo di appassionati mi fa proseguire con il mio impegno, sperando sempre di mettere in rete e fare circolare cose belle, utili e di qualità.


La piscina, Orecchio Acerbo... e Libri Calzelunghe

$
0
0


Consacrato dalla blogger americana di critica letteraria sul suo Brainpicking tra i dieci migliori albi del 2015, La Piscina della coreana Ji Hyeon Lee edito da Orecchio Acerbo Editoreè un albo senza parole di grande impatto emotivo. Riesce a catturare l'attenzione, anche dei più piccoli (Andrea, quattro anni e mezzo ne è rimasto "stregato"), e mantenerla fino alla fine, con il fiato sospeso e "un pizzico" di magia.

Un libro fatto di vuoti e di pieni, di grigi e colori, di silenzio e rumore.

Il protagonista, un ragazzino timido e con la faccia paffuta, risulta subito simpatico per il suo sguardo che va oltre. Resta lì. Fermo. In attesa, di fronte a una piscina vuota, che forse nasconde qualcosa (un vortice spezza la monotonia dell'acqua ferma).
Piccolo, di fronte all'immensità di quel bacino d'acqua.
Poi il silenzio, la sua contemplazione, viene interrotta da "un'orda barbarica", una fiumana di gente grezza e assordante, grassa e immersa nelle sue "ciambellone" (come le hanno definite i miei bimbi), che incurante di lui e di tutto, riempie la piscina; e si avverte il frastuono, un rumore tale da farti tappare le orecchie. Trovo ancora più bello che avvenga tutto questo in un albo senza parole. Che la potenza del disegno sia tale da farcelo intuire. 


Il ragazzino osa. Prima immerge i piedi nell'acqua, poi in una pagina piena di schiamazzi, urla, strida, pistole a spruzzo, canoe, persone arrabbiate o spaventate, si tuffa. Si intravedono i suoi piedi (a ben guardare...).


E di nuovo una pagina vuota, piena di silenzio e di possibilità. Rende proprio la sensazione che provi al mare quando ti immergi nell'acqua e hai un'altra percezione del mondo, una parte dei sensi annebbiati e il pensiero vaga.
Da quiriprende il colore e avviene l'incontro. L'incontro inatteso con una ragazzina che ha come lui lo stesso desiderio di fuggire da tutta la confusione e di esplorare. Non so perché mi viene spontaneo il collegamento con Viaggiodi Aaron Becker (Feltrinelli) di cui ho parlato qui



E poi uno sviluppoall'insegna della fantasia - come ha detto Marco, il mio più grande di otto anni - dove è possibile incontrare (come avviene spesso nei libri senza parole, dove si passa dal reale al fantastico in un giro di pagina) un mondo inatteso, fatto di pesci strani, rossi con la "bocca a trombetta" che sembrano fare il solletico alle dita, o blu con una sorta di corno, e altri ancora rossi e bianchi che sembrano più tucani che rappresentanti della fauna ittica.
Inutile descrivere ogni tavola.
Bisogna aprire il libro e ammirare insieme tutte le sfumature e dare le proprie interpretazioni: i bambini si staranno nascondendo nei tubi/gallerie da cui escono alcune strane "murene" pezzate con le corna e due denti o staranno giocando a nascondino?
E ancora altri pesci, alcuni "simpatici"come ha detto Andrea, "perché hanno i denti all'insù e uno sguardo buffo", altri con gli occhi strabici, altri ancora con un'"aria severa". Ma i due bambini, impavidi, vi nuotano accanto, a una certa distanza.


Finché... l'incontro di tutti gli incontri. Con una sorta di cetaceo con dentini all'insù e un occhio azzurro dolce, quasi umano, e il pelo sul corpo (che capodogli e balene non hanno), come un cucciolo di foca appena nato, una sorta di gigante buono, di Totoro del mare/piscina...
E poi ancora in giro, a esplorare, finché non si ritorna alla realtà. Che però non sarà più la stessa, d'ora in avanti.
Il libro è dedicato a "tutte le persone che vogliono nuotare il mondo in piena libertà".
PS volevo regalarlo ai miei bambini per Natale ma non ho resistito...


Una disgressione... Libri calzelunghe
Alcune recensioni de La Piscina (tutte sono raccolte qui e aggiornate sul sito della casa editrice) che vi consiglio sono quelle di Marina Petruzio, Luuk Magazine (qui) e Carla Ghisalberti, Lettura Candita (qui). Ne approfitto per segnalarvi che entrambe, insieme a Matteo Biagi, Valeria Bodò, Angela Catrani, Carla Colussi, Barbara Ferraro, Francesca Mariucci, Federica Pizzi, Barbara Servidori, Beniamino Sidoti, Alessandra Starace, Virginia Stefanini, Francesca Tamberlani hanno da poco fondatoLibri calzelunghe, letteratura per ragazzi... per filo e per segni,
un progetto che "Parte dal desiderio di conoscerci, o meglio, di ri-conoscerci. Parte dalla Letteratura per l’infanzia, parte da persone che in varia misura si occupano della letteratura per bambini e per ragazzi e che lavorano anche all’interno del mondo web.
Parte, soprattutto, dal desiderio di poterci confrontare rispetto alla letteratura per l’infanzia e per l’adolescenza, di dire la nostra.
Siamo blogger, siamo librai, siamo editor, siamo, finalmente, un gruppo.
Libri Calzelunghe: un progetto per fare rete
"
E' bello pensare che ci sia voglia di fare un lavoro di gruppo (e che gruppo! se non li conoscete ancora, anche se dubito, è un'occasione ghiotta per spulciare non solo sul sito ma anche sui singoli blog...), un progettto corale che lasci spazio allo stesso tempo all'individualità e alle peculiarità di ognuno. Potete seguire Libri calzelunghe anche su facebook (qui) o twitter (qui). Ah, con il beneplacito, sulle pagine di Repubblica, della giornalista e scrittrice Loredana Lipperini che potete leggere qui. Il primo contributo è relativo al bianco e al nero.

Che dire se non che una bellissima avventura è iniziata. Un grosso in bocca al lupo!


Zeb e Dolci parole alla Librambini di Vimodrone

$
0
0

Una valigia piena di coccole e carezze, sotto forma di libri (ma non solo), si è presentata alla Librambini, Libreria di Vimodrone che è un'affezionata promotrice di albi Babalibri.


Proprio per la passione di Karin Alberti (guida LIA), che anima con grande passione questa libreria alle porte di Milano (qui la pagina facebook molto seguita), uno dei laboratori #BABA15per festeggiare i quindici anni della casa editrice milanese si è svolto qui lo scorso 12 dicembre.

Lo spazio è grande e accogliente e consente al tempo stesso di perdersi tra i libri


... e raccogliersi, quando serve, a leggerli.


Inoltre c'è un'altra sala adibita a laboratorio e, per chi come me,si prepara per tempo, questo è un enorme vantaggio (anche per non svelare subito cosa di cosa tratterà).


Per l'occasione, anche in vista del Natale, abbiamo letto due libri molto teneri Zeb e la scorta dei baci di Michel Gay e Dolci parole di Carl Norac e Claude K. Dubois. Il primo (ne ho parlato anche qui) tratta il tema del distacco in un modo "superbo", perché riesce a creare una modalità di relazione a distanza che può servire sia ai più piccoli sia ai più grandi. Zeb è, infatti, una piccola zebra che deve affrontare il suo primo campus estivo. E' la prima volta che si allontana da casa e all'improvviso si rende conto che non avrà accanto i suoi genitori alla sera, per il bacio della buona notte, e al mattino, per un dolce risveglio. E' così spaventato che non vuole più partire (e come non dargli torto? I cambiamenti, di qualunque tipo siano creano sempre uno scompenso emotivo molto forte). Viene subito rassicurato perché mamma e papà stanno preparando una scorta di baci che sarà sufficiente per tutto il suo soggiorno (idea geniale che funziona anche con i più grandicelli, io ho preparato per il primo distacco di Marco una valigia con dentro frasi incoraggianti e disegni del fratellino... ora ogni volta che partiamo se la porta sempre con sé).
Una volta sul treno e quando è sicuro di non essere visto da nessuno, Zeb non resiste al desiderio di sentire un po' di calore e si prende un "baciocaramella " (si tratta di un biglietto su cui da entrambi i lati mamma e papà hanno stampato un bacio e ripiegato tre volte e messo in una scatola di latta). Ma non basta. Ne servono due. La sua soddisfazione non è completamente appagata perché c'è una piccola zebra che piange disperata e lui sa come potrebbe aiutarla. Alla fine la gentilezza e la generosità avranno il sopravvento e Zeb regalerà la sua scorta di baciocaramelle non solo alla piccola zebra ma anche a tutti gli altri compagni di viaggio (anche più grandi). La sua riserva si esaurisce subito, ma Zeb diventando popolare, riesce a farsi subito un sacco di amici. La paura è svanita e nessuno fermerà la sua voglia di iniziare una nuova avventura, da solo, senza mamma e papà.

Dolci parole (a cui ha fatto seguito La scatola di felicità) è un albo che ha per protagonista una giovane cricetina che si sveglia colma di dolci parole (e come non immaginare un animale più azzeccato visto che i criceti hanno delle sorte di sacche in cui trattengono il cibo?) e non vede l'ora di dispensarle alle persone a lei care. Ma tutti hanno fretta, c'è troppa confusione o rumore e si sa, "la fretta è nemica delle cose fatte bene", e così Lola indugia aspettando il momento migliore per parlare, che sembra non arrivare mai... alla fine è quasi offesa e arrabbiata; ma proprio in questa occasione le parole le escono fuori dalla bocca prima ancora che lei se ne renda conto e urla "mamma papà vi voglio bene!" Il gioco è fatto e seguono abbracci e coccole.
Trovo questo libro bellissimo per invitare i bambini a manifestare i propri sentimenti e per far riflettere noi genitori (mi ci metto per prima), che spesso non troviamo il momento giusto per l'ascolto. I bambini hanno bisogno, per esperimersi, di tempi e modalità tutti loro, diversi da quelli di noi grandi. Forse dovremmo ogni tanto abbandonare la frenesia della vita quotidiana per goderci queste piccole grandi gioie della vita.


La valigia delle coccole
Dopo la lettura, ci siamo spostati nella stanza del laboratorio dove i bambini sono stati invitati a scoprire i materiali a disposizione:

per l'occasione ho cercato di trovare sostanze morbide, come ovatta e muschio, e profumate - come i cuori con polvere di cocco creati per l'occasione - stoffe e pelliccia sintetica, piume colorate. E molto altro ancora...

Non mancavano anche mini immagini dei libri Babalibri che possono servire per ritrovare l'albo del cuore o scoprirne di nuovi.

Poiché ogni attività vuole essere anche un'occasione per stimolare la manualità fine, ogni bambino ha infilato (da solo o con l'aiuto di un adulto) le maniglie della valigia di cartone argento che trovavano al loro posto e poi ognuno è partito a decorarla con la propria fantasia, incollando all'interno anche disegni o libricini appositamente preparati in cui scrivere qualche frase dolce.





Babalibri continua a festeggiare...
I quindici anni della casa editrice sono stati celebrati grandemente in tutta Italia, nelle fiere e durante i festival, in biblioteche, librerie, scuole d'infanzia e case, sempre con grande creatività. Mi preme segnalare una bella novità, riservata alle biblioteche e alle scuole che ancora non avessero aderito al progetto della Babamostra (trovate tutti i dettagli qui). A grande richiesta sarà ancora possibile prenotare gli stendardi con i babapersonaggi più amati, presentando un progetto per far festa con gli albi Babalibri. In palio c'è la fornitura di una copia di tutte le novità 2015 della casa editrice per i cinque migliori progetti. Cosa aspettate a farvi sotto?

Con questo post ne approfitto per ringraziare Karin per l'ospitalità e per farvi i migliori auguri di Buone Feste. Sperando che tanti tanti bambini possano ricevere in dono dei libri, perché si possa leggerli e rileggerli insieme non solo durante le festività ma anche per tutto l'anno e gli anni a venire.

"Spinosaurus, il gigante perduto del Cretaceo", in mostra a Palazzo Dugnani, Milano

$
0
0

La riproduzione in grandezza naturale di Spinosauro ai Giardini Montanelli di Milano.

Rimarrà aperta fino al 10 gennaio 2016 la mostra "Spinosaurus - Il Gigante perduto del Cretaceo", promossa dal Comune di Milano/Cultura e Museo di Storia Naturale di Milano, (in occasione del semestre per Expo tra le iniziative di Expo in città), frutto di una collaborazione tra Museo di Storia Naturale di Milano, National Geographic Society, Università di Chicago e GeoModel.

Gli affreschi di Giambattista Tiepolo, nel restaurato Palazzo Dugnani.
In occasione dell'inaugurazione, avvenuta lo scorso 5 giugno, è stato riaperto lo storico Palazzo Dugnani (prima sede del Museo di Storia Naturale di Milano), in via Manin 2, che diventerà luogo di mostre temporanee dedicate alle scienze (questa è la prima). Anzi, l'idea è di far diventare i Giardini Montanelli una specie di "cittadella delle scienze".


Da sinistra, i paleontologi Simone Maganuco e Cristiano Dal Sasso
e l'assessore alla Cultura del Comune di Milano Filippo Dal Corno.
Da sinistra, il direttore del Museo di Storia Naturale di Milano, il paleontologo Simone Maganuco,
l'assessore alla Cultura del Comune di Milano Filippo Dal Corno, il paleontologo Cristiano Dal Sasso
e Mauro Scaggiante, titolare dell'azienda GeoModel, che ha realizzato i modelli in 3D della mostra.
Simone Maganuco e Cristiano Dal Sasso posano scherzosamente vicino al "loro" Spinosauro.
Protagonista dell'esposizione lo Spinosaurus aegyptiacus (questo il suo nome scientifico), il più grande dinosauro predatore mai esistito, una scoperta che vede in primo piano gli scienziati Cristiano Dal Sasso, paleontologo del Museo di Storia Naturale, e il ricercatore Simone Maganuco (che ne hanno curato la mostra) oltre ad altri tecnici e artisti italiani: la preparazione dei calchi e dei modelli tridimensionali del grande dinosauro sono infatti a opera dell'azienda GeoModel (qui il blog) di Mauro Scaggiante, le bellissime tavole illlustrate sono di Davide Belladonna, i disegni delle singole ossa di Spinosaurus (che hanno consentito di ricomporre lo scheletro completo) dell'illustratore scientifico Marco Auditore.

La ricerca sul campo e la realizzazione della mostra sono state effettuate in collaborazione con il National Geographic e con un'équipe internazionale (Nizar Ibrahim e Paul Sereno (Università di Chicago), Samir Zhouri (Università Hassan II, Casablanca), e ad altri quattro ricercatori, tra cui due italiani (Matteo Fabbri, Universitày di Bristol, e Dawid Iurino, Università La Sapienza di Roma).


Spinosauro, il dinosauro semiacquatico
Ma chi è Spinosauro e perché dovete affrettarvi ad andare a vedere la mostra visto che chiude tra pochi giorni? Si tratta del più grande carnivoro mai comparso sulla terra, lungo fino a 15 metri e pesante 6/7 tonnellate - anche più grande del Tyrannosaurus rex che arrivava a 12,3 metri anche se pesava 8 tonnellate! - e vissuto 100 milioni di anni fa, che dominava i fiumi dell'Africa settentrionale - dove ora regna il deserto - e si nutriva di grossi pesci, come i celacanti

(oggi resta il cosiddetto "fossile vivente"Latimeria calumnae) o i pesci sega.


Quadrupede  -si appoggiava cioè su quattro zampe- possedeva poderosi arti anteriori con artigli ricurvi e affilati come lame, utili per catturare velocemente una preda scivolosa (mentre il T. rex. era dotato di grossi arti posteriori adatti alla vita sulla terraferma), mentre probabilmente aveva arti posteriori dotati di cosce muscolose e piedi con una membrana di pelle, come quella delle zampe palmate delle anatre, che ne agilitava lo spostamento e la propulsione (spinta) in acqua, utili anche per camminare nel fango.

Alla propulsione in acqua contribuivano anche le vertebre della coda, "articolate tra loro in modo lasco", consentendo di muoverla lateralmente con un moto ondulatorio, come fanno i pesci ossei.


Il cranio stretto ed esteso fino a un metro, con mandibole dotate di denti conici lisci -simili più a quelli di un coccodrillo che di altri predatori, come il T. rex che aveva mandibole forti con denti atti a frantumare le ossa- lo rendeva adatto a catturare i pesci, perché quando la bocca si chiudeva le mascelle formavano una vera e propria trappola da cui nemmeno una preda scivolosa poteva fuggire.

Il collo lungo spostava il baricentro (centro di gravità) dell'animale in avanti, facilitandone lo spostamento in acqua (e rendendo più faticosi gli spostamenti a terra).

La permanenza in acqua era garantita grazie alle narici  piccole e "arretrate", ovvero poste in alto, in vicinanza degli occhi, il che gli permetteva di respirare l'aria anche quando era quasi completamente immerso nell'acqua.


Ma come riusciva a catturare i pesci, anche nelle acque torbide? Ebbene, i ricercatori, grazie all'utilizzo di tecnologie innovative (si sono avvalsi di una TAC  - Tomografia Assiale Computerizzata - presso l'Ospedale Maggiore di Milano, sezionando minuziosamente le ossa raccolte) hanno trovato nel rostro - la parte anteriore del muso - dei forami, dove probabilmente erano localizzati sensori di pressione, che permettono di percepire il movimento in acqua, facilitando il ritrovamento delle prede.

Un altro dettaglio - sempre mediante la TAC - che ha permesso agli scienziati di capire che si trattava di un dinosauro acquatico è legato alla densità delle ossa, che sono particolarmente compatte e quindi "pesanti", come succede in tutti gli animali che hanno "scelto" di ritornare in acqua, come i cetacei (balene o capodogli) o pinguini (gli uccelli, si sa, hanno le ossa cave o pneumatiche, per facilitarne il volo).
Questo, pur appartenendo lo Spinosauro ai dinosauri Teropodi (i progenitori degli uccelli), dotati di ossa leggere. Tutti i dinosauri predatori terrestri hanno, invece, ossa dotate di cavità modollari aperte.

I ricercatori sono anche riusciti a datare l'età dell'animale, grazie agli anelli di accrescimento presenti nelle ossa (un po' come quelli che si ritrovano nei tronchi degli alberi) che segnano i "rallentamenti" nella crescita legati alla stagionalità. Lo scheletro fa riferimento a un esemplare "adolescente" ma già maturo, di 15/19 anni, lungo 11 metri. Se fosse arrivato allo stadio adulto avrebbe raggiunto i 15 metri.

Lo Spinosauro deve il suo nome alla presenza di enormi spine delle vertebre dorsali (sulla "schiena"), coperte di pelle a formare una gigantesca "vela. Gli scienziati ipotizzano che la vela avesse la funzione di rendere ben visibile l'animale - anche quando era immerso in acqua - e non di accumulare o disperdere il calore o immagazzinare riserve di grasso.

Lo Spinosauro erano dunque un dinosauro molto specializzato, estintosi probabilmente con la riduzione della linea di costa, che ha prosciugato gli ambienti fluviali.


Una storia che parte da lontano
Più di un secolo fa il paleontologo tedesco Ernst Stromer Freiherr von Reichenbach scoprì in Egitto le prime tracce dell'esistenza di Spinosaurus nel Sahara egiziano (oltre a catalogare oltre 45 taxa di dinosauri, coccodrilli, tartarughe e pesci). Purtroppo tutti i fossili trovati da Stromer
furono distrutti nell'aprile 1944 a causa dei bombardamenti alleati sulla città di Monaco di Baviera,
in Germania. Per fortuna sono rimasti ancora i suoi appunti, gli schizzi e le fotografie (custoditi
nell'archivio museale e nel castello della Famiglia Stromer, in Baviera) e le sue pubblicazioni scientifiche. La ricostruzione minuziosa è dovuta a un'approfondita ricerca del paleontologo Nizar Ibrahim. Qui un video del National Geographic.


Quello che colpisce maggiormente è che il lavoro di una vita di Ernst Stromer sia stato "spazzato via" in particolare per l'opposizione di questo paleontologo al nazismo. Invano, infatti, egli cercò di convincere il suo direttore a nascondere i reperti, ma questi, fervente seguace dell'ideologia li lasciò esposti, decretandone la fine (ps i miei bambini sono rimasti particolarmente colpiti dalla ricostruzione delle macerie del Museo).


I ricercatori sono giunti alle loro conclusioni dopo aver analizzato un nuovo scheletro scoperto nel
Sahara (in Marocco, nel 2008, lungo pendii desertici e rocciosi conosciuti come “Letti del Kem Kem”, dove un tempo si estendeva un grande sistema fluviale, dal Marocco all'Egitto), per fortuna nostra, donato alla scienza.
Naturalmente il lavoro è stato molto lungo e dettagliato e la ricostruzione è stata fatta grazie a indagini sul campo che hanno permesso di ritrovare parti dello scheletro (e aggiungo contrattazioni con cercatori locali di fossili, intuito dei paleontologi che hanno capito l'importanza dei reperti) e ossa isolate, alla tecnologia, e ai diversi documenti (foto e disegni) raccolti in diverse parti del mondo e attraverso la comparazione con ossa e scheletri di animali simili.

Per comprendere e svelare i misteri e le peculiarità di Spinosaurus, è stato creato un modello
digitale dello scheletro, grazie ai fondi stanziati dalla National Geographic Society. I ricercatori
hanno realizzato una TAC di tutti i nuovi fossili, che saranno rimpatriati in Marocco, integrandoli
con riproduzioni digitali dei reperti ritrovati da Stromer e con la scansione 3D del muso del cranio conservato al Museo di Storia Naturale di Milano, che rappresenta il più grande e completo resto cranico noto.

I reperti dello scienziato Ernst Stromer, primo scopritore dello Spinosauro.
Una mostra che vuole raccontare e condividere una scoperta
La bellezza e unicità di questa mostra, che ha finora richiamato 55mila visitatori grandi e piccoli, è di riuscire a raccontare al grande pubblico il grande valore scientifico di questa scoperta e farlo appassionare, cercando di condividere tutta la storia della ricerca, dalle sue origini

La ricostruzione delle spine dello spinosauro secondo gli studi di Stromer.
 fino alle copie tridimensionali, e alle tecnologie impiegate.


E' straordinario pensare come grazie alla collaborazione e alla passione e alla competenza di molte persone, si riesca oggi a visualizzare - attraverso calchi e ricostruzioni - un animale di cui in realtà sono state ritrovate preziose tracce, i cui tasselli sono stati messi insieme come pezzi di un puzzle.

Una mostra interattiva, che consente di vedere video, toccare calchi di ossa o denti...


e che riesce a far appassionare anche i più piccoli. A questo proposito segnalo che ADM (Associazione Didattica Museale) che ha coordinato le attività didattiche proporrà "SpinoDino va a Berlino" sabato 9 e domenica 10 gennaio alle ore 16 (per bambini da 6 a 11 anni). Queste e altre attività (alcune sono sold out!) le trovate qui. Sempre sul sito trovate informazioni utili sugli orari di visita e il prezzo dei biglietti (prevista un'offerta per le famiglie, i bambini sotto i 6 anni non pagano).
Qui il sito della mostra, qui la pagina facebook.


Se siete curiosi di vedere altro su questo spettacolare dinosauro, potete trovare qui un video del National Geographic sulla storia del rettile e ai link seguenti alcuni "stralci" del video girato con il paleontologo Cristiano Dal Sasso (ep2, ep3, ep4, ep5).


Dimenticavo. Gli appassionati saranno soddisfatti anche al Bookshoop, dove è possibile trovare alcuni libri, ben fatti, sui dinosauri (per grandi e piccoli), il catalogo della mostra e la copia del National Geographic con l'appassionante racconto del ritrovamento. 

Noi ci siamo portati a casa questi due sopra. Chi ama i gadget troverà magliette e articoli di cancelleria...Saranno ripagati anche gli amanti delle opere più tecniche e scientifiche.

Paleontologo superstar
Si può dire che Cristiano Dal Sasso abbia fatto di nuovo centro, dopo un'altra straordinaria scoperta.

Molti forse si ricorderanno, infatti, di Ciro (Scipionyx samniticus) un cucciolo di dinosauro italiano - morto pochi giorni dopo la schiusa dall'uovo - ritrovato a Pietraroja, in provincia di Benevento, che ha valso la copertina della prestigiosa rivista americana Nature, sul numero 392 del 26 marzo 1998 (infatti si tratta di uno dei più importanti fossili di dinosauro, per il suo notevole stato di conservazione che rileva tracce di organi interni). Per altre informazioni vi rimandoqui al link di un articolo apparso su Repubblica e qui un video dove lo stesso paleontologo racconta la storia di Ciro.

Successivi studi dettagliati hanno permesso a Dal Sasso e a Simone Maganuco di realizzare uno studio approfondito, che ha consentito di attribuire Ciro alla famiglia dei "Compsognatidi, piccoli dinosauri ricoperti di “proto-piume”, evolutisi dallo stesso gruppo che diede origine ai tirannosauri, ai velociraptor e agli uccelli" (un approfondimento lo trovate sul sito del Museo di Storia Naturale di Milano qui e scaricare un pdf dettagliato qui).

Cervelli rimasti in Italia e fondi per la ricerca
C'è da essere davvero orgogliosi di essere italiani. E questo fa riflettere molto sui fondi che dovrebbero essere destinati alla ricerca. Perché ricerche di tale portata, anche a livello mondiale, sono lunghe e meticolose, richiedono tanta pazienza e lavoro "nascosto". Grazie alla mostra, ospitata precedentemente a National Geographic Museum di Washington, D.C, questo prezioso lavoro è ora offerto alla nostra comunità. L'esposizione poi migrerà al Museum für Naturkunde di Berlino.

Non mi resta che invitarvi ad andare a vederla...

Laboratorio a merenda su "Le pulcette" di Beatrice Alemagna alla Feltrinelli RED di Milano

$
0
0

"Le pulcette in giardino", di Beatrice Alemagna (edito da Phaidon), sono state le protagoniste del primo Laboratorio a Merenda in Feltrinelli RED a Milano di quest'anno (10 gennaio 2016).
Il libro, che è il seguito di "Nel paese delle pulcette" (sempre edito da Phaidon), racconta altre avventure di queste misteriose e piccole creature. L'albo colpisce innanzitutto per la tecnica utilizzata da Alemagna, che ha amato sperimentare utilizzando lana infeltrita, impreziosita da pezzetti di stoffa o di tessuto ricamato, fili di lana... il tutto sapientemente cucito. Devo dire che il desiderio che questo sia un libro tattile è davvero irresistibile.
Parecchi bambini, tra quelli presenti al laboratorio conoscevano già le pulcette, ma non la storia in particolare, che ha destato molto interesse e divertimento da parte di grandi e piccini, perché si presta bene a una lettura ad alta voce, con un po' di animazione (diventare per un po' una pulcetta che salta non è niente male!).


"Le pulcette in giardino" racconta la storia di pulcetta grassa (la capogruppo) che invita le sue amate compagne (pulcetta magra, pulcetta gialla, pulcetta dagli occhi grandi, pulcetta dalle gambe lunghe, pulcetta multicolore), conosciute a una festa nel libro precedente (cui accennerò in seguito), ad uscire dal materasso in fondo al giardino in cui vivono per andare a esplorare il mondo.
Il desiderio nasce dalla noia di stare sempre nello stesso posto, misto a "un pizzico" di curiosità per scoprire cosa c'è fuori. Subito le amiche, annoiate anch'esse, sono spronate a questo viaggio che, però, non si rivela un'avventura semplicissima: sono e rimangono pulci immerse un materasso, uno spazio immenso e pieno di lana, che devono mangiucchiare, per qualche ora per scavarsi un varco.

Ed eccole allo scoperto. Immerse in un prato con l'erba alta (da cui emerge solo la pulcetta dalle gambe lunghe) e pieno di fiori. Un vero paradiso!


La prima creatura che incontrano è una formica che trasporta una briciola di pane. All'accenno di farsela amica, ecco le prime lamentele: sembra avere un'aria cattiva e arrabbiata (portare una briciola di pane non è certo piacevole e agevole! ma le pulcette non sembrano rendersene conto e rimangono legate alle apparenze); e così decidono all'unanimità di passare oltre.


E' la volta di un'ape, che ronza/ronfa tranquilla addormentata sul fiore. La pulcetta più incuriosità è quella multicolore (forse perché l'ape è colorata?), che invita le amiche a fare amicizia, ma viene subito bloccata dalla pulcetta dagli occhi grandi, abile osservatrice (beh, con gli occhi che si ritrova!), spaventatissima dal pungiglione che l'ape ha nel sedere (quando ho letto naturalmente i bambini hanno trovato la cosa molto divertente, e giù risate!), che potrebbe accecarle subito. Scartata subito.
Infine, è la volta della cimice (alcuni bambini la conoscevano già e anche le mamme hanno fatto una smorfia al ricordo della puzza che provoca). Sarà accolta dal gruppo? Naturalmente no, perché sa di pesce.
Alla fine le amiche decidono che il loro materasso non è così noioso come credevano... ma proprio quando non se lo aspettano...
Questo libro, a parte far conoscere alcuni abitanti del prato e segnalarne alcune caratteristiche che li contraddistinguono, invita a riflettere su come sia difficile la conoscenza dell'altro se non si ha voglia di aprirsi e di lanciarsi in un'avventura, piuttosto che rimanere legati alle proprie tradizioni. A volte sono necessari compromessi.


Come accennavo, il libro è il seguito de "Nel paese delle pulcette", un racconto molto interessante sul valore della diversità. Ogni pulcetta vive in un materasso in fondo al giardino ma non si è mai mossa di lì. Quale occasione migliore per conoscersi di una festa? Quella che si "lancia" nell'impresa è come sempre pulcetta grassa ma quando le vicine di "casa" arrivano alla soglia la sorpresa è tanta. Infatti, nessuna ha mai pensato che le altre pulcette potessero essere diverse. E così, iniziano gli insulti, e ognuna trova un difetto all'altro. Difetto che, invece, può essere visto anche come un pregio, una caratteristica che fa la differenza e che ci rende unici.

Una bella recensione delle diverse avventure, a cura di Andrea dal Re, l'ho trovata sul blog Firenze formato famiglia (ho scoperto che anche lui, come la sottoscritta, ama scovare libri interessanti e leggerli ai bambini dei nidi e delle scuole d'infanzia).

Qui trovate invece il link del sito dell'autrice/illustratrice.



Al lavoro!


Come sanno gli affezionati lettori del blog, la parte del laboratorio dei nostri Laboratori a Merenda (a cura mia, di Barbara Archetti e, da qualche tempo a questa parte, con l'apporto di Cristina Zeppini) ci riempie sempre di entusiasmo. Entusiasmo nel cercare i materiali più adatti al libro, entusiasmo nel vedere le creazioni realizzate dai bambini e dalle bambine: questa volta erano una ventina e anche molto piccoli (la più piccola protagonista è stata Lucia, un anno e mezzo, che ha ascoltato la storia e ha anche fatto la sua pulcetta sulle gambe del papà). Quindi un laboratorio con bambini da un anno e mezzo a sette (con prevalenza di bambini di 3-4 anni), in cui tutti si sono messi all'opera per creare delle pulcette bellissime e diverse tra loro, sfruttando i materiali (spesso di recupero, molti "morbidosi" come sono le pulcette) e l'aiuto di mamma o papà. Il numero dei bambini ha consentito ai genitori di poter condividere un momento piacevole che a livello relazionale per noi ha un grande valore. Vedere uno scambio così intenso e proficuo, e interlocutorio, in cui a volte i genitori proponevano (ma gli ultimi a dettar legge erano i bambini!) e spesso aiutavano nella ricerca dei materiali o a incollare, ripaga ogni volta e ci arricchisce notevolmente.

Quello che colpisce è come molti bambini, specie quelli abituati ai laboratori o che amano farli, siano determinati nella scelta di colori e materiali. Anche da piccoli hanno già gusti e inclinazioni e questa ci sembra una bella occasione e opportunità che ci consente Feltrinelli per stimolarli e lasciare spazio alla loro fantasia e creatività.
Vi ricordo che vi aspetto domenica prossima, sempre alle 16.30, presso la Feltrinelli RED di piazza Gae Aulenti. Ingresso gratuito fino a esaurimento posti... chi interessato è pregato di venire un po' prima, tanto lasciando la giacca per occupare una sedia potete poi approfittarne per fare merenda o guardare un po' di libri.



Concludo con la consueta carrellata di lavori e un ringraziamento a tutti i partecipanti: Francesca, Lucia, Bianca, Silvia, Lorenzo, Tomas, Allegra, Giulietta, Mattia, Alessandro, Deva, Matteo, Luca, Camilla, Nina, Francesca, Emilio, Alfredo.

Un ringraziamento speciale va a Stella e papà Fabrizio, nostri affezionati e appassionati sostenitori, che ci seguono sin dalla prima volta (settembre 2014!).  


Le opere di papà Fabrizio e Stella (quando c'è spazio lasciamo libero sfogo anche ai genitori!)


Vivian Maier allo Spazio Forma Meravigli di Milano

$
0
0


Rimarrà aperta fino al 31 gennaio la mostra "Vivian Maier - Una fotografa ritrovata" presso lo Spazio Forma Meravigli, (n.5), a Milano. L'esposizione, a cura di Anne Morin e Alessandra Mauro, è realizzata in collaborazione con diChroma Photography e promossa da Forma Meravigli, un’iniziativa di Fondazione Forma per la Fotografia, in collaborazione con la Camera di Commercio di Milano e Contrasto.


Centoventi fotografie in bianco e nero realizzate tra gli anni Cinquanta e Sessanta insieme a una selezione di immagini a colori scattate negli anni Settanta, oltre ad alcuni filmati in super 8. Una mostra che ha visto la partecipazione di oltre mille persone il giorno della Befana e 1200 la domenica successiva. Tanto per dare qualche numero. Una mostra che appassiona tutti ma, da quel poco che ho potuto intuire durante la visita, soprattutto affascina il pubblico femminile, che trascina quello maschile...


Cosa mi ha incantatodi più
Ognuno troverà quelli più affascinanti, ma tra gli scatti che ho avuto modo di osservare, alcuni mi hanno particolarmente colpita. Per prima (non per ordine di importanza), una foto scattata a New York nel 1953 che ritrae tre bambini con una carrozzina: il più piccolo, biondo, guarda in alto, la seconda, più grande sulle punte dei piedi, tenta faticosamente di infilare un materasso sulla carrozzina su cui è appoggiata anche una bambola, il terzo, a sinistra, porta uno zaino da cui penzola un cappotto che rasenta il bordo della strada.  Non so perché questa immagine mi ha riportato alla memoria al bellissimo silent book "Clown" di Quentin Blake (che ho avuto modo di vedere alla mostra Ibby al MUBA di cui ho parlato qui), in cui il pupazzo viene gettato nei rifiuti e prende vita, cercando di farsi degli amici; dopo una serie di peripezie e brutte avventure, alla fine riesce a trovarli in una famiglia povera in cui la sorella è costretta a tenere a bada al fratellino quando la mamma è al lavoro. Dopo aver aiutato i bambini a rigovernare la casa, i tre escono alla ricerca dei compagni abbandonati nel cassonetto e c'è una bellissima scena della carrozzina trascinata dalla bimba (qui potete vedere il link al libro e all'immagine a cui mi riferisco). Il finale è strappalacrime...

Per secondo uno scatto, con data e luogo sconosciuti, in cui c'è una fila di persone (in treno o più probabilmente in tram) che leggono il giornale. La foto ha un taglio dinamico - considerato anche che la Maier lavorava in formato quadrato, quindi per certi versi più difficile - in cui si vedono solo le teste delle persone, da dietro, e i giornali. Mi ha colpito pensandoa cosa si troverebbe oggi a immortalare, forse una sfilza di persone concentrate al telefonino...


Per terza, la serie di autoscatti che sono piccoli capolavori: la Maier si è immortalata, sempre con lo stesso sguardo (ove compare), oserei dire "quasi privo di emozioni", sfruttando gli specchi (in particolare una vera opera d'arte è quella dove lo specchio è tondo e c'è un gioco di circolarità che porta quasi a una spirale che ti avvolge dentro la foto) anche per strada (in una foto si è inserita grazie a un riflesso tra una serie di quadri appesi in vetrina), i riflessi delle pozze d'acqua e, infine, la sua ombra!

New York, 10 settembre 1955, © Vivian Maier/Maloof Collection,
Courtesy Howard Greenberg Gallery, New York.
Per quarto - un soggetto sul quale ho avviato anche una mia ricerca personale - è relativo alle persone riprese da dietro, o di cui si coglie solo la parte posteriore, dal busto in giù. In particolare, mi ha colpita (c'è la cartolina!) l'immagine di una bimba tutta vestita di bianco, con le mani paffute, con la gonnellina un po' aperta, che tiene la gonna nera stretta a tubino della madre. Naturalmente c'è un gioco di contrasti notevole: il bianco e il nero, il corpo slanciato della donna e le fattezze più rotonde della piccola.

E ancora, che dire delle foto alle sciarpe di pelliccia di volpe con testa inclusa che andavano di moda in quegli anni (e gli sguardi altezzosi o accigliati di chi le portava)? O di un'elegante signora con il velo (vestita a lutto?) che sorride? Dell'aria triste di un bambino a una festa.... e di tutti gli sguardi intensi dei bambini, specie di quelli piangenti o accigliati?

Infine, la postura bizzarra della gente in spiaggia, una signora in mezzo alle onde con appresso la sua borsa di vimini, i bambini con le maschere, piegati a formare una sorta di triangolo, appoggiati con le maschere sulla spiaggia per osservare meglio (e il ricordo va a un altro libro - a me caro - senza parole, "Floatsam", di David Wiesner, qui un video).

Senza titolo, senza data © Vivian Maier/Maloof Collection,
Courtesy Howard Greenberg Gallery, New York.
Vivian Maier nei suoi scatti raccontava tutto: dai negozianti affacciati sul marciapiede alle donne in bigodini per strada, dalla povera gente ai bambini stanchi, tristi o sconvolti, presentandoci un altro lato, senza fronzoli e forse più sincero, dell'infanzia.

Il ricamo delle fronde degli alberi stagliate verso il cielo.


Infine, i suoi riflessi "alla Cartier Bresson".
Del resto Henri Cartier Bresson diceva che "Fotografare è trattenere il respiro quando le nostre facoltà convergono per captare la realtà fugace; a questo punto l'immagine catturata diviene una grande gioia fisica e intellettuale.
Fotografare è riconoscere nello stesso istante e in una frazione di secondo un evento e il rigoroso assetto delle forme percepite con lo sguardo che esprimono e significano tale evento.
È porre sulla stessa linea di mira la mente, gli occhi e il cuore." E questo, Vivian Maier, è riuscita a farlo benissimo.

Florida, 7 aprile 1960 © Vivian Maier/Maloof Collection,
Courtesy Howard Greenberg Gallery, New York.
Una storia misteriosa venuta per caso alla ribalta
Ormai quasi tutti conoscono la storia. È il 2007 quando John Maloof, all’epoca agente immobiliare, con la passione per la fotografia, acquista durante un’asta (per 38 dollari!) parte dell’archivio della Maier (alcuni bauli pieni di negativi e altri oggetti) e si accorge subito del valore straordinario delle sue opere. Invano cerca di contattarla, solo nel 2009 trova l'annuncio della sua morte. La Maier era passata a miglior vita, indigente e sola, all'età di 83 anni senza riuscire a tenere fino all'ultimo il suo patrimonio, non solo fotografico (negativi, diapositive, stampe e rullini di pellicola non sviluppata, per un totale di 150mila scatti), ma anche fatto di vestiti sobri, scarpe scomode, cappelli (tanti!), scontrini; scampoli di vita che aveva minuziosamente conservato e messo in un deposito che, alla fine, è stato venduto.
E, per fortuna, ritrovato.

A partire dall'annuncio mortuario sul Chicago Tribune fatto pubblicare dalla famiglia Gensburg, Maloof si mise in contatto con i Gensburg e aprì un sito web e un blog, postando su Flickr chiedendo in rete a un gruppo di fotografi appassionati cosa farsene di quel patrimonio prezioso. Come spesso avviene sui social, il lavoro della Maier divenne presto virale.
La prima mostra fu inaugurata a Copenhagen, seguita da una seconda a Oslo nel 2010. Nel 2011 la svolta: la mostra presso il Chicago Cultural Center e quella successiva a New York suscitarono l'interesse dei Media. L'interesse per la Maier lievitò sempre più.

New York, 10 settembre 1955, © Vivian Maier/Maloof Collection,
Courtesy Howard Greenberg Gallery, New York.
Chi era costei?
Tata di mestiere, fotografa per vocazione, Vivian Maier non abbandonava mai la macchina fotografica, scattando compulsivamente con la sua Rolleiflex appesa al collo (pubblicizzata ai tempi come "la macchina  fotografica dei fotografi di successo", che rende poco visibili consentendo di avere una buona visuale del soggetto senza guardarlo e senza sollevarle l'apparecchio all'altezza dell'occhio). Una persona riservata e maniacale: nel video "Finding Vivian Maier"- in vendita anche alla mostra milanese - (qui trovate un'intervista al regista Charles Siskel) si cerca di scoprire la sua storia misteriosa. Non è ben chiaro se inizialmente volesse intraprendere la carriera di fotografa: John Maloof è andato anche in Francia e ha scoperto una corrispondenza tra la Maier e una persona che aveva uno studio fotografico che la convinse a non stampare le foto. Forse per questo continuò a mantenere il lavoro di tata, portando con sé i bambini che curava, come raccontano nel video, nelle strade di New York e, in seguito, di Chicago. Certo è che con il tempo la sua maniacalità e forse la frustrazione l'hanno resa più dura con il prossimo. Non aveva legami con nessuno, tranne che relazioni con i suoi datori di lavoro e i bambini a cui faceva da "nanny".

Secondo due articoli apparsi il 12 e 13 gennaio 2016 sul New York Times (prima parte e seconda parte), si pone in evidenza un'infanzia difficile, con un padre alcolizzato e un fratello finito in un reparto psichiatrico per schizofrenia. Nata a New York nel 1926, la Maier si è trovata a quattro anni a vivere con la madre separata e in seguito ha passato sei anni in Francia (nella cittadina medievale di Saint-Bonnet-en-Champsaur, in una regione alpina), ritornandoci due volte in età adulta.
Unica "nota positiva" nella sua prima giovinezza, la convivenza insieme alla madre nel Bronx con la fotografa Jeanne Bertrand, che ha potrebbe avere influenzato il suo lavoro. Infatti, le foto rivelano non solo la qualità innata di cogliere l'attimo, ma anche un sapiente uso del mezzo, con inquadrature e luci perfette. Una donna capace di catturare straordinari pezzi di vita delle persone e allo stesso tempo maniacale, soprattutto, molto riservata (tanto che una delle persone intervistate nel video, inconsapevole della sua attività di fotografa, ha sottolineato come la Maier chiedesse di avere un lucchetto nella propria stanza per non far entrare nessuno). 

"Sono una macchina fotografica dichiara il cartellone del Thaila, un cinema d'essai nell'Upper West Side di New York, in una fotografia scattata da Vivian nel 1959" (testo tratto dal Catalogo edito da Contrasto).

Le prime "apparizioni" nel nostro Paese
Quando ancora nessuno in Italia parlava della fotografa americana, nel 2012 la bresciana Galleria dell'Incisione di Chiara Padova Fasser (qui il sito internet), esponeva per la prima volta in Italia le sue opere con la mostra "Vivian Maier. Lo sguardo nascosto". In visione, una trentina di fotografie realizzate tra gli anni Cinquanta e Settanta (qui un interessante video in cui la gallerista racconta alcune curiosità sull'artista). Nel 2013 sul Corriere (qui il link) venivano invece pubblicati 15 autoscatti esposti alla Howard Greenberg Gallery di New York (alcuni dei quali visitabili alla mostra milanese). Prima di approdare a Milano la mostra è stata a Nuoro nel 2015 (qui un articolo sul Post, che già nel 2014 aveva scritto sulla visita di Baricco alla mostra di Tours, in Francia, qui).


"Vengo con la mia vita 
e la mia vita è raccolta in una serie di scatoloni"

Il catalogo edito da Contrasto
Nel testo introduttivo al catalogo, la scrittrice Laura Lipman fa riferimento ad altri due personaggi il cui lavoro rimanda a quello della Maier: Helen Lewit - morta per coincidenza lo stesso anno della Maier - "famosa per le sue immagini delle strade di New York" (qui una presentazione del suo lavoro, qui,qui alcuni video in rete); Henry Darger"artista sconosciuto i cui preziosi lavori furono scoperti in un appartamento di Chicago dopo la sua morte" (qui e qui potrete trovare alcuni riferimenti).

In effetti i due sono collegati da un filo rosso alla fotografa, la prima per le bellissime immagini di street art che ritraggono i bambini in strada, il secondo per la quantità di materiale accumulato nel suo appartamento. E inoltre, le due città, New York e Chicago, dove la fotografa è vissuta e ha fotografato.

Sempre la Lipman ci fa riflettere sulla consapevolezza che la Maier aveva del suo lavoro "Pensate a quegli scatoloni pieni del suo lavoro il cui numero aumentava in continuazione; allo sforzo necessario per spostarli da un luogo all'altro. Immaginate quelle fotografie, più di centomila. Se una foto vale più di mille parole, significa che la produzione della Maier raggiunse la cifra di cento milioni di parole. Mi si perdoni la banalità, ma una foto della Maier vale veramente mille parole. Ognuna di esse racconta una storia..." e continua "Gli autoritratti non fanno che rendere la Maier ancora più misteriosa; ci mostrano tutto senza rivelarci alcunché".
Infine, c'è una frase della scrittrice che ci lascia riflettere particolarmente "Le persone e i luoghi che ha fotografato erano sotto gli occhi di tutti, chiunque avrebbe potuto vederli. Ma bisogna essere in grado di vederli per poterli fotografare".

Nel catalogo (testo di Marvin Heiferman, a cura di Howard Greenbeerg) si raccontano i dettagli noti della sua vita, inquadrata nel periodo storico in cui è vissuta, dove a partire dagli anni Cinquanta, la fotografia stava acquisendo un ruolo centrale, come testimoniano riviste come Life o Look e la possibilità di visitare mostre in musei o gallerie. "La scelta del soggetto, la sofisticata composizione, e la sicurezza del lavoro di Vivian Maier, indicano che lei "vedeva" sul serio le fotografie che poi realizzava e scattare significava soprattutto creare immagini fotografiche". Più volte nel libro viene sottolineata la consapevolezza che la Maier aveva del suo lavoro. Infatti raccolse molte monografie di fotografi, dal britannico Cecil Beaton al tedesco Thomas Struth (interessante il suo lavoro negli anni Ottanta sulle "vite di famiglia" in cui si concentra sulle dinamiche relazionali e sociali).

Nel volume si scoprono anche alcune curiosità, "le caratteristiche non convenzionali dell'aspetto e del comportamento comprendevano anche il suo modo di parlare ed esprimersi", l'accento "forzato", "i vari pseudonimi adottati nel corso degli anni (tra cui il favorito era Miss V. Miss)." Si svela anche come cercasse di allargare gli orizzonti culturali dei suoi bambini, al di là delle attività di cura quotidiana richieste, come insegnare a preparare dei dolci, organizzare escursioni in parchi, spiagge o matinée domenicali al cinema. Gli stessi bambini venivano anche "trascinati" in quartieri degradati e negozi di seconda mano che frequentava.

La Maier collezionava di tutto, da foto autografate di personaggi famosi a cartoline, da figurine di baseball a bigiotteria, da spillette a francobolli, da accendini a calzascarpe. Inoltre, conservava meticolosamente articoli ritagliati sui più diversi argomenti, tra cui anche recensioni di mostre fotografiche.

Un brano del catalogo che mi ha colpito, e in cui mi ritrovo, è questo "Per coloro che vi si dedicano la fotografia diventa tanto un'impresa filosofica quanto un modo di vita. La ricerca di immagini possibili è un'esperienza speculativa e liberatoria, un'attività compulsiva che produce una presa di distanza dal mondo nel momento stesso in cui paradossalmente lo si contempla facendo del proprio meglio per entrarci in contatto. Nei fotografi, l'intensità di un tale impegno è un piacere che crea dipendenza".

Un'altra frase che fa pensare è la seguente "Maier archiviò le sue foto in buste, poi in scatoloni e bauli e infine in magazzini. Noi le conserviamo su schede, poi sul nostro disco rigido, infine sui cloud e anche noi come lei rischiamo di perdere il controllo delle nostre immagini. Maier accumulò fotografie. Anche noi, come lei, abbiamo poco tempo per riflettere, ammirare ed elaborare le nostre esperienze".

Naturalmente raccomando vivamente il catalogo, in offerta a un prezzo speciale in mostra, ove sono raccolte quasi tutte le foto in esposizione allo Spazio Forma Meravigli e altri scatti.

Per chi non fosse ancora stanco di scoprirla ecco altri approfondimenti video in inglese: qui, qui,qui, qui, qui, qui).



Info utili: social, bookshoop, visite guidate e laboratori per bambini
La mostra si trova allo Spazio Forma Meravigli, via Meravigli 5, tel. 02 58118067. Qui il link al sito e qui la pagina facebook. Al bookshop è possibile acquistare cartoline, catalogo e video.


C'è l'occasione di prenotare visite guidate per gruppi e, per i bambini (da 6 a 10 anni), di partecipare a laboratori coinvolgenti, il sabato dalle 10 alle 12 (12,00 euro). I prossimi sono il 16 gennaio (Strani collezionisti!Oggetti comuni per ritratti fuori dal comune) e il 30 gennaio (Foto da leggereUn laboratorio per scoprire cosa dicono le immagini). Info a: scuola@formafoto.it

Non mi resta che ringraziare Marta Fasser, che per prima mi ha regalato il primo libro di Vivian Maier qualche anno fa e fatto innamorare di questa fotografa che apprezzo molto.

"Un giorno, senza un perché" di Davide Calì e Monica Barengo

$
0
0

Ci sono libri che ti prendono e non ti lasciano andare. Con "Un giorno senza perché" di Davide Calì e Monica Barengo (Kite edizioni) è stato così. Amore a prima vista.

Sarà perché le immagini sono potenti e poetiche al tempo stesso, con un gusto "retrò" che immerge la storia in una dimensione atemporale. Sarà perché il protagonista è accompagnato da un dolce bassotto, femmina, che segue il protagonista in modo partecipe e affettuoso, con uno sguardo innamorato e incondizionato, che solo i nostri amici a quattro zampe sono capaci di mostrare al loro padrone. Sarà perché i miei due bambini sono rimasti a bocca aperta ad ascoltare la storia fino in fondo, senza fiatare. Anche loro stupiti, estasiati.

Quando un libro è bello, è per ogni età. E si capisce sin dalla prima lettura.


Ma veniamo alla storia, semplice ma appassionante. Il protagonista di cui non sappiamo il nome, un "fantomatico" signor I, si ritrova dietro la schiena due ali. Sono ali piccole, aggraziate, trasparenti come quelle di una libellula. Lui ci guarda con un'espressione quasi maliziosa e consapevole al tempo stesso. Non ha l'aria preoccupata o stupita. Ci guarda mentre sorseggia il caffè.
Nonostante questo fa le indagini del caso, come andare dal dottore o chiamare la madre. Si sa, quando c'è da chiedere un consiglio ci si rivolge sempre ai genitori che sono i nostri primi confidenti, specie se si è soli.
Non mi dilungo troppo sulla bellezza delle immagini che ripropongono il vecchio telefono in cui bisognava infilare il dito in ogni numero e ruotare a destra fino in basso (telefono che i nostri bimbi non hanno mai visto se non forse in qualche casa di campagna o dai nonni, purtroppo sono stati sparitidalla circolazione).

Naturalmente ognuno fornisce le sue spiegazioni (come succede sempre quando si parla con i vicini di casa) o vuole aiutarlo a suo modo... Certo, anche in ufficio non è ben visto.

Ma ecco la svolta. La persona che gli da finalmente il consiglio giusto e gli apre un mondo di possibilità: "L'uomo saggio disse che tutte le cose hanno un perché". In effetti, quando c'è qualcosa che stravolge la nostra vita c'è sempre una spiegazione. E a volte il corpo comunica quando la testa vuole andare per la sua strada...



Ora sta a lui cercare di capire il perché. E continua a chiedere in giro... per esempio al negoziante che vende le cravatte. Ho inserito questa illustrazione perché la trovo molto poetica e interessante. Primo per lo sguardo malizioso che ci lancia ancora una volta il protagonista con la coda dell'occhio, secondo perché sa scegliere con la sua testa e, guarda caso, sceglie proprio la cravatta con i cagnolini disegnatie il suo bassotto semba approvare, scodinzolando felice.

L'"uomo dei palloncini disse soltanto "Ehi belle quelle ali". Chissà se per quel complimento o perché si sente più leggero con i palloncini colorati il signor I. sembra quasi alzarsi in volo mentre pedala felice con aria beata e gli occhi chiusi, e anche il bassotto si protende verso l'alto a gustarsi il momento (e, non so perché, mi ricorda tanto l'immagine di E.T. quando scappa con il bambino inbicicletta e volano in cielo).

Poi tutto diventa chiaro.
Succede al parco, il cane corre e qualcuno riporta al padrone, al signor I. la palla.

Di solito non metto il finale, ma questo è talmente poetico e "alla Chagall" che non potevo proprio evitarlo!
Che dire, se non che vi consiglio caldamente di leggerlo, perché scalda il cuore. Qui trovate il booktrailer (che potete anche scaricare).

Con questo post, finalmente - dopo una pausa infinita - partecipo al Venerdì del Libro ideato da Paola Miseti, alias HomeMadeMamma, il cui link trovate qui.

"La mia invenzione" e "Io sono Marcello Fringuello" : due albi sul silenzio

$
0
0


Il silenzio e l'ascolto sono due temi sui quali sto riflettendo da diverso tempo e con cui, spesso, mi trovo in conflitto. Trovare quindi due albi, molto diversi fra loro, che mi consentono di approfondire e aprire nuovi orizzonti risulta per la sottoscritta "una manna" dal Cielo.

La mia invenzione
Devo ammettere che ho in mano "La mia invenzione" con tanto di dedica di Silvia Vecchini, magistralmente illustrato da Maria Girón, (Edizioni Corsare), dalla Fiera del libro di Bologna (con dedica personale - di solito la faccio fare per i miei bambini - che conservo con gelosia), ma non ho avuto mai occasione di parlarne. Forse, appunto per il tema che al tempo stesso mi affascina e mi spaventa, visto che ho sempre associato il silenzio a momenti bui della mia vita e non, come insegna lo yoga, a "infinite possibilità". Silvia Vecchini, riesce sempre negli albi, essendo anche poetessa, a concentrare in poche frasi concetti molto densi e profondi. L'autrice ci suggerisce, attraverso una serie di indizi, qual è la sua invenzione (i miei bimbi, "chiacchieroni" per natura come la loro mamma, hanno pensato che stesse parlando della creatività). Ci rammenta anche degli stati d'animo e di comportamento per "trovarla".

Ci spiega che è comoda, perché "ti può seguire dappertutto: in auto ad esempio produce pensieri molto interessanti" e qual è la sua utilità...


Due pensieri che sento miei sono questi, su cui la scrittrice ci manda un monito sono questi "l'invenzione misura anche quanto sei arrabbiato ed è pericolosa perché se hai il cuore duro può sfuggirti di mano e diventare un muro"

e "Ha un difetto se è buio, dentro o fuori, fa paura".

In effetti, questo non capita solo ai bambini, quando mettono il broncio e si allontanano, ma anche quando le persone non stanno bene. Per esempio, succede in una stato depressivo, quando uno implode e racchiude dentro di sé pensieri tristi e cupi che, appunto, induriscono il cuore e fanno vedere tutto nero. E hai paura, di te stesso e del mondo che ti circonda.
La seconda espressione, non solo si rifà ai bambini piccoli, che attraversano un periodo di vera e propria paura del buio, ma anche quando, magari, ci si trova soli in un posto sperduto o poco conosciuto e si ha paura, per esempio, che qualcuno possa entrare in casa. Per cui si fa particolarmente caso al silenzio, o ai rumori che vengono accentuati, appunto, nel silenzio (tranne quelli di civette o ranocchie, nel mio caso, che anzi mi mettono allegria).




Trovo bellissima questa pagina perché quando ti trovi immerso nella neve, tutto è ammantato e tutto si trasforma. C'è una magia che accade. Una poesia che ci regala la natura. Mi è capitato di provarlo in tutta la sua intimitàa quando avevo iniziato una tesi - poi lasciata - sul lupo e mi sono ritrovata nei Boschi del Casentino, da sola, in mezzo alla neve a seguire le tracce fresche del predatore. Le montagne, la neve, le tracce fresche e la sottoscritta. Emozione allo stato puro. In un silenzio assoluto.

E' anche vero che questa invenzione precede momenti speciali, momenti che richiedono un ascolto da parte dell'altro, una relazione intensa che si instaura tra due persone (chi ha provato quanto sia bello al buio raccontarsi i segreti o momenti della giornata speciali con i propri bambini? Questo incantesimo accade talvolta ed è così prezioso da esserne grati).


Questa tavola mi ricorda molto i miei bimbi in tanti momenti della giornata, specie a tavola (quando noi grandi desidereremmo tanto che l'invenzione di Silvia Vecchini si realizzasse, come dice più avanti rammentandoci che "più spesso i grandi la scacciano come una mosca"). Andrea poi, quando succede, "ha gli occhi che ridono", ed esprimono tutta la sua vivacità e gioia).


Altre recensioni
Non posso che consigliare questo bellissimo albo e invitarvi a leggere la recensione che ne ha dato sul suo blog la pedagogista Francesca Romana Grasso, che invita a riflettere sul valore del silenzio (qui), consigliando diversi approcci con spunti di approfondimento di alto interesse. In particolare mi soffermo su due sue frasi particolarmente significative "Nel silenzio corpo, mente, spirito, si incontrano e sperimentano nuove vie di equilibrio; il corpo riposa, la mente si riequilibria attraverso un lavoro di riorganizzazione, lo spirito si apre come una doppia pagina bianca."e "Il silenzio è frutto di un percorso attivo, molto complesso e personale."

Inoltre, quella di Gigi, il giornale dei giovani lettori (qui), che suggerisce come leggere l'albo con i vostri bambini "Provate a sfogliare il libro con i bambini, quelli dai 4 anni in su ma ancor meglio chi ne ha 6 o 7, misurate ogni parola e le pause fra una frase e l’altra, accomodatevi quieti nel tempo che ci vuole per voltare le pagine e osservarle con attenzione, dosate l’aspettativa e la curiosità."

Infine, quella di Marina Petruzio su Luuk Magazine (qui) che, con grande maestria e sapienza di parole, sa raccontare l'albo invitandoci a sfogliarlo, da cui attingo una frase che mi ha colpito, tra le tante "È una casa dai colori caldi, quella nella quale entriamo aprendo l’albo, accogliente come il cuore sul quale ci si appoggia per sentirlo battere e con lui calmarsi. Morbidi tappeti ed ospitali pavimenti di legno, carta da parati allegramente decorata e muri dai colori rotondi, ampie finestre per ospitare giochi di luce ed ombra. Frammenti di vita, giochi in attesa di essere coinvolti nuovamente, tre pupazzi in pezza che se la raccontano..."
Altre recensioni interessanti: Biblioragazzi (qui), dove Caterina Ramonda esplicita perfettamente uno dei pensieri che ho espresso brevemente "Inutile dire che, tra le tante, una delle illustrazioni è davvero perfetta a rendere il silenzio ovattato che la natura ti restituisce quando si copre di bianco e nasconde tutto, quando ti dice che intorno ci sono animali, persone, bulbi, pensieri, ma intanto tutto è perfettamente silente: la bambina se ne sta a naso in su, in campo bianco, a sentire sul viso, sugli occhi, sul naso i fiocchi di neve che cadono e carezzano. Ecco, la neve è la consistenza lieve del silenzio."; Lettura Candita  dove Carla Ghisalbertici fa riflettere che "Il silenzio, come la noia, non è merce dei nostri giorni. Si scappa dal silenzio perché ci mette a nudo, perché ci costringe a fare i conti con noi stessi. È meglio alzare i toni, cercando di dimostrare al mondo che si è vitali, piuttosto che mostrarsi taciturni, quando non si ha niente da dire."E racconta molto altro che vi invito a leggere direttamente (qui).

Naturalmente vi consiglio anche a spulciare il blog di Silvia Vecchini - già il nome è evocativo "La parola magica" - dove racconta sia la genesi del libro, nato da un incontro in una classe in cui si trattava il tema a partire da un brano di Tiziano Terzani (qui), sia racconta non solo bellissimi aneddoti famigliari sia il suo rapporto con il silenzio (qui). Vi segnalo, inoltre, che l'autrice va in giro per biblioteche e scuole (e ovunque sia invitata) a portare un bellissimo laboratorio sul silenzio a cui spero prima o poi di partecipare insieme ai miei bambini (il sogno sarebbe di portarlo a Milano, chissà se ci riuscirò!). Gli interessati possono dunque scriverle per avere maggiori informazioni, ma già sul blog vi fate un'idea di com'è.


IO SONO Marcello Fringuello
L'albo "Io sono Marcello Fringuello" di Alexis Deacon con illustrazioni di Viviane Schwartz (LO/Officina Libraria) parte da un'idea geniale "I fringuelli vivevano in un grande stormo. Facevano un tale fracasso tutto il giorno che davvero non potevi sentirti pensare" (avete presente gli stormi degli storni quando arrivano in città?). Dunque frastuono, rumore che impedisce di pensare, ragionare.

La routine e le convenzioni sociali di buona educazione sono tali da non lasciare spazio al sé. Questa  - monotona - routine viene a volte spezzata dall'arrivo de La Bestia (non un predatore qualsiasi, ma quel predatore che fa razzia tra i fringuelli e li spaventa a morte facendoli scappare a "gambe levate").


La routine continua. Finché, una notte, avviene la trasformazione, grazie al buio e al silenzio.
Marcello (il protagonista) ha "avuto un pensiero e l'aveva sentito". Quindi, per ascoltarsi, occorre il silenzio. Un pensiero mica da poco. Un pensiero "cartesiano" (Cogito, ergo sum).
Prima pensa chi è, poi intuisce di pensare. E rimane ad ascoltare i pensieri che fluiscono dentro di lui, come un fiume in piena.


Un pensiero in particolare colpisce Marcello: l'idea di poter uccidere/abbattere/sconfiggere La Bestia.
E quando La Bestia arriva questo pensiero ritorna e Marcello si comporta - sembrerebbe - da eroe. La sfida e con tutte le energie si lancia verso di lei. Peccato che La Bestia abbia la bocca aperta.
Oh oh. Che cosa ho fatto?


I pensieri continuano a fluire ma non sono affatto piacevoli. Perché l'uccello ha la consapevolezza dell'atto "stupido" che ha fatto. E' finito tra le fauci de La Bestia e ora si trova al buio, solo, con i suoi pensieri angoscianti, presagio di morte sicura.

Ma il fatto di essere sempre in silenzio e di pensare aiuta il ragionamento, lo espande, lo fa crescere. Perché pensa anche a tutte le relazioni tra La Bestia e le sue prede (una tavola stupenda, che sembra una specie di labirinto in cui perdersi per ore a cercare dettagli e collegamenti insieme ai bambini).

Dopodiché Marcello resta in silenzio e ascolta i rumori della bestia (e qui il divertimento con i più piccoli è assicurato tra un "crunch" e un "munch", un "grumble" e un "gurgle").  Il silenzio permette di ascoltare l'altro (anche se in un modo un po'"bizzarro" e "inconsueto" perché l'uccellino si trova nell'apparato digerente della bestia insieme a un topo e a un serpente che sembrano terrorizzati e al punto tale da non capire nulla (avete mai provato la stessa sensazione quando qualcosa vi fa andare in tilt e non ragionate più?)
A differenza delle altre prede Marcello capisce di poter ascoltare i pensieri della bestia, che sono, le sue necessità (mangiare, cacciare, sfamare i piccoli...).


E così inizia un dialogo esilarante tra Marcello e La Bestia - accentuato da una trovata originale a livello di illustrazione - che riesce a farla riflettere su come le sue prede abbiano famiglia e a  convincerla non solo della necessità di cambiare dieta ma anche di tenere aperta la bocca... pronti...via!!!
Il finale di Marcello il Fringuello è poi bellissimo e poetico. Ma lascio a voi leggerlo.


Le illustrazioni, semplici ed essenziali, sono altrettanto interessanti perché i fringuelli sono disegnati a partire da impronte digitali (anche se già viste nell'albo "Trixtie ten" di Sara Massini per Valentina Edizioni), che vengono ingrandite o rimpicciolite grazie al digitale a seconda dello scopo e completate con brevi tratti di pennarello/pennello nero, usando anche le espressioni e le convenzioni tipiche del fumetto. Solo La Bestia è diversa. Infatti per lei è impiegato un tratto acquarellato contornato da una matita spessa.

La lettura ad alta voce viene favorita dall'uso della font Helvetica Neue, che viene usata con corpo grande o piccolo per dare risalto alle scene o a un particolare momento che viene "urlato" (è interessante come anche i bambini in età prescolare se ne accorgano, mentre quelli già abituati a scrivere ne colgano le sfumature, come, ad esempio l'uso del punto esclamativo - sarà forse perché Marco sta studiando la punteggiatura?) .

Di Viviane Schwarz ho già parlato qui, raccontando altri due libri veramente esilaranti e singolari.

In questo caso vi consiglio di leggere anche la recensione di Francesca Tamberlani, su Milkbook, che trovate qui, sempre nel caso che non l'abbiate già fatto! Anche lei lo reputa un capolavoro. E se trovate molta sintonia in quello che c'è scritto, vi giuro che ho letto la recensione (anche se ne conoscevo l'esistenza quando l'ha fatta un anno or sono) dopo, per non esserne influenzata. Ma evidentemente ha suscitato lo stesso entusiasmo e le stesse emozioni.


"Che bello, sono cresciuta!", il nuovo albo Babalibri di Carl Norac e Claude K. Dubois

$
0
0

Se avete amato Dolci parole e Le scatole della felicità, non potete perdervi questo nuovo albo BabalibriChe bello, sono cresciuta!, scritto da Carl Norac e illustrato da Claude K. Dubois, che ha come protagonista la cricetina Lola.
Entrambi, autori e illustratori, fanno una dedica a Lola. (Chissà chi sarà mai!)

Questa "recensione" sarà un po' speciale e diversa dal solito, perché ho letto il libro per la prima volta con Andrea (quasi cinque anni) e mi piace riportarvi anche le sue impressioni immediate.

Come tutti i cuccioli, Lola non vede l'ora di crescere in fretta e si è inventata un "gioco segreto", un rituale che si ripete ogni mattina e che la fa sentire felice. Davanti allo specchio salta, salta, salta...
(ieri quando lo leggevo mi veniva già da fare "zompi, zompi, zompi"o "doing dongi dong" - è un albo che si presta bene a una lettura molto animata con i più piccoli, e si divertono pure i grandi! - con lui che ha iniziato a rimbalzare sul letto
 e con una sorta di piccolo "mantra" continua a ripetere "Che bello, sono cresciuta! Che bello, sono cresciuta!".
Il mondo dei più piccoli è fatto non solo di grandi gioie ma anche delle prime delusioni e frustrazioni. Infatti, a scuola Lola viene presa in giro da Luca, che le dice in tono poco piacevole, deridendola, "Ehi, è arrivata la piccola Lola! Ti sei portata la tua piccola macchinina e la tua piccola bambolina?"
 e lei risponde infuriata
"Guarda che io gioco con i camion più alti di te, testa di rapa!"
Alla lettura di queste frasi Andrea (cinque anni) mi ha detto "Stanno litigando... Perché?"
Gli ho risposto che lui la sta prendendo in giro, chiedendogli se gli piace essere preso in giro. "Cattivo!" Ha risposto in tono risoluto e deciso, indicando con la mano Luca.

"E sai una cosa? Io posso crescere quando voglio."
"Si perché può sattare!!" ha commentato entusiasta Andrea (prendendo le parti di Lola, naturalmente!)
Il bulletto della scuola la minaccia di rubarle il suo sacchetto di biglie se non sarà alta fino a una certa altezza. E così, Lola, che prende sul serio questa sfida inizia ad allenarsi per crescere, sempre più arrabbiata ma decisa.

"Mi allungo, mi allungo mi allungo..." (questo pezzo si presta a una "lettura dinamica").
Tuttti dicono sempre che per crescere bisogna mangiare e allora Lola chiede il bis del piatto di minestra! Perché "Si sa che la minestra fa diventare alti come un grattacielo."
Poi si inventa la "danza del chewing gum". Con Andrea ci siamo chiesti come sarà. Sarebbe bello scoprire la propria danza: Io e lui ci siamo chiesti come funziona e Andrea mi ha risposto che... forse ci si gonfia come una palloncino. Ci si gonfia e ci si sgonfia allungandosi e restringendosi? Boh, sarebbe bello chiederlo agli autori!" Qui la creatività è messa in moto all'ennesima potenza!
Quando è ora di andare dal dottore Lola non solo mostra tutto il suo coraggio (un bel suggerimento per chi deve affrontare questa prova...) ma è ansiosa di sapere quanto è cresciuta. Perché potrà fare le cose che vuole, proprio come i grandi.

E così va a fare ginnastica con la mamma. Ma non è proprio così semplice come pensava, è faticoso e si stufa. Sì, perché è ancora piccola...

Ma la mamma sa come consolarla e sa emozionarla con le parole giuste perché ha apprezzato i suoi sforzi. E glielo dimostra con tanti bacini. Ecco un brano commuovente, in cui la piccola chiede se i baci fanno crescere come la minestra.
Che momento di relazione si può creare leggendo insieme con il proprio bambino questo libro! Quando ho chiesto ad Andrea se i miei bacini lo facevano crescere, lui si è alzato subito in piedi sul letto, mostrandomi la potenza dei baci della mamma. Che momento unico!

Lola continua a cercare tutte le strategie per diventare grandi. Come? Attraverso il gioco, perché quando i bambini giocano sono "al lavoro". Imparano e sperimentano, e al tempo stesso, si divertono.
Questa scena mi fa tanto venire in mente gli angoli del travestimento che ci sono al nido e alla scuola dell'infanzia. E mi fa tornare bambina, quando anch'io mi divertivo a infilare le scarpe della mamma o truccarmi come lei."Si è infilata le scappe della mamma per sembrare più gande" ha commentato il mio piccolo lettore."
Però la sera Lola è preoccupata. Quando si sta in ascolto di noi stessi, arrivano anche i pensieri, e il buio e la solitudine nei piccoli fanno sorgere i brutti pensieri. Essendo una cricetina sveglia sa che non bastano due giorni per crescere e non sa come vincere la sfida.
Il giorno dopo prova a battere Luca con l'astuzia ma il bulletto ha la meglio su di lei... Lola perde le biglie, si dispera.
Ma alla fine troverà un modo per ritrovare non solo l'allegria ma anche per dare una piccola grande lezione a Luca. Leggere per credere.
Alla fine della lettura, Andrea emozionato ha esclamato subito "Bellissimo! Pozzo pottarlo a scuola?"
Questo albo poetico e divertente, con illustrazioni leggere e dolcissime, come ho già scritto si presta molto bene a una lettura creativa, fantasiosa ed è perfetto per facilitare la relazione con il proprio bambino.

"Dolci parole" e "Scatole di felicità"
Lola è la protagonista di altri due bellissimi albi, "Dolci parole" e "Scatole di felicità", che si prestano non solo alla lettura e alla riflessione su temi "delicati" e preziosi, ma anche a liberare la fantasia per creare laboratori fantastici (io ho usato il primo albo, di cui ho fatto una piccola presentazione, proprio alla Libreria Librambini di Vimodrone e ne ho parlato qui).
A pensare che "Le scatole di felicità" sia un libro speciale, non sono solo io. Per esempio, la Libreria di Pescara (che ha un nome bellissimo!!!) "Nel paese dei Libri Selvaggi" ha stilato un elenco dei 30 libri migliori del 2015, raccontando che si tratta di "Un piccolo albo, da leggere dai 4 anni, per parlare ai piccolini di emozioni, per aiutarli a riconoscerle, comprenderle, comunicarle. La piccola Lola come regalo ha voluto due scatole, una grande e una piccola per riporre le piccole felicità e le grandi felicità! Ma il fratellino e i suoi amichetti la prendono in giro… Lola non si arrende anche se il comportamento del fratellino la mette in difficoltà: per fortuna arriverà una piccola scatola di scuse."Qui trovate il link con la classifica con tanti suggerimenti di albi di qualità.

Chi sono gli autori. E un video da non perdere
Due note sugli autori. Claude K. Dubois è nata in Belgio e insegna disegno dal vero a Liegi. Carl Norac, anche lui belga, è professore di francese, poeta, grande viaggiatore e ha vinto numerosi premi letterari.Qui trovate un video - in francese - prodotto da L'École de Loisirs (casa editrice francesce molto nota), in cui i due si raccontano e spiegano come è nata la storia di Lola e di "Dolci parole". Claude racconta che Carl si è rivolto a lei perché è molto "dolce", mentre lui spiega che è rimasto colpito da una bambina molto timida che non riusciva ad esprimersi.
Le aveva dentro di lei e sembravano gonfiarsi nel suo petto senza esplicitarsi.
Nel video Carl racconta anche di aver incontrato un illustratore che diceva che, essendo lui un poeta, non sarebbbe riuscito a trovare le parole giuste per un pubblico di piccolissimi (quanto si sbagliava!). Questa riflessione lo ha aiutato a creare la storia (questo dimostra che anche le critiche possono mettere in moto qualcosa di straordinario, se sappiamo coglierne il lato positivo).

Claude dice che questa piccola eroina all'inzio doveva essere una bambina. Ma con gli animali si può osare di più, esprimersi in maniera più forte. Si può "giocare molto" con le sue emozioni. Ecco perché la bimba è diventata una cricetina.

Nel video potete vedere come l'illustratrice disegna, con una carta molto morbida, accanto alla sua scatola di acquarelli "consumati".

"Fino a quando la mia stella brillerà": Daniela Palumbo incontra in Feltrinelli i ragazzi delle medie

$
0
0

Il 27 gennaio di ogni anno si celebra "Il giorno della memoria", ricorrenza internazionale per non dimenticare le vittime dell'Olocausto (il 27 gennaio 1945 sono stati abbattuti i cancelli del campo di concentramento di Auschwitz, in Polonia), ma gli appuntamenti e le letture sul tema della Shoah sono iniziati in questi giorni. Il 19 gennaio scorso ho avuto la fortuna di ascoltare alla Feltrinelli di piazza Piemonte, a Milano, l'incontro di due classi della scuola secondaria di primo grado con la giornalista e scrittrice Daniela Palumbo, che ha raccolto la testimonianza di Liliana Segre nel libro "Fino a quando la mia stella brillerà", edito da Piemme nella collana Il Battello a Vapore.

Una questione di empatia
Per introdurre alcuni temi del libro, Daniela Palumbo ha esordito parlando del neonato Museo dell'empatia (qui il link), un progetto itinerante - ora in Australia e che dovrebbe, si spera, approdare anche a Milano - in cui si mette in risalto la necessità di coltivare l'empatia. In parte connessa al patrimonio genetico di ciascuno, questa capacità di mettersi nei panni dell'altro sta precipitosamente calando nelle nuove generazioni, come ha sottolineato anche il presidente americano Obama (qui e qui approfondimenti). A conferma, uno studio di Peter Grey psicologo e ricercatore del Boston College (qui), che rivela che i giovani d'oggi soffrono di narcisismo, ovvero pensano più a se stessi che agli altri.
Roman Krznaric, scrittore esperto internazionale di empatia e fondatore del Museo, ha pensato al progetto denominato "A Myle in my shoe": le persone sono invitate a scegliere un paio di scarpe, indossarle e percorrere un miglio sul Tamigi (in questo caso, visto che è nato a Londra) ascoltando la storia del proprietario di quelle scarpe (che può essere un barbone, una prostituta, una ragazzina, un banchiere e così via). Questo "gioco" invita ad ascoltare e, in qualche modo, a "mettersi nei panni di quella persona". In effetti, esiste un detto inglese da cui è nato tutto che dice "Prima di giudicare una persona cammina per un miglio nelle sue scarpe". Detto fatto.
Perché è così importante parlare di empatia? Perché il suo contrario è l'indifferenza.


"L'indifferenza fa male. È l'arma peggiore. La più potente.
Perché se qualcuno ti affronta e ti vuole fare del male puoi difenderti
.
Ma se intorno a te c'è silenzio, come fai a difenderti?

...
Era come se all'improvviso io potessi vedere gli altri
ma gli altri non vedessero me.
 È stato come se da un momento all'altro
il mondo non mi avesse più guardata,
come se non si fosse voltato a vedere
quello che accadeva a noi bambini ebrei"
Finché la mia stella brillerà


L'indifferenza
Quando a Milano è stato costruito il Memoriale della Shoah (qui il link), attorno al "Binario 21" luogo simbolo dove avvenivano le deportazioni, il 26 gennaio 2012 è stata posata la prima targa "in memoria del convoglio del 30 gennaio 1944 Milano–Auschwitz, col quale, tra gli altri, è stata deportata anche Liliana Segre" (qui l'approfondimento sullo stato dei lavori e qui l'articolo dedicato da Radiomamma, a cura di Cristina Colli, che è andata a visitare il luogo e lo spiega alle famiglie).
Quando è stato domandato a Liliana Segre quale parola indicare sul muro che è stato eretto, lei ha chiesto che venisse scritta la parola "indifferenza", forse quello che "le ha fatto più male" come ha raccontato Daniela Palumbo. Chi soffre riesce a capire meglio di altri la sofferenza delle persone. Ed è proprio quello che ha ricordato la Segre: quando sono stati spostati dal carcere di San Vittore per essere trasportati sui camion, gli unici che hanno lanciato loro le arance sono stati proprio i detenuti, le uniche persone capaci di mostrare un segno di affetto e comprensione.

"Attraversammo il carcere in silenzio per arrivare al cortile dove ci aspettavano i camion. A un tratto un coro di voci ci investì: erano i detenuti comuni, quelli che, a differenza di noi ebrei, erano in carcere perché avevano commesso dei reati. Si sporgevano dai ballatoi degli altri raggi della prigione gridandoci parole di incoraggiamento e solidarietà, qualcuno lasciava cadere una mela, un'arancia. Furono gli unici che sentimmo vicino a noi, come fratelli, furono magnifici.
Finché la mia stella brillerà


La prima domanda nel gruppo di ragazzi della terza media Levi di Baggio è arrivata da Silvia (che anche in seguito si è mostrata molto vivace e perspicace, ponendo sempre domande sottili e di grande riflessione) "come posso entrare nei panni di quella persona se non ho mai vissuto quella esperienza terribile? come faccio a mettermi nei suoi panni?".
Daniela le ha risposto facendo l'esempio di come ci si comporta con un'amica. Quando la si conosce, si capisce quando non sta bene e, allora, bastano anche solo una parola, un gesto di affetto per mostrare l'interesse nei suoi confronti. Non è che per forza bisogna vivere tutto quello che prova un altra persona per provare empatia. Basta un atto di vicinanza alla persona che ha un periodo difficile. Quello che le succede in qualche modo ti riguarda.

Un caso che ci riguarda da vicino è quello degli sbarchi dei migranti o dei rifugiati. Come ci poniamo osservandoli? Purtroppo - ha continuato Daniela - i nostro stile di vita ci mette in competizione gli uni con gli altri, sul metrò non ti accorgi delle persone che ti stanno accanto, così come siamo presi a organizzare la nostra vita, a correre. Ecco, l'inventore del Museo dell'empatia ci dice che questa è un antidoto alla vita moderna, ti consente di attivare un circuito positivo per cui inizi a porti le domande "chi mi sta accanto? come sta? chi è veramente?". Sono piccoli semi che possono dare anche grandi frutti e contribuire a far cambiare il modo di pensare delle persone.

Settant'anni fa un confine è stato superato nei confronti degli esseri umani, non solo ebrei. Lo dicono gli storici. La Shoah ha superato i confini dell'immaginazione. Quando arrivavi nei campi di concentramento eri uno stück.
"Stück... ci chiamavano così, facendo seguire a questa parola i numeri tatuati sul braccio. In tedesco significa "pezzo". Non eravamo più uomini. Ad Auschwitz diventammo... pezzi."

Daniela prosegue spiegando che si trattava proprio di una sottrazione di umanità. Andavi avanti fino a quando avevi le forze (i nazisti avevano calcolato a tavolino una resistenza media di 3 mesi). La perdita di umanità non era solo da parte dei tedeschi che gestivano il campo ma si sviluppava anche nei prigionieri. I sopravvissuti cercavano di non partecipare alle sofferenze.

Racconta Liliana Segre nel libro "Successe una cosa dentro di me senza che me ne rendessi conto: a un certo punto la mia mente cominciò a rifiutare di partecipare alle cose terribili che succedevano nel campo. Non mi voltavo quando qualcuna di noi era messa in punizione, non ascoltavo quando le prigioniere parlavano di violenze a cui avevano assistito o alle quali erano state sottoposte ... Io non volevo sapere. Non lasciavo il mio cervello libero di registrare quello che stava accadendo intorno a me. Se avessi partecipato con il cuore alle sofferenze spaventose che vedevo ogni giorno, se mi fossi affezionata a qualche prigioniera che avrei potuto veder morire da un giorno all'altro, non ce l'avrei fatta a sopportare quei giorni, uno dopo l'altro.Solo il mio corpo - con la mia magrezza, la fame, il freddo, le piaghe, le febbri, le punizioni che subivo - mi riportava nel campo, dentro Auschwitz. La mente no, la mente distoglieva lo sguardo, e io ricominciavo a fuggire. Senza vedere, senza sentire le grida di giorno e di notte. Avanti, una gamba dopo l'altra, a testa bassa, senza guardare in faccia chi mi stava intorno."

È quello che è successo a Liliana con Janine  "Un rimorso che mi porto dentro. Il rimorso di non aver avuto il coraggio di dirle addio. Di farle sentire, in quel momento che Janine stava andando a morire, che la sua vita era importante per me."

Daniela prosegue raccontando ai ragazzi che non dovevi sfidare un nazista o il medico  - che faceva la selezione decidendo se "potevano andare avanti" o se mandarli nelle camere a gas - se ti facevi notare, se avevano idea che ti sentissi una persona, se lo percepivano, eri finita. Dovevi essere un vegetale.


Raccontare per non dimenticare
Per fortuna Liliana Segre - e nel libro è raccontato benissimo - aveva 14 anni e una gran voglia di vivere (istintiva). Ma quell'egoismo che ha dovuto sviluppare per sopravvivere l'ha pagato dopo. Ora ha 85 anni ed è stanca.
Daniela spiega che ha iniziato a raccontare dal 1990 per senso di colpa ("Pian piano, dentro di me, diventava pressante questa sensazione di non aver fatto il mio dovere. Il mio silenzio cominciò a pesarmi, era un macigno oppressivo") per rendere omaggio, per dire a tutti che le persone erano esistite (nella terza parte del libro si narra che verso la metà di gennaio 1945 i nazisti fecero saltare in aria il lager "Distruggendo il campo di Auschwitz volevano cancellare le prove di quello che era successo lì dentro. Il mondo non doveva sapere. Ma Auschwitz venne distrutto solo in parte, non trovarono il tempo di completare l'opera").

Liliana Segre ha raccontato spesso la sua storia. Ha scritto diversi libri.
Con questo libro ha voluto rendere omaggio al padre, che è stato per lei come "le vitamine", dandole la forza per sopravvivere.
L'incontro con Daniela è emozionante e Silvia si rifà viva con una riflessione "Lei si è quasi vergognata di essere rimasta viva.." Daniela ha raccontato che Primo Levi lo ripete spesso.

Silvia "Ma le direi che il suo non era un privilegio, ma piuttosto un diritto".
Daniela spiega che tutti i sopravvissuti a un campo di concentramento hanno un senso di colpa terribile e hanno dovuto affrontare anche una terapia psicologica per riuscire a conviverci. Ora Liliana sembra "pacificata", perché sa che in quel contesto non poteva fare altrimenti.
Ma se qualcuno le chiede se ha perdonato, lei risponde che non ce la fa. Ecco le sue parole nel libro.

"Liliana hai perdonato?
So che farei una bella figura dicendo che ho perdonato. Qualcuno mi ha detto che se perdonassi potrei mettermi il cuore in pace. Non è così. Io non ho perdonato, non perdonerò mai a livello personale ...  Perdonare, per me, equivale a dimenticare. " (dialogo tra Daniela e Liliana)

Il dolore del racconto
Un'altra domanda sorge tra gli studenti "Cosa sentiva Liliana mentre raccontava la storia?". Daniela racconta che i colloqui con Liliana erano sempre di durata diversa -potevano durare da mezz'ora a otto ore- perché a un certo punto non ce la faceva più.
Allora Daniela le ha chiesto di spiegarle cosa avveniva dentro di lei. Liliana ha risposto di riuscire a raccontare bene fino a quando "vedeva le cose come un osservatore esterno", ma quando "tornava bambina" - ripensava alle sensazioni dolorose provate e a tutto quello che aveva visto - per lei il dolore aveva il sopravvento.
Daniela racconta che questa sofferenza si ripete ogni volta che Liliana racconta la sua storia. Ora la stanchezza è tanta.
Lia Gaffuri, docente della classe terza della Scuola secondaria di primo grado Levi di Baggio, chiede come sia nata l'idea del libro.
Daniela spiega che il libro è nato dall'Editore, che ci teneva ad avere un libro per ragazzi che raccontasse la storia dell'Olocausto. Poiché Daniela aveva già scritto il libro "Le valige di Auschwitz" (per cui ha preso anche un premio, e di cui parlerò in un post a parte), le è stato chiesto di incontrare Liliana Segre, dato che entrambe vivono a Milano. All'inizio Liliana era restia - anche perché ne aveva già parlato in altri libri - poi ha "ceduto"pensando di incentrare il racconto sulla figura del padre e riportarlo a una dimensione più intima. Liliana non aveva la madre, aveva un rapporto quasi "simbiotico" con il padre, che è sempre stato presente.
Daniela - emozionata - rivela che Liliana Segre è una donna con una grande forza e, al tempo stesso, una grande sensibilità, capace di mostrare un'eccezionale empatia verso le persone.

Il ritorno alla "normalità"
Sempre Lia Gaffuri sottolinea come sia importante che nel libro ci sia anche "il dopo", come abbia fatto a tornare non solo nella sua patria ma anche a rientrare nella vita quotidiana.
Daniela ha spiegato come Liliana una volta tornata a casa si sentisse sempre nel campo. Naturalmente, le privazioni subite e la mancanza di cibo, avevano suscitato in lei un grande desiderio di mangiare, fino a ingrassare.

"Mi guardavo nella mia nuova vita e vedevo una ragazza grassa, informe, che non riusciva ad adattarsi agli altri, e gli altri non riuscivano ad adattarsi a lei.
Gli zii non erano cattivi. Facevano del loro meglio. Pensavano di dovermi reinserire nella società. Stavano continuamente a riprendermi su come stavo seduta, mangiavo, dormivo, su cosa dicevo e come lo dicevo «Stai composta, saluta come si deve quando incontri qualcuno, non dire parolacce, taglia la mela con la forchetta e con il coltello».
Ma io pensavo che solo avere una mela era un dono straordinario, cosa mi importava di tagliarla con la forchetta e il coltello?
"

Daniela sottolinea come le persone intorno a Liliana non capissero. E lei si sentiva estranea a quella vita, a quel mondo che non le apparteneva più. Tutti le dicevano "riprendi la tua vita, le tue cose, la scuola, le tue regole". Lei aveva bisogno di raccontare e parlare. Capire quello che era accaduto. Questo non le è stato permesso.

Estraneità
Questa è un altra parola che hanno provato i sopravvissuti. Tutti non volevano sentire. Tutti non volevano sapere.

Alla domanda "Ma lei si è messa nei panni di Liliana?" Daniela ha risposto con un sì (al tempo stesso deciso ed emozionato). Ha accennato anche alle valigie, che l'hanno molto colpita quando ha visitato il campo di sterminio di Auschwitz, unico oggetto presente in cui c'erano un nome e un cognome. Lì ha capito che dietro c'era una persona. Le valigie, come le scarpe nell'esempio iniziale del museo dell'empatia, rappresentano un simbolo.

Questo libro è stato scritto con il contributo di Liliana Segre, sia perché è una delle poche persone sopravvissute allo sterminio, sia perché ha vissuto questa tragedia quando era una ragazzina e quindi riesce a coinvolgere meglio i ragazzi con la sua storia, raccontandola dal punto di vista di una quattordicenne.

I pensieri e le domande continuano a fluire spontanee. Daniela (una ragazzina di seconda) chiede il significato del timbro sul braccio.
La Palumbo spiega che, alla pari di essere "un pezzo"il numero contribuiva a togliere l'identità. Liliana Segre non ha mai voluto toglierselo, perché ha sempre pensato che non fosse una cosa per cui provare disagio, piuttosto una vergogna per i suoi carnefici.

Liliana Segre - nonostante tutto quello che ha vissuto - ha mantenuto una coscienza viva. Lo dimostra quando i soldati nazisti, presi dal panico per l'arrivo delle truppe alleate, iniziano a spogliarsi e nascondersi tra i deportati.

"Il comandante del lager di Malchow - un altro luogo in cui sono stati trascinati una volta venuti via da Auschwitz - un assassino privo di umanità, gettò anche lui la pistola e indossò abiti civili. La pistola cadde sui miei piedi. L'istinto fu di prenderla e sparare, per vendetta, per giustizia. Ma fu un attimo, mi vergognai di quel pensiero, io non ero come loro, non volevo diventare come i miei carnefici. ... Scelsi la vita, la loro cultura di morte non mi apparteneva e la lasciavo nel lager."



Il libro
Come ha spiegato Daniela Palumbo, sottolineandolo, il rapporto e il legame profondo con il papà - che fino all'ultimo ha voluto e tentato in ogni modo di proteggerla - viene fuori in quasi tutte le pagine del libro, un libro molto intenso, scritto benissimo, in cui si riesce a entrare nella storia, e che ti prende a tal punto da finirlo tutto d'un fiato. In particolare, si racconta anche la parte dell'infanzia felice che Liliana Segre ha potuto trascorrere, il rapporto con i nonni. Un padre che faceva anche le veci della madre, scomparsa quando lei era piccola, che non le ha fatto mancare niente per quello che le è stato possibile; che trascorreva le vacanze con lei sempre, appena poteva, cosa rara a quei tempi
.

"Fino a quando la mia stella brillerà", con la prefazione del giornalista Ferruccio de Bortoli, è un libro diviso in tre parti: Il papà e la bambina, in cui si racconta la vita felice e spensierata che ha potuto vivere Liliana Segre fino alle leggi razziali; Cambia tutto, in cui a partire dall'espulsione a scuola si parla della progressiva perdita di diritti - con due emozionanti capitoli, uno dedicato alla "nonna che offriva la torta ai fascisti" e l'altro dedicato ai "Giusti", quelle persone che hanno rischiato la loro vita per aiutare gli ebrei - e della fuga fino all'arresto, al carcere e al Binario 21; Sempre con me in cui si entra nel vivo della vita nel campo di concentramento e alla dolorosa separazione dal padre, il modo in cui Liliana è riuscita a sopravvivere - con il commovente capitolo "Stella stellina, resta con me" - fino alla marcia della morte, al ritorno a casa e il sentirsi diversa.
Il libro finisce con "L'incontro più bello" ovvero l'incontro con Alfredo, l'amore della sua vita, che seppe capirla da subito, e ascoltarla, anche perché aveva vissuto come lei la prigionia.
Infine, due capitoli molto pregnanti, sul perché Liliana abbia sentito il desiderio di parlare della sua dolorosa vicenda e il dialogo tra Daniela e Liliana.

Alcuni appuntamenti
Vorrei concludere questo post che mi ha proprio emozionato - e che vorrei fosse il primo di una serie di presentazioni di libri per ragazzi sulla Shoah - segnalandovi alcuni appuntamenti che potrebbero interessarvi, dedicati all'Olocausto.
Oggi 22 gennaio verrà inaugurata alla Biblioteca dei ragazzi di Rozzano"Per non dimenticare - In viaggio con Anna Frank", una mostra internazionale di mail art, qui).
Sabato 23 gennaio al Trotter una giornata per le famiglie.
La compagnia Alma Rosé propone "C'era un'orchesta ad Auschwitz", liberamente tratta da “Ad Auschwitz c’era una orchestra” di Fania Fénelon, con Annabella Di Costanzo ed Elena Lolli . Diversi sono gli appuntamenti in diversi luoghi, come si vede dalla locandina. Per informazioni: info@almarose.it e qui il link alla pagina facebook.


Infine, per chiudere il cerchio, il 27 gennaio alle 10.30 al Teatro degli Arcimboldi (qui e qui i  link alle notizie) Liliana Segre incontra i ragazzi; le scuole impossibilitate a partecipare potranno ascoltare in streaming sul sito del Corriere della Sera per commemorare insieme a lei il Giorno della Memoria. 
Con questo post partecipo al Venerdì del Libro ideato da Paola Miseti, alias HomeMadeMamma e il cui link odierno trovate qui.

"Il volo di Sara" di Lorenza Farina e Sonia MariaLuce Possentini, Edizioni Fatatrac

$
0
0

Il Volo di Sara”, con i testi poetici di Lorenza Farina - bibliotecaria di mestiere, autrice per passione - e le delicate illustrazioni di Sonia MariaLuce Possentini, edito da Fatatrac, è un albo che riesce a parlare con tatto ai bambini di un argomento molto difficile e doloroso, quello dell'Olocausto. Qui e qui i link al blog della casa editrice con post dedicati.

Il punto di vista è molto interessante e insieme simbolico. Infatti, la storia viene raccontata da un pettirosso, un passeriforme che con il suo canto con trilli e gorgheggi, è presente in inverno in Europa. Questo piccolo batuffolo, che spicca nella neve, osserva da lontano quello che succede in un campo di concentramento. Il suo petto colorato e gonfio, la sua piuma rossa che svolazza nel cielo bianco e qualche bacca sui rami quasi spogli degli alberi si stagliano nel grigiore dei reticoli del filo spinato che circondano le baracche grigie e in cui vagano uomini scheletrici, tra fango e sudiciume. Intorno l'odore è acre e pungente, talmente nauseabondo da non riuscire a essere portato via dal vento.

La “monotonia” viene presto interrotta dall'arrivo di un treno (bellissima l'inquadratura, l'osservatore viene quasi travolto dalla locomotiva che ha una sbarra rossa, unica traccia colorata della pagina), non un treno qualsiasi, ma un carro bestiame, sprangato.
Un cartello con due scritte e con un teschio ci indica che il posto non è accogliente.
Infatti, all'arrivo, il rumore assordante e lo stridio del velivolo in frenata si accompagnano alle grida concitate dei soldati accompagnate dai latrati dei cani al guinzaglio.

Dai vagoni scendono donne, anziani bambini. Tutti volti scuri, dalle facce quasi irriconoscibili. Spicca solo la spilla di Davide, il marchio scelto per riconoscere gli ebrei dagli ariani.


L'incontro

Fu allora che la scorsi
Il pettirosso viene colpito dagli occhi grandi di una bambina dai capelli scuri raccolti in un nastro azzurro come il maglione.

L'intesa è reciproca.

 “Ad un tratto la bambina sollevò lo sguardo e mi vide «Mamma, guarda un pettirosso» mormorò, sorridendo appena”.

Ma non c'è tempo per la meraviglia perché Sara - così si chiama la protagonista, che in ebraico significa “principessa” - viene strattonata e allontanata dalla mamma, che non vedrà più.

Il pettirosso sceglie, allora, di vegliare su di lei, di farle compagnia e darle quelle attenzioni e la cura necessarie a una bambina di quella età rimasta, di fatto, "orfana".
E decide di essere la sua voce. Parlare per lei. Parlare anche per i suoi occhi.


Il racconto si dipana mostrando cosa succede ai bambini, attraverso i dettagli: "le fecero togliere il vestito azzurro che la mamma le aveva fatto con le sue mani. La costrinsero a indossare una casacca a righe, molto più grande della sua taglia, con una stella gialla cucita sul petto.
Poi le tagliarono i bei capelli scuri, che scivolavano come piume sul pavimento insieme al nastro azzurro che li tratteneva. 

La fecero coricare in una cuccetta, ammassata insieme ad altri bambini infreddoliti e impauriti come lei".

La potenza delle parole - bellissima l'immagine dei capelli che cadono come piume, la simbiosi tra i due è unica - è accompagnata da quella delle immagini, in cui risalta in primo piano il nastro azzurro, unico elemento di colore e di spicco tra i volti grigi ovattati dei bambini pelati.
In volo verso la libertà
Il pettirosso va a trovare Sara la notte - il momento in cui il terrore aumenta e si ha bisogno di una coccola, di una carezza, di dolci parole - le accarezza il viso con le piume, cinguettandole racconti fino a farla addormentare.

Di giorno, invece, le raccoglie il cibo che trova quà e là, anche se la scopre sempre più magra e deperita, spaesata nella neve, a piedi nudi in mezzo al gelo.

Ma una mattina l'uccello non la trova più nella baracca, ma in fila insieme a molti altri bambini e si accorge del fumo che esce dai forni (Sara aveva sei/sette anni e il suo destino era segnato).


La bambina lo nota e gli sorride, anche se il suo sorriso è stanco.

"Poi ondeggiò con estrema lentezza le braccia esili, come se stesse per spiccare il volo"

Ed è così che il pettirosso decide di “prestarle” le sue ali per fuggire via.

"La vidi vibrarsi nel cielo non più grigio ma azzurro come il vestito che ora indossava, come il nastro che ora le cingeva i capelli".

Un finale poetico, denso di speranza e libertà.

Un uccello preso a esempio come simbolo della libertà.  Chissà se le due autrici hanno deciso di scegliere il pettirosso per un motivo preciso. Ci sono diverse leggende riguardo a questo volatile. Inoltre in inverno il suo canto, che è una vera e propria melodia, reca allegria anche nelle giornate senza sole e fredde. Chissà, se per le sue penne arruffate che trattengono calore e il suo petto dai colori caldi, che contrastano a perfezione con il grigiore e la ruvidezza del filo spinato e del paesaggio circostante.
L'albo inizia con una poesia “La canzone dell'uccello” (1941) tratto da “La Shoah dei bambini: poesia e disegni da Theresienstadt”, Udine, Istituto friulano per la storia del movimento di liberazione.

Un albo davvero portentoso, sia per il testo sia per le immagini, in cui i dettagli colorati si stagliano nel grigiore delle tenebre, del buio, dell'abisso. Il grigio e il nero che raccontano l'orrore, pur nella loro poesia e delicatezza.

Le immagini, le inquadrature hanno un forte richiamo alla fotografia, ai famosi "punti di forza" che catturano lo sguardo dell'osservatore, mettendo ancora più in risalto i dettagli e sono capaci di far emozionare tanto.

Un albo da leggere insieme ai bambini, perché loro sono vicini alla poesia, e per affrontare con loro il tema delle crudeltà, non solo quella avvenuta nei campi di concentramento, ma anche quella perpetrataai giorni nostri a cui spesso, forse, non prestiamo la giusta attenzione.

Un albo per riflettere, che ci dona a speranza, la speranza che qualcosa di bello e poetico possa sempre accadere, anche in mezzo alle brutture del mondo.

Tornando a uno dei due link sul blog di Fatatrac (citati a inizio del post), mi hanno colpito particolarmente queste frasi, che faccio mie nei contenuti, pur non essendone l'autrice
"Sarà che anno dopo anno, nuovamente, tanti ne parlano, lo leggono, ci inviano messaggi.

Sarà che le fotografie di presentazioni, disegni dei bambini, lettere arrivano via FaceBook, via twitter, via mail.
 
Saranno tutte queste cose, e molte altre, che si consolida sempre di più la convinzione che l'esercizio della memoria andrebbe dilatato a tutto l'anno e non contingentato al puro ambito scolastico e che i bambini, a questo, sarebbero prontissimi.
Andrebbe condiviso in tutti gli ambiti frequentati dai bambini questa attitudine al ricordo, mediato dalla narrazione. Il suggerimento è di leggere questo, e libri come questo, tutto l'anno a scuola e nelle famiglie.
"

Sogni di pietra, Croccanti coccodrilli, Dasi di burro e Narratecari alla Biblioteca Sant'Ambrogio

$
0
0

Fino al prossimo 6 febbraio sarà possibile visitare la mostra fotografica di Giuseppe Bartorilla"I sogni di pietra - Montagne immagini parole" presso la Biblioteca Sant'Ambrogio, in via San Paolino 18, a Milano (qui il link).
Da sinistra, Giuseppe Bartorilla, Gabriella Marinaccio, Nadia Antoci e Lucrezia.
In occasione dell'inaugurazione, sabato 23 gennaio, c'è stata una bella congiunzione tra gli incontri de "I croccanti coccodrilli", dedicati a "Letture di sogni - Letture di pietra", i "Dasi di burro" capitanati e rappresentati da Lucrezia (10 anni), il fratello Patrizio (7 anni) e la bibliotecaria Nadia Antoci, i "Narratecari" (Gabriella e Nadia, mancava solo Guido Rosci) e il reading"Le parole della montagna" a opera di Gabriella, Nadia, Lucrezia e Giuseppe.

Prima dell'inizio ognuno si è dedicato alle sue passioni...
La pedagogista Francesca Romana Grasso alle prese con un albo illustrato:
sarà uno degli eletti per uno dei prossimi seminari di Edufrog?

Poi è iniziata la prima lettura...
Ma andiamo con ordine..
I croccanti coccodrilli
Come ho già scritto qui, "I croccanti coccodrilli" sono l'unico gruppo di lettura in Italia che coinvolge anche i piccolissimi, proponendo letture animate dedicate a bambini da 3 a 8 anni, insieme ai loro genitori, a cura di Gabriella Marinaccio. Da ottobre a maggio ci si incontra una volta al mese il sabato pomeriggio (solitamente alle 16.30) e si termina con una merenda tutti insieme.
Questa volta i libri scelti per "Letture di sogni - Letture di pietra" sono stati due: il primo era "Una piedra extraordinaria" di Leo Lionni, edizioni Ekaré Europa (qui il link)  che si può ascoltare qui.

Non posso riproporre la bellissima lettura in spagnolo da parte di Gabriella, con traduzione in simultanea, da parte di Lucrezia e suo fratello, solo dirvi che vale sempre la pena ascoltarla.
La storia del libro, di un autore impareggiabile e prezioso comeLeo Lionni, è molto divertente, perché la rana Jessica - molto curiosa - trova una pietra, completamente diversa dalle altre. Talmente perfetta, bianca come la neve e rotonda come la luna, che le piace a tal punto da portarsela a casa, per farla vedere alle sue rane amiche, Marilyn e Augusto. Quella che sembrava una pietra a Jessica, secondo Marilyn - la "sapientina" del gruppo - è invece un uovo, un uovo di pollo. E Marilyn lo ripete con insistenza, sicura di sé.
Appena sgusciato dall'uovo, il "pollo" si immerge subito in acqua e tutti rimangono meravigliati di come sia bravo a stare in acqua, tanto che imparano nuove posizioni e si divertono un mondo per molti giorni.
Le avventure proseguono in modo divertente finché alla fine non si scopre che il "pollo" viene raggiunto dalla sua mamma ... un grosso caimano.

I "Dasi di burro"
La seconda lettura è avvenuta a opera dei Dasi di burro. Ma chi sono? I dasi di burro  (qui il link) sono un gruppo di lettura per ragazzi e ragazze da 9 a 12 anni, ideato da Nadia Antoci, della Biblioteca di Baggio, che ci spiega come le è venuta l'idea: "In occasione di Bookcity 2013, dopo aver partecipato alla Maratona di lettura condotta da Roberto Anglisani, in cui molti dei lettori erano frequentatori assidui dei vari gruppi di lettura che oramai pullulano nelle biblioteche milanesi, mi son detta «Perché, non aprire questa esperienza così coinvolgente anche a dei ragazzi?»". 
E prosegue "Già prima avevo organizzato un laboratorio di lettura ad alta voce de "Il coccodrillo enorme” di Roald Dahl (Nord Sud edizioni), in cui io leggevo la parte in inglese e i ragazzi, a loro volta, leggevano, ad alta voce, la parte in italiano. Superati i primi momenti di timidezza, imbarazzo o semplicemente poca dimestichezza col proprio strumento vocale, la modalità di lettura si faceva, via via più fluida, i ragazzi acquisivano più sicurezza e soprattutto il capire che leggere per far comprendere ad altri sia ben diverso che leggere per se stessi, richiedeva qualche accorgimento in più, come una voce chiara e ben scandita ed un’intonazione adeguata, rispettosa delle pause suggerite dalla punteggiatura

Dopo la maratona di lettura si delineava in me l’idea che creare un gruppo stabile sarebbe stato un progetto arduo, in considerazione della fascia d’età , 9-12 , alla quale avrei voluto rivolgermi, ma come tutte le cose non necessariamente scontate, cominciava a rappresentare una sfida accattivante.

Ho così preso contatti con Simonetta Bitasi, un’autorità nel campo dei Gruppi di Lettura per ragazzi, che nella Biblioteca di Mantova ha fatto nascere e condotto numerose e variegate esperienze di gruppi di lettura per bambini e ragazzi, appunto.
Lei mi ha incoraggiata molto.
 
Così decido di ospitare in Biblioteca (di Baggio, ndr) un laboratorio di lettura ad alta voce, condotto da Adriana Milani che potesse fornire un po’ di strumenti in più ai ragazzi per affrontare questa nuova esperienza.
Merito di Adriana, è stato, tra gli altri, il far passare l’idea fondamentale che una buona lettura per ‘arrivare’ a chi ci ascolta debba assolutamente trasmettere emozioni, una sorta di sottotesto in grado di creare il necessario scambio emotivoaffinché si compia la “magia”dell’ascolto partecipato, mi vien da dire, in cui a comunicare fra loro siano le emozioni che scorrono tra lettore/i e pubblico.
Il 30 luglio con l’incontro “Gruppo di lettura...lavori in corso” ci cimentiamo nella non facile scelta di attribuire un nome al nostro neonato gruppo.
I “ Dasi di Burro” nasce dalla commistione delle due storie, fra le tante lette, che più coinvolgono i ragazzi, vale a dire "La bambina di burro" di Beatrice Masini e Peggy Nille (Edizioni El) e “Il Daso” di Olivier Dozou (Il libro, edito da Orecchio Acerbo, ha in effetti due frontespizi: il naso (Gogol) e il Daso (parodia) (e qui ringrazio Gabriella per la precisazione).

All'inaugurazione i Dasi di burro erano capitanati e rappresentati da Lucrezia, suo fratello e Nadia. 
Per l'occasione è stato scelto il libro "Nella terra dei sogni" di Robert Luis Stevenson, che ha le bellissime e poetiche illustrazioni di Simona Mulazzani, edito da Rizzoli.
La prima a esordire è stata Lucrezia, che ha letto un brano...
Poi, su invito di Gabriella, che sollecitava la partecipazione del pubblico di lettori in erba, con mia grande emozione - e sua grande ansia, ma è andato alla grande! - si è lanciato nella lettura anche il mio Marco (8 anni e mezzo)...
 e alla fine è stata la volta di Patrizio...
sotto l'attenta e vigile supervisione di Lucrezia.

Momenti di gioia e allegria...

 ... poi Nadia e Gabriella hanno fatto ascoltare "Pietre" di Antoine (qui il link alla canzone del 1967).
piaciuta a piccoli e grandi...
Merenda.
Immancabili, le caramelle a forma di coccodrille e altri dolci.

Poi, un po' di tensione e gli ultimi preparativi all'inaugurazione vera e propria...


"Sogni di Pietra"
La mostra nasce dall'amore di Giuseppe Bartorilla, bibliotecarioper professione (e che bibliotecario! se ancora non lo conoscete ne ho parlato qui e qui, mentre trovate qui una delle iniziative ideate dalla sua biblioteca vissuta in diretta) e fotografo per passione (qui un altro post).
L'idea era unire questi interessi: per la montagna, per il suo lavoro, per la letteratura e per le immagini.
L'esposizione - che nelle passate edizioni si chiamava "Segni di pietra" e voleva unire i segni della natura (acqua, pietra e cielo) a quelli di luce della fotografia - è diventata Sogni di pietra, il sogno di provare a "reimmaginare", invitando il visitatore a osservare le montagne per rileggere il proprio vissuto quotidiano. Volutamente le foto non hanno didascalia, anzi Giuseppe durante la presentazione ha invitato i visitatori a scrivere le proprie didascalie (e sarebbe curioso di leggerle se volete lasciarle in biblioteca).

L'esposizione - spiega Giuseppe - "propone un viaggio tra le montagne, raccontate e immaginate attraverso una serie di fotografie scattate tra le valli valdostane del Parco del Gran Paradiso (Val di Cogne, Valsavarenche, Val di Rhêmes), delle Dolomiti, della Val Veny, della Sicilia e della Corsica, a cui si alternano brani della letteratura per adulti e ragazzi dedicati ai giganti di pietra, scritti, tra gli altri, da Dino Buzzati, Massimo Mila, Mary Shelley, Franz Kafka, Emily Dickinson, Silvana Gandolfi, Fred Vargas, Francesco Guccini, Antonio Ferrara, Alan De Botton, Jaqueline Wilson.

Il percorso così articolato, tra lettura iconografica e testuale, prova a eliminare, per quanto possibile, l’effetto illustrativo e documentario, per far convergere un'emozionale attenzione sullo sguardo personale del narratore, offerto a chi ha voglia di condividere le immagini e le parole in mostra.
Sguardo immaginario e immaginato che si declina  in modo paradigmatico in segni fisici (pietra, acqua, cielo), di luce (le fotografie) e d’inchiostro (i testi), in un gioco di continue giustapposizioni tra narrazioni iconografiche e letterarie che concorrono a ridefinire una realtà, solo apparentemente sempre uguale e immutabile, come quella delle montagne, invitando nel contempo l'incauto visitatore a riflettere sui propri orizzonti quotidiani e a chiedersi, come faceva Buzzati, per quale motivo "la montagna eserciti un così potente e singolare richiamo".


Le 25 foto in mostra sono dunque abbinate a un libro che in qualche modo, direttamente o indirettamente, ha a che fare con la montagna. Perché la narrazione porti evocazioni insieme all'immagine, per una personale lettura e interpretazione. L'unico brano in stretta relazione è quello di Buzzati, associato alla foto dell'Etna in Sicilia.

Il reading dei Narratecari & Dasi di Burro
Pronti, via.
Con la sua campanella, Gabriella ha chiamato a raccolta i presenti per ascoltare la presentazione di Giuseppe, che ha raccontato con viva emozione lo spirito della mostra, ringraziando le tantissime persone che hanno contribuito a realizzarla, in primis Emanuela Semenzato. E chi lo ha sempre sostenuto, in particolare, la sua famiglia (la moglie Debora, i figli Sofia e Daniele).
Il reading è costituito nella lettura di alcuni brani legati alla montagna, da Prometeo di Franz Kafka (da Tutti i racconti) a Malastagione di Francesco Guccini e Loriano Macchiavelli, da "Le montagne di Vetro" a "La famosa invasione degli orsi in Sicilia" entrambi di Dino Buzzati, da una poesia di Emily Dickinson a "Nella Sierra" di Thèophile Gautier , da "Pasta di drago" di Silvana Gandolfi a "Patagonia express" di Luis Sepùlveda.

Di seguito il mio fotoracconto, delle emozioni provate, non solo da me, perché a volte le immagini contano più delle parole...
Giuseppe Bartorilla insieme all'autrice e illustratrice Emanuela Bussolati.

Una giornata perfetta, e finisco riprendendo le parole di Giuseppe che su facebook hanno sintetizzato a posteriori questo incontro molto ricco "Abbiamo provato a dare parole ai Sogni di pietra, voci alle montagne e colorate emozioni alle immagini in bianco e nero in mostra. C'è stata l'ouverture con i piccoli e meravigliosi Croccanti coccodrilli che hanno letto e ascoltato Sogni e Pietre e poi i Dasi di Burro della biblioteca di Baggio rappresentati dalla piccola Lucrezia che insieme ai Narratecari hanno riempito gli spazi con le voci dei tanti autori che hanno cantato la montagna e che sono presenti in mostra.  
E poi un sacco di amici e visitatori hanno provato a far circolare buone energie incrociando sguardi, parole e segni.
Tutto questo è potuto accadere grazie a Emanuela Semenzato che dato credito a uno strano tizio con la barba che si spaccia per bibliotecario e "non fotografo", mettendo a disposizione un'intera biblioteca, a Gabriella Marinaccio che ha supportato e sopportato la mostra generando energie e voci fantastiche con i Croccanti Coccodrilli e i Narratecari, e a Nadia Antoci che nonostante la perdita della cloche, con i suoi Dasi di Burro ha dato voce e brio al pomeriggio.
E grazie ai tanti amici che sono passati o che avrebbero voluto ma non hanno potuto...
E ultimi ma non ultimi, senza di loro tutto questi miei piccoli sogni non si sarebbero mai potuti realizzare Debora Sofia e Daniele".

E lasciatemi concludere così.
Grazie Giuseppe per le emozioni che racconti e l'entusiasmo che trasmetti insieme a quello di tanti tuoi colleghi, come Gabriella e Nadia, preziosi gioielli sparsi nella città, ancora poco conosciuti che operano in silenzio e come piccole formiche riescono a fare grandi cose, con pochi soldi ma molta passione.

Gauguin. Racconti dal Paradiso, al Mudec di Milano

$
0
0

Paul Gauguin - Mahana no Atua (Giorno di Dio), 1894
Olio su tela, cm 68,3 × 91,5
© The Art Institute of Chicago
C'è tempo fino al 21 febbraio per visitare la mostra Gauguin. Racconti dal Paradiso a cura di Line Clausen Pedersen e Flemming Friborg, rispettivamente curatrice del Dipartimento di Arte Francese e direttore della Ny Carlsberg Glyptotek di Copenhagen, presso il Mudec(Museo delle culture Milano). L'esposizione è prodotta da 24 ORE Cultura - Gruppo 24 Ore, in collaborazione con Ny Carlsberg Glyptotek, promossa dal Comune di Milano‐Cultura e da 24 ORE Cultura.

Un insieme di capolavori di respiro internazionale, che presentano un artista poliedrico, che attingeva a diverse fonti iconografiche e un mosaico di diverse culture e stili diversi, alla ricerca del suo stile personale, con una grande attenzione al mondo naturale.

Paul Gauguin
Pattinatori nei giardini di Frederiksberg, 1884
Olio su tela, cm 65 x 54
© Ny Carlsberg Glyptotek, Copenhagen /Photo: Ole Haupt

I capolavori in mostra
Le opere esposte, provenienti da 12 musei e collezioni private internazionali, insieme ad artefatti e immagini che documentano i luoghi visitati dall’artista, permettono di riconoscere e analizzare le fonti figurative dell’arte di Paul Gauguin (1848-1903), che si estendono dall’arte popolare della Bretagna francese all’arte dell’antico Egitto, da quella peruviana (culture Inca) alla cambogiana e alla javanese (dell'Isola di Giava), a quella giapponese fino alla vita e alla cultura della Polinesia. Attraverso il confronto tra alcuni capolavori dell’artista e le sue fonti d’ispirazione, la mostra vuole dimostrare il suo approccio peculiare e originale al “primitivismo”.

Tra le 70 opere in esposizione, più di 35 provengono dal museo danese (Ny Carlsberg Glyptotek di Copenhagen) che custodisce una una delle collezioni più complete al mondo di opere di Paul Gauguin, oltre a quadri importanti degli impressionisti francesi Paul Cézanne e Camille Pissarro e del pittore olandese Vincent Van Gogh. A queste meraviglie si aggiunge la Volpini Suite, costituita da10 zincografie, visitabili solo su appuntamento e prestate molto raramente dalloStatens Museum for Kunst di Copenhagen (interessantissime!), l'autoritratto con Cristo Giallo del Musée d’Orsaydi Parigie l'operaMahana no atua(Giorno di Dio) dell’Art Institute of Chicago(in alto all'inizio del post).

Alla ricerca del primitivo
La mostra intende sottolineare l’originalità della ricerca del primitivo che Paul Gauguin perseguì nel corso di tutta la sua vita. L’interesse dell'artista per le altre culture si tradusse in una ricerca di materiale originale da integrare e fondere nella sua produzione (dai dipinti alle sculture in legno, dalle ceramiche e alle terracotte alle incisioni, alle spille). Il “primitivo” di Gauguin è la sua visione artistica, il suo stile di vita, il viaggio di evasione dalla contemporaneità verso un mondo altro, incontaminato, carico di antichi significati, abitato da forze e spiriti ancestrali. 

La fascinazione di Paul Gauguin per il “primitivismo” rappresenta una costante della sua produzione artistica. Il suo approccio nacque da un profondo desiderio di evasione dai dettami tradizionali della società contemporanea e dai canoni dell’Impressionismo francese (in mostra si possono ammirare le sue prime opere che si avvicinano a questa corrente artistica, in cui le pennellate sono veloci e senza contorno, da cui poi l'artista si distaccherà lasciando spazio alle pennellate piatte e con colori accesi e contrastatiche contraddistinguono quelle successive), per raggiungere un più elevato grado di verità e autenticità, sia nella vita sia nell’arte.

La personale visione di Gauguin del “primitivo” come forza primigenia del mondo, come essenza fondamentale della natura umana, lo portarono a combinare consapevolmente nella sua arte una serie infinita di fonti figurative tra loro lontane nello spazio e nel tempo.

Il suo iniziale interesse per l’arte medievale europea e, in particolare, danese fu ben presto affiancato dalla ricerca di un qualcosa di più autentico rispetto alla cultura europea a lui contemporanea. Fu questa necessità a spingerlo in un primo momento nella Bretagna francese, luogo dalle tradizioni millenarie e dalla vita semplice e tradizionale (bellissime le opere in mostra), e in Martinica, isola dalla natura esotica e incontaminata. Successivamente, a seguito dell’incontro con artefatti tradizionali delle colonie francesi in mostra all’Esposizione Universale del 1889, Paul Gauguin si spinse sempre più lontano, fino alle isole della Polinesia francese, in cui egli tenterà di realizzare il sogno di una vita primitiva.

I viaggi e gli spostamenti corrispondono anche a viaggi interiori che compie l'artista, che passa dalla pittura all'aperto tipica degli impressionisti a una creazione in studio basata su rielaborazioni e astrazioni fondate su ricordi, sogni e osservazioni della natura.

Paul Gauguin Donna tahitiana con fiore, 1891
Olio su tela, cm 70,5 x 46,5
© Ny Carlsberg Glyptotek, Copenhagen /Photo: Ole Haupt
Le sezioni della mostra
Questo percorso di scoperta nell’immaginario di Paul Gauguin si articola in cinque sezioni.

Nella prima sezioneIntroduzione” della mostra un autoritratto di Paul Gauguin introduce la sua figura all’interno del contesto storico e culturale francese ed europeo di fine Ottocento.


"Quel tanto di selvaggio che vedo in loro ed è in me stesso".
La seconda sezioneLe visioni di Gauguin e il concetto di primitivo” ripercorre il lavoro di Gauguin dal 1876 al 1892 circa, illustrando l’ossessione dell’artista per l’arte e la cultura primitiva. Partendo dall’impressionismo, Gauguin persegue una precisa elementarità di espressione artistica, che per lui sono sinonimo di autenticità e verità.

La terza sezioneI viaggi di Gauguin, reali e immaginari” vede esposti alcuni lavori chiave, realizzati durante i viaggi in Bretagna (1886‐1888), Danimarca (1884‐85), a Parigi e ad Arles (1888‐89), dove andò a trovare Van Gogh e suo fratello Theo, mercante d'arte. In questa sezione il visitatore può peregrinare insieme all'artista e nel mondo interiore di uno dei maestri della pittura francese grazie a un video con immagini e racconti dello scrittore, regista e attore Filippo Timi.

Nella quarta sezione I dipinti di Gauguin: tecnica e visione” due opere Veliero alla luce della luna (1878) - uno dei primi realizzati da autodidatta - e Donne tahitiane sdraiate (1894) mostrano l’evoluzione tecnica dell’arte di Gauguin dagli esordi agli anni della maturità artistica.

La quinta sezioneIl primitivo come credo artistico” esplora l’intersezione tra mito, fantasia, sogno e realtà nelle opere di Gauguin, ponendo l’accento sui temi chiave che ricorrono nella sua arte in diversi periodi, stili e luoghi. La Polinesia sicuramente porta Gauguin a dipingere soggetti esotici, ma la sua visione del paradiso fu solo uno degli strumenti che impiegò intenzionalmente come un veicolo per creare arte.

Il visitatore è quindi portato a viaggiare in un racconto che non prosegue in ordine cronologico ma piuttosto invita al confronto con altri artisti e a uno sguardo che si accende anche su ceramiche e materiali inconsueti. E che a tratti lascia senza parole (almeno, per chi non è così esperto di questo artista e ne conosce solo una minima produzione, basata sulle sue opere più note).
Interessante è per esempio osservare il primo autoritratto di Gauguin e confrontarlo con l'Autoritratto con Cristo Giallo (1890/1), in cui l'artista cita due sue quadri.

L'allestimento
Il progetto d’allestimento, a opera di Peter Bottazzi, vuole soprattutto esaltare il perpetuo movimento e lo sconfinamento, propri della ricerca artistica e della vita personale dell'artista. Date le premesse il primo passo è stato quello scegliere assieme ai curatori alcuni colori che potessero esaltare i lavori in mostra, per poi impregnarne i pavimenti e le numerose composizioni tridimensionali chiamate "isole", elementi sfaccettati dalle svariate finiture e misure, che svettano nelle sale del museo nel tentativo di rendere frastagliato e sconfinato l'ambiente espositivo in cui sono collocate tutte le opere.

Le varie "isole" disseminate in mostra (una trentina) sono composte da elementi tridimensionali verticali sempre diverse per numero, misure di pannelli e finiture, interamente realizzate artigianalmente una a un, mediante l'uso e la rielaborazione della trama delle tele e delle jute.

L'allestimento ha suscitato diversi commenti e perplessità da parte di alcuni visitatori. Io ho trovato che, a parte le didascalie a volte difficili da individuare e poco contrastate, l'atmosfera complessiva favorisse la contemplazione delle opere, anche per l'impossibilità di fotografare le opere (ormai la gente non osserva ma fotografa, senza soffermarsi sull'opera originale). Questo consente una maggiore concentrazione e favorisce lo spirito di osservazione.

Informazioni utili
La visita può essere effettuata con audioguide o attraverso una serie di attività per scolaresche, gruppi e famiglie, a cura del Mudec Lab, volte a far scoprire ai piccoli visitatori l’arte e la storia di Gauguin.
Il programma delle attività propone, oltre alla semplice visita guidata alla mostra, una serie di laboratori preceduti dalla visita guidata alla mostra incentrata sui temi che si andranno poi ad approfondire in sede di laboratorio.
Mudec - Museo delle Culture | via Tortona 56, Milano.
Info e prenotazioni 02.54917 | www.ticket.it/mudec

Il viaggio continua "in classe"
Naturalmente in alcuni casi le rielaborazioni avvengono anche a posteriori. Questo è un esempio di alcuni lavori effettuati presso la Scuola dell'Infanzia Stoppani, dove i bambini di quattro e cinque anni sono andati a visitare la mostra.


Il viaggio alla scoperta di Gauguin viene rivissuto attraverso la pittura e l'esame di alcuni suoi quadri e il racconto di quello che ha colpito maggiormente i bambini, come Giulia che riferisce "Oggi siamo stati alla mostra di Gauguin a vedere i quadri. Francesca ci ha regalato una bussola magica che si trasforma in tante facce. Gauguin era un pittore famoso che ha trovato tanti amici. Per esempio un altro pittore che lo ha aiutato a prendere i colori. Poi c'era una signora che ha regalato una bussola a Gauguin. La bussola lo ha portato a pattinare sul ghiaccio e si è pure trasformata in delle facce buffe. E' finita con dei bellissimi colori. Mi è piaciuto l'ultimo quadro, quando ci penso perdo quello che sto facendo, perché era troppo bello. C'erano arancio, verde, rosso, giallo, c'era un mare di colori".

Se non vi ha convinta lei a visitare la mostra, non so cos'altro scrivere...se non che vi perdete qualcosa di magico. Vedere, osservare, ammirare per credere.

Munari al MUBA: Vietato non toccare

$
0
0


Resterà aperta fino al 15 settembre 2016 la mostra "Vietato non toccare, I bambini a contatto con Bruno Munari" presso il MUBA(Museo dei Bambini Milano), una mostra-gioco interattiva per bambini dedicata alla scoperta del lavoro di Bruno Munari realizzata da MUBA, Associazione Bruno Munari (ABM) in collaborazione con Corraini Edizioni. Uno spazio esperienziale e interattivo, con un fitto calendario di laboratori per i più piccoli e seminari di formazione per adulti.

Un'esposizione per piccoli e grandi, per giocare insieme nello spirito di Munari, per comprendere facendo.


Ho avuto la fortuna di esserci al giorno dell'inaugurazione, quando sono intervenute 350 persone tra educatori, insegnanti e appassionati. Giusto per dare un altro dato, il primo week end hanno giocato 800 persone, fra bambini e adulti... Ed era solo l'inizio...

Mariella Bottino, direttore operativo del MUBA
Silvana Sperati, presidente dell'Associazione Bruno Munari.
Hanno fatto gli onori di casa Mariella Bottino, direttore operativo del MUBA, e Silvana Sperati, presidente dell'Associazione Bruno Munari, spiegando che questa mostra si rivolge in particolare ai bambini (ma anche i grandi sono benvenuti, in particolare insegnanti e genitori).


La mostra è stata progettata per scoprire l'opera di Bruno Munari (1907-1998) ed è divisa in quattro sezioni: la scoperta dei opere/libri, l'area sensoriale (elemento di attenzione sul quale non ci si sofferma mai abbastanza!) per sviluppare il senso del tatto, i Prelibri (vi rimando al post della pedagogista Francesca Romana Grasso, di Edufrog, qui, che li propone sempre durante i suoi seminari di formazione rivolti agli educatori e alle famiglie), l'area dedicata a un gioco inventato da Munari (Più e meno), che serve per raccontare e inventare storie sempre nuove e per favorire l'educazione al linguaggio.

Oltre ai percorsi dedicati alle scuole e alle famiglie, sono previsti dei percorsi formativi tenuti dall'associazione.

Silvana Sperati ha spiegato che la mostra vuole essere un percorso per guidare e seguire l'apprendimento del bambino, perché come diceva Munari si può apprendere solo attraverso "il fare", la sperimentazione diretta. Ha posto l'accento su questo principio di pedagogia attiva (es. il famoso gioco delle scatole accende la sorpresa e la voglia di scoprire).

I libri e le scatole delle scoperte

Come potete vedere la scoperta non da soddisfazione solo ai bambini...


Dobbiamo ringraziare Rosellina Archinto se ha convinto Munari, designer e artista a tutto tondo, a pubblicare i suoi primi libri, quando ha creato la casa editrice Emme edizioni (1966-1985), come ad esempio, "Nella nebbia di Milano" (1968) e "Da lontano era un'isola" (1971).

Ora tutti i libri di Munari - compresi quelli con le finestrelle - sono editi da Corraini.

L'area sensoriale


I materiali contenuti nelle scatole, progettati per una vera immersione tra mondi tattili più o meno conosciuti, sono i più disparati: si va dal silicone al legno, dalla gomma delle suole delle scarpe al polistirolo, dalla gomma piuma alla pelle e alla stoffa. 







E per finire la scatola degli specchi, una magia da provare.




I prelibri

Come ha spiegato bene Silvana Sperati i prelibri sono stati pensati da Munari come un oggetto di comunicazione, anche per le informazioni tattili e sensoriali che ci fornisce (importantissime nella prima infanzia, ma aggiungo che si dovrebbe continuare a conquistarle e stimolarle anche da adulti).
Libri di stoffa, di legno, di materiali vari, da toccare, da osservare...

Con questo libro gioco Munari ha messo al centro la narrazione e il potere della fantasia. Qui si mettono e si tolgono tessere - qui è molto più bello che farlo a casa dove ci vorrebbe una lavagna luminosa o un tavolo a vetri per esaltarne le caratteristiche! - si alternano stagioni, si inventano storie, anche in completa autonomia.


Il frottage

Un angolo molto amato - con materiali che fanno invidia a tutti gli appassionati di questa tecnica inventata dal pittore tedesco Max Ernstma impiegato da Munari nei laboratori con i bambini - è quello del frottage. In esposizione ci sono diversi tavoliper sperimentare e creare il proprio libro.


e rilegarlo...
 

“Un bambino creativo è un bambino felice” Bruno Munari.
 
Il palinsesto culturalee informazioni pratiche

La Mostra-gioco Vietato non toccare propone i Laboratori Metodo Bruno Munari® dedicati alle scuole: per bambini da 5 anni a 13 anni. "Per favorire una migliore fruizione dell'esperienza e per adattarsi in modo flessibile ai bisogni e agli interessi delle  varie scuole sarà possibile valutare di  personalizzare la richiesta del laboratorio  anche nelle date  nelle quali  fosse previsto un altro laboratorio." Quindi libertà di scegliere l'esperienza più adatta per i propri studenti.

Ecco alcuni temi il programma: "Dal materiale al libro" (18 febbraio), "Dalla forma al libro" (25 febbraio); “Sculture da viaggio” (3 marzo e 10 marzo); “Disegnamo un albero” (17 marzo e 28 aprile); “Frottage naturali” (6 maggio e 13 maggio),“Il prato non è una moquette, ma un mondo da scoprire” (20 maggio); “Rose nell’insalata” (9 giugno e 16 giugno), “ABC con Fantasia” (23 e 30 giugno). Gli incontri sono adatti per bambini da 5 anni in sù (fino agli istituti d'arte). Gli orari sono generalmente - tranne alcune date in cui non c'è l'incontro del primo pomeriggio - in tre fasce (10:00 – 11:30 – 14:00).
I laboratori, a cura di Silvana Sperati, hanno un costo di 10 euro a bambino (gratuità per insegnanti). Prenotazione obbligatoria al numero 02 43980402.

Per lefamigliecon bambini da 6 a 13 anni i temi sono gli stessi, ma l'orario è dalle 17 alle 18.30. Costo 10 euro a bambino, 6 ad adulto. Prenotazioni obbligatorie al numero 02 43980402.

Infine, ecco la formazione per gli adulti:7 marzo (dalle 16.30 alle 19.30) Il Metodo Munari e la scuola: nuovi scenari; 21 marzo (dalle 16.30 alle 19.30) Un artista che sapeva fare del gioco un’arte ci introduce al valore del gioco; 4 aprile (dalle 16.30 alle 19.30) Più e Meno e la proposta dei giochi didattici, 16 maggio (dalle 16.30 alle 19.30) Il libro per bambini (dai testi del 45 fino al libro menabò), 9 giugno (dalle 16.00 alle 19.00) I laboratori tattili e l’approccio alla conoscenza del materiale. Possono accedere su prenotazione: genitori, insegnanti, studenti, educatori, operatori culturali. Il costo è di 60 euro a persona. Verrà rilasciato un attestato di partecipazione a cura di ABM.Prenotazione obbligatoria al numero 02 43980402.

Le giornate di formazione sono un modulo riconosciuto dall'Associazione Bruno Munari ed è un'occasione per mettere in circolo energie e idee..

"La Piscina" al Laboratorio a merenda in Feltrinelli Red

$
0
0



Nonostante la bellissima recensione sul Vivimilano di Giovanna Maria Fagnani (qui), il bel tempo ieri l'ha fatta da padrone e i bambini in libreria erano davvero pochi. "Pochi ma buoni" come si dice, perché hanno fatto dei piccoli capolavori a partire dal libro "La Piscina", l'opera prima della coreana Ji Hyeon Lee, edito da Orecchio Acerbo, di cui ho parlato qui. Non solo i bambini e le bambine sono rimasti letteralmente catturati dalle immagini potenti e poetiche, ma anche i loro genitori e altri adulti venuti a chiedere informazioni sui laboratori. La magia di questo libro senza parole è di farti scoprire ogni volta un piccolo dettaglio che non avevi ancora notato (eppure, continuo a guardarlo e riguardarlo anche a casa con i miei figli, ma ti invita alla pura contemplazione). E così, ogni volta che rileggi la storia, scopri qualche sfumatura differente (ieri grazie all'aiuto dei presenti).

Il libro ha conquistato così tanto una bambina di circa tre anni - che ho invitato a partecipare al laboratorio in libreria insieme ai genitori - che, pur non potendo, voleva restare a ogni costo e siamo riusciti a trovare il compromesso lasciandole i fogli che avevo preparato per il laboratorio... e poi la mamma è tornata a prendere una copia del libro per acquistarlo...

Come sempre, i due tavoli erano apparecchiati con i materiali più disparati e i bambini e gli adulti si sono lanciati a esplorarli e partendo dai materiali, con le suggestioni del libro, hanno fatto dei lavori incredibili.

In particolare, mi ha colpito il gusto estetico e cromatico di Maria (7 anni) che, non a caso, frequenta la scuola Montessori e segue una serie di laboratori condotti da una persona che opera secondo il Metodo Bruno Munari® (conoscete Munaria? se non avete visitato la pagina facebook vi invito a farlo - la trovate qui - perché vi sorprenderete per come i bambini, sapientemente guidati da una regia adulta, ma lasciati al tempo stesso molto liberi di fare, riescano a produrre opere interessantissime).


Alla fine anche il papà, all'inizio riluttante, si è lasciato andare e ha prodotto un'opera in solitaria.

A cui Maria si è divertita a dare il nome - e poi a cambiarlo. Anche il gioco di dare i nomi di fantasia è molto interessante!


E che dire di Andrea (8 anni), venuto appositamente!, che ha mostrato un senso del gusto e una precisione non da poco?


 E la piccola Alice (3 anni)

Infine non posso non notare come il papà di Alice sia un appassionato illustratore in incognito...



.. e come Augusto (6 anni) abbia ripreso, forse senza rendersene conto, i colori di alcuni pesci del libro.


Insomma, un bellissimo pomeriggio all'insegna della creatività.
Vi ricordo che con Barbara Archetti e presto- new entry - Cristina Zeppini (che molti conoscono come libraia della mitica Scaldapensieri) vi aspettiamo ogni settimana alle 16.30 alla Feltrinelli Red.

Il prossimo appuntamento sarà domenica 28 febbraio con Barbara.

In mostra a Palazzo Reale di Milano “L’arte del bijou italiano”

$
0
0
Ornella Bijoux, Collier cristalli di vetro imitazione smeraldo, strass, metallo bianco. Anni '60-'70.

Resterà aperta fino al 2 marzo 2016 - in occasione della Settimana della Moda donna milanese - la mostra a Palazzo RealeL'arte del bijou italiano, allestita nelle splendide sale degli Arazzi, promossa dal Comune, Fiera Milano e Homi.

Un'esposizione che illustra e valorizza il talento e la passione italiani, con una particolare attenzione alla varietà tipica del nostro Paese, in accordo con la tradizione. 

La mostra che ripercorre, nella prima sala, la storia degli accessori più glamour dagli anni Cinquanta al Duemila, racconta il nostro Paese e l'evoluzione del gusto e della moda attraverso 300 pezzi unici firmati da stilisti e designer di fama internazionale. Un viaggio nel tempo che porta i visitatori alla scoperta delle creazioni realizzate per grandi stilisti come Walter Albini,Giorgio Armani, Renato Balestra, Biki, Ugo Correani, Enrico Coveri, Gildo Cristian, Dolce & Gabbana, Gianfranco Ferrè, Emy Forte, Krizia, Lancetti, Missoni, Moschino, Tina Rossi, Luciano Soprani, Valentino, Gianni Versace. Ci sono tutti, in un grande connubio con i grandi biogiottieri.

Un racconto che si snoda anche attraverso una seconda sala dedicata ai cinque bigiottieri milanesi più famosi: Bozart, Ornella Bijoux, Sharra Pagano, Ottavio Re e Unger.Una storia d'amore, una storia di cinque vite spese con passione e dedizione all'arte del bijou.


La Settimana della Moda femminile entra a Palazzo Reale con un vero e proprio ‘gioiello’ di mostra che accompagna il fermento della città, incarnando l’essenza propria dello spirito milanese: quello di saper dare forma alla bellezza grazie alla sapienza dell’artigianato unita al talento creativo, capacità che qui a Milano ha sempre trovato il terreno più fertile per germogliare– ha dichiarato l’assessore alla Cultura Filippo Del Corno durante la conferenza stampa lo scorso 18 febbraio - Arte da indossare, creatività prêt-à-porter: con linguaggi diversi da quelli che solitamente lo abitano, Palazzo Reale racconta al pubblico l’evoluzione del gusto della società italiana attraverso l’interpretazione dei suoi più grandi stilisti”.


Alba Cappellieri, professoressa di design al Politecnico di Milano e curatrice della mostra insieme a Lino Raggio, ha raccontato che "Ogni oggetto deve rappresentare il proprio tempo. In questo sta il suo valore e il suo significato. Il bijou è sempre stato considerato il figlio minore del gioiello prezioso, ma del gioiello prezioso non condivide né i tempi, né tantomeno i significati: perché se il prezioso tende all'eternità, il bijou rappresenta l'immanenza del presente. Ed è per questo, in una sorta di omaggio alla cultura materiale e alla bellezza, che abbiamo deciso di dedicare questa bellissima mostra all'arte del bijou italiano, in quanto il bijou può essere considerato come una delle massime espressioni della manifattura, dell'arte, della moda, della cultura italiana."

Qui, per chi non volesse leggere la presentazione, un video di Maria Elena Capelli.



La prima sala: dalla Dolce vita al Prêt à porter
"Ecco allora che la mostra è divisa in due momenti, prosegue la Cappellieri, la prima dedicata alla "Dolce Vita" e al "Prêt à porter"-  che sono probabilmente le stagioni più felici non soltanto per il bijou ma anche per la società italiana; la prima che parte, con la ricostruzione e il Boom economico del Dopoguerra, negli anni Cinquanta che arriva fino al Sessantotto, e la seconda, che arriva con la nascita dell'identità della Moda italiana che si attesta in ambito internazionale. 

Ci sono due momenti che possiamo considerare come i "termini" di questa narrazione: il primo è il 1951, perché è in questo momento che il bijou diventa un sistema autonomo-integrato.

Solitamente il bijou è raccontato in termini diacronici, attraverso lo scorrere del tempo. Non è questo. Il bijou non è quello delle zie in naftalina, ma del presente, della moda, che racconta la bellezza del quotidiano, segue l'effimero presente della moda laddove il prezioso non può farlo perché deve seguire un passato e un futuro, un senso di eternità che il bijou non ha. Ecco allora che queste due stagioni non sono state analizzate secondo né un percorso stilistico né un percorso storico, ma secondo una lettura molto più contestuale che è quella contemporanea, vale a dire in relazione al contesto economico, finanziario, politico, sociale in quegli anni

I principali bigiottieri italiani dell’epoca quali LucianaAloisi di Reutern, Giuliano Fratti,Canesi,Unger,Maria Vittoria Albani per Ornella Bijoux, Ferenaz, Ottavio Re, Bijoux Cascio, Ercole Moretti,Coppola e Toppo, Bozart, riuscirono a evolvere e a contaminare il modello produttivo dall’alto artigianato alla piccola serie, dall’atelier alla confezione, pur conservando un modello di imprenditoria familiare che, comparato alle grandi aziende americane, è risultato essere nel tempo di gran lunga più agile e più flessibile, sebbene più rischioso. 


Visitando la mostra, la mia anima naturalistica, ha apprezzato molto i bijou di Giorgio Armani...


ma per gli appassionati di altri stili ecco bijou completamente diversi...

Gianni Versace, anni Ottanta, Versace, collana Conchiglie e stelle marine metallo dorato, strass.
Da sinistra, bracciale gettoni di Sharra Pagano (anni Settanta)
e Mochino, realizzazione a opera di Sharra Pagano, spilla cucchiaino (anni Settanta). 


Moschino, realizzazione di Sharra Pagano, anni Ottanta. Collana pasticcini.
Karl Lagerfeld, realizzazione Ugo Correani, spille 1983.
Ornella Bijoux. Spilla animalier in ottone dorato, perle di pasta di vetro e strass Swarowski.
Fendi, anni Ottanta, bracciali in resina.
Stefano Piaggi | Anna Piaggi Ugo Correani per Versace collana 80 metallo dorato, plastica.
Moschino, realizzazione a cura di Sharra Pagano, anni Ottanta, collana punto interrogativo.
Riprendendo le parole di Alba Cappellieri in conferenza stampa che ci accompagnano nel racconto della mostra"... è per questo che la mostra in Triennale del 1951 (la IX triennale dedicata all’Esposizione Internazionale delle Arti Decorative e Industriali Moderne. Per la prima volta il bijou entrava in Triennale al fianco dei maestri del progetto italiano ed era trattato alla pari del gioiello prezioso )

e soprattutto la sfilata di Alta Moda che Giorginidedica per la prima volta all'arte italiana  (Giovan Battista Giorgini organizzò nella sua Villa Torreggiani a Firenze la prima sfilata di Alta Moda Italiana che includeva i Bijoux e gli accessori)

diventano i termini prioritari anche per il bijou italiano, perché è in questo momento che il bijou incontra il mercato internazionale e, in particolar modo, il mercato americano. Il mercato americano significa: consumatori. Il Made in Italy, non dimentichiamolo, non è dedicato al mercato locale, ma ai mercati internazionali. Anche il bijou, a partire dal 1951, entra in un sistema internazionale. 

Certamente i bijou sono sempre esistiti (preziosi o meno; sulla definizione di prezioso è una storia lunga...), ma è a partire dal 1951 che si pone per la prima volta come un sistema. Ed è esattamente quello che succede, a Milano nella moda e nel design; Milano è la capitale della Moda e del Design perché ha saputo costituirsi come un sistema. Vale a dire la compresenza di: progetto, produzione, comunicazione, distribuzioneed è per questo che Milano è diventata uno dei grandi baricentri.

Gli anni Ottanta sono gli anni dell’"edonismo e dell’opulenza", quelli in cui i bijoux testimoniano il connubio tra gli accessori e la moda in uno scambio intenso di esperienze e di contaminazioni. L’interesse sistematico degli stilisti per i bijoux determinò un’intensa collaborazione con i bigiottieri e la possibilità di innovare tanto l’ambito creativo quanto quello produttivo con risultati straordinari. Tutti i principali stilisti italiani firmarono una linea di bijoux, non soltanto i pezzi unici per la sfilata ma soprattutto collezioni di accessori accessibili e democratici pensati in relazione all’abito



La seconda sala: omaggio ai cinque principali bigiottieri milanesi
"Ecco allora che la seconda parte della mostra rende omaggio a questa straordinaria capacità milanese, mettendo in esposizione i lavori dei cinque principali bigiottieri milanesi che hanno scritto la storia del Bijou italiano, che sono: Bozart, Ornella Bijou, Scharra Pagano, Ottavio Re e Unger

Nella seconda sala emergono cinque storie completamente diverse, cinque linguaggi completamente diversi. A conferma e a testimonianza che la principale virtù italiana è la varietà

Quella varietas di cui parlava Leon Battista Alberti (1404-1472) già nel Rinascimento, e che è una delle principali capacità di produrre bellezza. La prima differenza tra il bijou italiano e quello francese è proprio questa.  In questa varietà nel giocare su scale diverse: i bigiottieri italiani hanno questa capacità rapsodica di passare dal pezzo unico di alta moda a una produzione seriale. Che comporta uno scarto di pensiero e di processo radicale, che soltanto la flessibilità delle imprese familiari italiane è in grado di fare. Passare dalla microscala del pezzo unico alla macroscala delle collezioni della moda pronta. Ed ecco allora che le storie che vedrete in mostra sono non solo storie di materiali innovativi ma anche di tradizione e tecniche tradizionali, sono delle storie di innovazione, di sperimentazione, e al tempo stesso di esaltazione del nostro passato. Sono anche storie di persone, di uomini e donne che hanno dedicato a questo oggetto straordinario molto di più della loro abilità o tecnica, hanno dedicato la storia delle loro famiglie, hanno dedicato la storia delle loro vite. Ed ecco allora che possiamo pensare alle storie del bijou come a storie d'amore."

La mostra è dedicata alla memoria di Gianfranco Signori, fondatore di Scharra Pagano, che ci ha lasciato qualche giorno prima dell'inaugurazione.

Bozart
Fondata nel 1956 da Emy Forte e Lucio Manca, Bozart inizia la produzione milanese lo stesso anno. La capacità di operare attraverso più tecnologie consente all'azienda di collaborare con le case di Moda romana e le redazioni giornalistiche.


Ornella Bijou


L'Atelier Ornella Bijoux apre a Milano nel 1944, grazie alla passione di una giovanissima Maria Vittoria Albani (14 anni!), eclettica designer "baciata" da un talento unico nell'intrecciare arte e moda e nel plasmare gioielli di costume.
Perle lucenti, metalli smaltati, conchiglie levigate, legni dipinti, vetri di Murano, ceramiche retrò, cristalli Swarovski alzano nel tempo un sipario affascinante che apre a un palcoscenico incantato di spille, anelli, parure, diademi, in una mostra d'autore senza fine di emozioni e impressioni.
Per decenni il tocco di classe di Maria Vittoria Albani forgia straordinari preziosi "limited edition", illuminando il fascino di dive e regine, tra galá esclusivi e passerelle internazionali.
Fino a ricevere, da "guest star", svariati oscar alla carriera: dalla mostra itinerante del Teatro alla Scala curata da Swarovski, alla vetrina dorata del Victoria Museum di Londra, agli inviti ufficiali ad eventi artistici da New York a Tokio, passando per tutte le capitali delle tendenze più chic.
Dal classico al contemporaneo, dalla tradizione all'innovazione. 
L'azienda familiare oggi è seguita anche dalla figlia Simona Scala.


Qui il sito internet, qui la pagina facebook.

Scharra Pagano

Qui il sito internet.

Ottavio Re
Azienda storica, operante sin dal 1934, ha oggi un piccolo showroom in via Bagutta, nel quadrilatero della moda.

Qui il sito internet.

Unger
Interessante la storia di questa azienda nata per il commercio del ricamo nel 1875 da due fratelli viennesi acquistata nel 1900 da due italiani, Benigno Rossi e Clotilde Silva (sotto la sua direzione viene aggiunto l'accessorio moda, gli ornamenti per corpetti e bijoux). Per i bijoux l'azienda si procura pezzi rari provenienti dalla Boemia e da Venezia (ancor oggi il maggior vanto della ditta).
 
Qui il sito internet.

Se volete approfondire ulteriormente, potrete vedere anche questi video qui su Televisionet, qui su Fashion Channel Milano. E se non siete stufi di immagini, ecco una bella carrellata su Homi qui (in una ho visto che tra la folla ci sono anch''io... immaginate cosa sto facendo?) e un bel pezzo su Signorina Bloggy (qui).

Informazioni pratiche sulla Mostra
Quando: fino al 2 marzo 2016
Dove: a Palazzo Reale (Milano) - Sala Arazzi (piano nobile)
Orari: lunedì 14,30 - 19,30/ martedì - mercoledì - venerdì - domenica 9,30 - 19,30/ giovedì - sabato 9,30 - 22,30.
Prezzo: ingresso gratuito.
Informazioni: www.palazzorealemilano.it
 

Alla Feltrinelli Duomo Amélie Nothomb ed Elasti per parlare de "Il delitto del conte Neville", Voland

$
0
0

Affollatissima la sala incontri alla Feltrinelli Duomo mercoledì 24 febbraio: persone sedute sulle sedie, per terra o in piedi. Tutte pronte ad ascoltare dal vivo la scrittrice Amélie Nothomb - con la traduzione in simultanea di Roberto Lana - a rispondere alle vivaci domande della giornalista Claudia De Lillo, ai più nota come Elasti, per presentare l'ultimo piccolo grande capolavoro "Il delitto del conte Neville", edito dalla casa editrice Voland (qui il sito).


Un tour sta portando l'autrice belga, cresciuta in parte in Giappone, nel nostro Paese, e lei non dispensa conversazioni e autografi, facendo una maratona tra le librerie che la ospitano...

Madrina della presentazione è stata Claudia de Lillo che ha esordito ringraziando sia Amélie Nothomb per la sua presenza, sia il pubblico in sala dicendo che "credo che anche per una scrittrice abituata alle folle, le conferme dell'affetto siano sempre un regalo. Grazie anche a chi ha avuto l'idea di invitarmi qui perché io sono una grande lettrice e fan di Amélie, quindi sono grata di questa occasione. Cercherò di essere professionale e di resistere alla tentazione poco nobile di abbracciarla, "toccacciarla"... 
Amélie è reduce da una maratona di firme... 
Come sta?
AmélieSono in estasi. Lavorare in Italia per me è una vacanza!

Claudia de Lillo Entriamo subito nel vivo. "Il delitto del conte Neville" racconta la storia di un nobile, un conte che fa un'ultima festa nel suo castello perché, purtroppo, è costretto dalle sue finanze a vendere il castello, fa questa ultima festa, ma una veggente gli fa una terribile premonizione. Gli dice che durante la festa ucciderà uno degli invitati. E questa cosa è terribile!Vuole continuare lei Amélie?...
AmélieSì, perché anche se è terribile per il povero conte scoprire che ucciderà qualcuno - il che può succedere a chiunque - scoprire invece che ucciderà un suo ospite, questo sì che è inaudito!... C'è un'aspetto autobiografico in questo racconto, perché i miei genitori tenevano ricevimenti con 1000 persone al mese, sin dalla mia più tenera infanzia, ed è da lì che è nata l'idea, il "fantasma", ovvero il desiderio di uccidere un invitato.

Claudia de Lillo Questo libro, oltre ad avere un lato autobiografico di cui poi parliamo meglio, è anche un omaggio - se così dsi può dire - a Oscar Wilde - c'è un delizioso racconto "Il delitto del Lord Arthur Savile", che vi consiglio di leggere: anche il nome "Neville/Savile/Nothomb sembra avere una radice comune...
AmélieSì, il mio cognome Nothomb è di lontana origine britannica e Nothomb deriva da Neville ovvero da "New Town"/Nuova città, il conte Neville è evidentemente mio padre e con questo libro regolo i conti con la mia famiglia.

Claudia de Lillo Facciamo un gioco di porte scorrevoli... questo racconto potrebbe in qualche modo raccontare la sua vita se invece di aver avuto la storia esotica in Giappone e altrove, fosse nata e cresciuta in Belgio? C'è qualcosa di Serieuse, che è la figlia del conte, un'adolescente assolutamente paradigmatica degli adolescenti?
 AmélieSì, è vero. E' il racconto di come potrebbe essere stata la mia adolescenza se fossi cresciuta in Belgio. Io sono cresciuta in estremo Oriente; talvolta mi immagino cosa ne sarebbe stata di me, se fossi vissuta in Belgio, un Paese così incomprensibile: sarebbe stata una vera catastrofe.

Claudia de Lillo Restando in Belgio - un Paese per quanto piccolo e per quanto in Italia non sia ben conosciuto - un Paese estremamente moderno, anche solo per quanto riguarda i diritti civili o l'eutanasia... ma leggendo il suo libro è un Paese con tradizioni estremamente forti e antiche. Quanto si sente belga lei e cosa significa sentirsi belgi?
Amélie Ho finito per capire che ero profondamente belga... Ti senti belga quando ti senti goffa e patetica. Con il passare degli anni mi sento sempre di più belga. E' vero che c'è il cosidetto "paradosso belga", perché se da un lato siamo all'avanguardia per certi aspetti morali- nel 2003 è stata approvata la legge sul matrimonio degli omosessuali, e nessuno ha reagito in nessun modo a queste leggi, nonostante ci siano molto stupidi in Belgio, lo stesso vale per l'eutanasia - ma siamo al tempo stesso medievali, perché sono stata ricevuta pochi giorni fa dalla regina del Belgio e tutti hanno gioito di questo avvenimento. Un Paese davvero paradossale!
 
Claudia de Lillo Nel libro la descrizione della nobiltà belga è in parte spietata, ma anche in qualche modo "pacificata", a tratti quasi affettuosa. Cosa hanno detto i suoi? Recentemente, tra l'altro, è diventata baronessa e non le spettava di diritto...
Amélie Giuro che non c'era affatto premeditazione... Nessuno mi crede quando lo dico. Non volevo assolutamente diventare baronessa. Quando ho scritto il libro non ero baronessa e non volevo assolutamente diventarla. Quando il re mi ha insignito del titolo di baronessa, è stato incredibile. Questo mostra l'umorismo di questo Paese, perché in questo libro mostro tutto il lato ridicolo della nobiltà belga, che è ancora più ridicola di altre forme di nobilità. E non ho fatto a tempo a scrivere il libro che il re mi ha incoronato baronessa...

Claudia de Lillo Attraverso Sérieuse racconti l'adolescenza. Sarà che io ho un figlio che si sta affacciando al mondo dell'adolescenza, quindi devo dire che vista da fuori è un'età molto affascinante, vista da dentro molto meno probabilmente, che memorie ha della sua adolescenza e qual è l'età in cui è stata più "comoda" nei suoi stessi panni?
 Amélie Non ho un solo ricordo bello della mia adolescenza ma penso che questo sia successo a tutti. Non so come ho fatto a sopravvivere alla mia adolescenza ma è una domanda che pongo anche agli altri. Come ci siete riusciti? (rivolgendosi al pubblico). E' una domanda che non ha risposta.
 
Claudia de Lillo E se dovesse scegliere un'età in cui cristallizzarsi? Quale sceglierebbe dagli zero agli anni odierni?
AmélieNel mio caso due anni e mezzo. E' stata la mia età della perfezione (... l'età raccontata nel libro "La metafisica dei tubi"). 

Claudia de Lillo Parlando di anni e date, sono affascinata da questa descrizione: "1975. Esiste una frontiera temporale tanto più insormontabile in quanto non ufficiale che divide l'umanità in due specie che potrebbero non capirsi mai. Collochiamola arbitrariamente nel 1975. Ben consapevoli dell'estrema variabilità della data a seconda dei Paesi e degli ambienti. E' il confine che separa i bambini nati per sedurre dai bambini nati per essere sedotti. Io trovo geniale questa descrizione. Entrambe siamo nate in un'età un po' sfortunata. Ho letto, non so se sia vero, che suo fratello la "sfrutta" per i suoi nipotini nati dopo il 1975 come "spauracchio", dicendo "adesso arriva la zia Amélie... E' vero?
AmélieNon ho figli ma in compenso mio fratello ne ha sette. Ho dovuto imparare a diventare zia. E l'unica maniera possibile è questa: sono diventata la zia spaventosa. Faccio terrore ai bambini e ho scoperto che mio fratello mi "sfrutta" per terrorizzare i suoi figli: per esempio "mangia la minestra altrimenti chiamo zia Amélie... In effetti funziona molto bene.



Claudia de Lillo Tornando un secondo alla nobilità, leggerei un passo molto rapido per introdurre la domanda: 
All'età di otto anni Henri - il conte Neville si chiama così - aveva rivolto una domanda terribile al padre. Non era "Babbo Natale sono i genitori?" 
"Non era neanche Come si fanno i bambini?"
" Era molto più grave: papà, cosa vuol dire essere nobili?" 
Aucassin aveva rivolto verso di lui uno sguardo penetrante. "Secondo te, figlio mio, che cosa significa?" 
"Non lo so. Rifletti"
Il bambino azzardò "Non so. Perdere il castello?"
"Ma no, insomma" risposte il padre con disprezzo.
Tanto che il bambino si domandò perché si dissanguassero per abitare a Pluvier
"Rifletti bene" ordinò Aucassin.
"Essere di buona famiglia?"
"Non basta"
Henri abbassò la testa assolutamente confuso.
Il padre alla fine dichiarò con voce minacciosa "Essere nobili, figlio mio, non significa che si hanno più diritti degli altri, significa che si hanno molti più doveri".
Ecco, in qualche modo è entrato dentro di lei questo discorso sulla nobilità?Gliel'hanno trasmessa anche i suoi genitori l'idea che si hanno più doveri degli altri?
Amélie La mia situazine è paradossale. Faccio parte di questo mondo nobiliare, ma al tempo stesso non ne faccio parte, in quanto donna, in Belgio il titolo nobiliare non è trasmesso alle femmine a meno che le donne non sposino un nobile. Io rappresento un'eccezione perché il re del Belgio mi ha assegnato questo titolo. Quindi, ma aderisco a questi dettami, penso che sia per questo motivio che mi lascio totalmente "tartassare" dagli editori, penso di avere più doveri degli altri scrittori, più interviste da rilasciare, e si presta a firmare autografi ai lettori...


Claudia de Lillo Sempre a questo proposito, citando Proust nel libro, parla del "Dongiovannismo dell'aristocrazia" e lo spiega molto bene come una specie di compulsione a sedurre; anche il talento nell'ospitalità del protagonista è l'idea di far sentire l'invitato la persona più importante del mondo. Questo un po' si riallaccia anche al discorso del suo rapporto con i lettori...
AmélieSì, ho l'impressione che l'unico scopo della nobiltà sia il ricevimento; l'unico scopo sia invitare ed essere invitati, e che quando si invita hanno il dono di far sentire l'ospite unico, amato, farlo sentire a suo agio... L'unico aspetto terribile è la paura di non poter più invitare o non essere più invitati... Mio padre faceva lo stesso quando invitava gli ospiti, mostrando una grazia infinita; ma in privato, tra me e mio padre non succedeva nulla di speciale. La mia vita è piuttosto diversa, penso che il fantasma di uccidere un invitato, che mi ha accompagnato per tutta la vita, sia proprio dovuto a questo. Ma ho avuto sempre troppa paura di uccidere un invitato: vi assicuro che non ho nessuna intenzione di uccidere nessuno... ma è per questo che non invito mai nessuno, per la paura che questa compulsione possa mietere delle vittime...

Claudia de Lillo Tornando al rapporto con i lettori, questo è il 24simo libro pubblicato; sono ormai tanti anni che Amélie Nothomb è una star, immagino che i lettori siano tanti e che a volte siano invadenti, noisi...E allora mi chiedo: non si stufa mai di questo popolo che la circonda, non solo affettuoso ma anche invadente? E poi... Se pensa ai lettori quando scrive, se in qualche modo pensa a loro o risponde a un bisogno interiore?
AmélieRispondo prima alla seconda domanda: No. Amo molto i miei lettori ma quando scrivo non penso a loro. Scrivo molto di più di quello che pubblico. Sto per scrivere il mio 85simo romanzo, ne ho pubblicati solo 24. Non c'è quindi un intento di premeditazione o seduzione quando scrivo. Quando scrivo non penso che alla "musicalità" della scrittura.
Quando sono al momento di pubblicare, allora sì, mi pongo la questione e penso al mio pubblico, se quello che ho scritto può interessare. E' una questione delicata e istintiva, non è sempre falice capire se quello che stai per pubblicare piacerà al tuo pubblico.
E per rispondere alla prima domanda questa è la mia risposta: il pubblico è soffocante? Mi regolo ultimamente con lo Champagne.... Una buona collezione di Champagne crea un'atmosfera festosa che mi permette di vivere in uno stato di completa incoscienza (è ben descritto nel romanzo precedente, nota del traduttore...).

Claudia de Lillo Oggi avrà incontrato moltissimi lettori; qual è la cosa le fa più piacere, che la sorprende sempre e che le fa dire "Ah, questo da un senso al mio lavoro".
AmélieUna cosa che mi viene detta spesso e che mi fa un piacere immenso è "da quando leggo i tuoi libri, ho ricominciato a leggere."
Sono consapevole che, grazie a me, molti si sono riaccostati alla lettura.

Claudia de Lillo In questo, ma anche in molti altri suoi libri, c'è il destino. Il conte Neville non mette in dubbio neanche per un istante che il suo destino sia quello di uccidere un invitato. Anche per lei il destino è così importante il destino.
AmélieCredere al destino, al fato è il difetto professionale di tutti gli scrittori. Sono come il conte Neville, non posso neanche accostarmi a un veggente o un medium o leggere un oroscopo perché mi senterei in dovere di obbedire alle predizioni.


Claudia de Lillo Pétronille, che è la protagonista di un altro libro, amica scrittrice e compagna di champagne di Amélie, un altro romanzo dice "Per essere scrittori di successo non basta il talento, ci vuole la follia".
AmélieE' vero, bisogna essere un po' folli. Ma non basta. Non è così semplice. Il successo è qualcosa di ingiusto, complicato e incomprensibile. Non è che io non sia felice di avere successo e non dico di non meritarlo.
Ma lo merita anche Pétronille e non ha successo.
Ma con quel libro faccio giustizia, cerco di dare successo a una persona di talento. Denuncio un'ingiustizia e, attraverso questo romanzo, cerco di ristabilirla. Mostro chi è Pétronile, che è una persona in carne e ossa, una scrittrice edita da Voland, che si chiama in realtà Stephanie Hochet (qui il link ai suoi libri). Quando gliel'ho scritto e le ho chiesto se potevo pubblicarlo, lei mi ha risposto "Fai bene a farlo, per la prima volta parli di un soggetto importante".

Claudia de Lillo Questo va un po' contro alla risposta precedente sul destino... Ha mai pensato che cosa avrebbe voluto fare se non avesse scritto?
AmélieDomanda difficile... All'inizio, come sapete, volevo essere Dio, fino all'apoteosi. Poi la carriera di essere Dio è andata alle ortiche, è stata un fallimento, e ho deciso di diventare martire. E questo ha funzionato. Sono diventata martire in un'azienda giapponese (lo racconto in "Stupori e tremori"). Poi sono diventata scrittrice di Voland (che non è un martirio - aggiunge Roberto - e lei risponde "una via di mezzo...").

Claudia de Lillo C'è una leggenda che aleggia, ma mi piace credere a tutto quello che si scrive su di lei...

Amélieha ragione.

Claudia de Lillo La sua routine letteraria prevedere che lei si alzi alle quattro del mattino e scriva per quattro ore... ogni vero scrittore dice che ci vuole estrema disciplina. Ora io so quanto sia faticoso alzarsi alle quattro, non per volontà mia ma perché lavoro alla radio (NB è conduttrice del programma radiofonico Caterpillar su Radio 2). Ci vuole raccontare dopo le otto del mattino qual è la vita di una scrittrice vera?
AmélieDopo le otto? Prima di tutto mi vesto, perché scrivo in pigiama arancione, poi vado nella sede della casa editrice Albin Michele poi mi metto a leggere le lettere che ricevo - ne ricevo in effetti diverse... - e questo mi prende diverso tempo perché non rispondo con l'email ma a mano, per lettera. E' un lavoro durissimo, anche se mi piace molto, e mi occupa molte ore. Quando decido che ne ho scritte abbastanza per quel giorno, è già pomeriggio e allora inizia la "vita dannata", e il suo incontro con lo champagne...
 

Claudia de Lillo Qualche anno fa sulla mia strada ho incontrato un'insegnante meravigliosa che mi ha detto una grande verità, riferendosi agli scrittori, ma che vale anche per tutti. Ci disse "diffidate di chi porta pantofole a forma di cane e di chi non ha una visione del mondo. Ora, io sono sicura che lei non porti pantofole a forma di cane...
AmélieBrava!

Claudia de Lillo Detto questo, scansato ogni dubbio. So che è difficile. Se dovesse dire qual è la visione del mondo che vorrebbe emergesse dai suoi libri; una volta ha detto "Il metodo per sfuggire al principe azzurro"...
AmélieE' una domanda difficile. Prima dicevo che non avevo una risposta. Ma oggi i professori mi mandano così tanti adolescenti di 14 anni che ho dovuto inventarmi una risposta... A un adolescente di quattordici anni non puoi dire che non hai risposte.
Penso che la visione del mondo che cerco di trasmettere è il "romanticismo belga" - l'ho inventato io! da domani comparirà nei libri di testo... - ovvero il "romanticismo paranoico", una visione duale del mondo. Ci sono due poli nella mia personalità: quello creativo, demoniaco, comico, che mostra quanto c'è di ridicolo in tutte le cose; l'altro è quello romantico, che si riferisce all'amore, e io ci credo veramente anche alle cose grandiose. E io mi ritrovo in mezzo a questi due poli. Quando affermo cose romantiche, favolose, il diavoletto che c'è in me, mi prende in giro e mi fa vedere il lato grottesco. Ma le due cose coesistono e nella sua visione del mondo.


Claudia de Lillo Farò ancora due domande, anche se ne avrei ancora tantissime... poi lascio la parola al pubblico. 
C'è un equilibrio sottile tra "esporsi" e "proteggersi", nel senso che lei parla di sé, delle persone a cui si vuole bene, ma inevitabilmente bisogna mettere dei filtri... almeno credo... ma lei sembra molto disinvolta nel camminare su questo filo... che filtri usa - e con le persone e con se stessi uno fà i conti con sé -ma con le persone che coinvolge nel libro come si regola?
AméliePenso che con il passare degli anni filtri diventano sempre più sottili. Perché meno filtri uso e più le cose sono paradossali, meno le persone ci credono... a partire dai miei parenti: nell'ultimo libro "Il conte di Neville" parla di me, mio fratello, mia sorella dei miei genitori. Quando lo hanno letto sono morti dalle risate e mi hanno detto "Ma chi sono queste persone? 


Claudia de Lillo So che lei è una grande lettrice, ci consiglia 3/5 titoli di libri interessanti, di cui uno belga - possibilmente non Simenon perché lo conosciamo...
AmélieRischio di diventare accademica, ma vorrei citare un autore Simon Leys"La morte di Napoleone", naturalmente Marguerite Yourcenar, poi "Il delitto del Lord Arthur Savile" di Oscar Wilde, "Il padiglione d'oro", di Yukio Mishima, una storia vera di un monaco folle che nel 1950 ha incendiato il padiglione d'oro a Kyoto perché odiava la bellezza, poi un libro francese di Madame de Lafayette"La principessa di Clèves" che parla di un rifiuto amoroso, un erotismo mostruoso, in cui la donna si rifiuta di concedersi fino alla fine.


Spazio alle domande. 
Una prima domanda dal pubblico: Parli di Sérieuse, della sua età difficile come l'adolescenza usando il termine "sentiti".
Amélie In Francia e in Belgio un tempo si provavano sentimenti, emozioni, sensazioni ora si parla di "resenti". Si è creato qualcosa di nuovo, di intellettuale...
Roberto Lana E' stata anche una grossa "sfida" nella traduzione, non c'è una corrispondenza di verbi in Italiano.
Amélie Come quando un tempo non si parlava di una vita ma di un "vissuto"...


Un'altra domanda: Mi vuoi sposare? Vista la situazione in Italia...
Amélie Mi sono informata, se mi sposo voi non potrete diventare baronessa...


Un'altra domanda: grazie innanzitutto, ogni anno aspetto l'uscita del tuo nuovo libro e sto per qualche tempo senza leggere libri, prima di leggere un tuo libro, rimango in astinenza per godermelo maggiormente... Quando ritieni sia cambiato il tuo modo di vedere dal tuo primo libro pubblicato "Igiene dell'assassino" del 1992.
Amélie Il mio primo libro pubblicato era in realtà l'unidicesimo manoscritto. C'è stato un cambiamento, ora i miei libri sono più leggeri. Il primo ha una scrittura barocca e molto grottesco. Se continuerò a scrivere alla fine l'ultimo romanzo sarà un haiku.

E ora spazio agli autografi. Grazie Amélie e a Voland per averti portata in tour a Milano e in Italia.


E se non vi basta l'intervista, ecco le sensazioni di Claudia de Lillo sul suo blog Nonsolomamma qui.
Viewing all 525 articles
Browse latest View live